lunedì 9 maggio 2016

Pd,Giachetti,L'Unità e il calumet della pace offerto a Fassina














Le botte, i fiori, le botte

di Alessandro Gilioli

Si sa che il genere umano è riuscito a prevalere sugli altri animali, nel dominio sul pianeta, per la sua maggiore capacità di adattamento all'ambiente e ai suoi cambiamenti.

Un eccellente esempio di questa capacità di mutare rapidamente a seconda delle condizioni esterne ci viene fornito in queste ore dal Pd romano e non solo, a seguito dell'ultimo sciagurato pasticcio di Fassina, con la sua probabile esclusione dal voto del 5 giugno.

Solo l'altro ieri (tecnicamente l'altro ieri: il 7 maggio) quelli della cosiddetta sinistra radicale erano «sullo stesso piano di CasaPound», dopo che peraltro erano stati già ufficialmente definiti da Renzi «avversari come i populisti grillini e la destra becera», nonché gufi e rosiconi persi dietro professoroni tipo Rodotà e Zagrebelsky, quindi gente degna al massimo di un irridente #ciaone.

Insomma, un pezzo di elettorato del tutto irrilevante, perdente, residuale, passatista, vecchio, conservatore, sfascista, frenatore, masochista, che fa il gioco delle destre come in Liguria eccetera eccetera: andate avanti voi, che le derisioni durano da un anno.

Anzi da più di due, cioè da quando lo stesso Renzi, da poco segretario del Pd, diede il via ai suoi sberleffi con il celebre "Fassina chi?" .

Oggi, a liste del medesimo Fassina sparite e quindi con i suoi voti in libera uscita, improvvisamente a quelli del Pd è tornata la memoria su chi sia Fassina.

«Non ho mai smesso di di avere un dialogo aperto», giura oggi Giachetti al Messaggero: «La posizione di Fassina sugli asili nido era più vicina alla mia che a quella della Raggi. Le distanze che si sono create? Polemiche fittizie. Ora cercheremo i margini per un dialogo. Sentirò Fassina al telefono il prima possibile».

E sentite l'editoriale dell'Unità, in merito: «A Roma esiste un tessuto comune di idee, di uomini di donne, di buone pratiche. Un'esperienza lunga almeno due decenni. Tutto questo rimane nel comune sentire del popolo della sinistra a Roma. E la politica non si fa con le ripicche. C'è l'opportunità di riannodare il filo del dialogo. Perché non provarci?»

Già, perché non provarci?

Un po' come quei mariti che dopo aver menato la moglie per mesi, alla prima vampata ormonale le portano un mazzo di fiori. E subito dopo riprendono a menare, più forte di prima.

Di qui al 5 giugno saranno fiori, dal Pd alla sinistra.

Dal 6 giugno al referendum di ottobre di nuovo calci in faccia, e chiunque osa dissentire dal Jobs Act o dalla riforma Boschi tornerà a essere "come CasaPound" - e soprattutto #ciaone a tutti.

DALL'ESPRESSO BLOG - PIOVONO RANE

Diciamole tutte,a prescindere dal ricorso di Fassina,io non scrivo "chi",sperando che venga accolto,certamente la sprovvedutezza nel presentare la sua candidatura a sindaco della capitale appare in tutto il suo splendore.

Il calumet della pace pidino offerto da Giachetti con il fu giornale di Antonio Gramsci,che si sta sempre rivoltando nella tomba dallo sconforto,appare anche in questo caso ridicolo con scapellamento tra il viscido e l'opportunismo più bieco,se poi il momentaneo escluso dovesse accoglierlo ,impacchettate tutti quanti e spediteli in qualche galassia,a scelta...

Se risiedessi a Roma proverei la Raggi,chissà cosa riuscirà a combinare e se ci fosse l'ennesima delusione,dopo di lei sapendo degli altri,un prefetto ad honorem a vita,da sostituire ogni due anni casomai dovesse anch'esso sporcarsi le manine...

I.S.

iserentha@yahoo.it

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