giovedì 31 luglio 2014

E in Palestina la strage continua





Gaza, lettera al Papa sulla strage dei bambini

di Antonio Padellaro

Domenica scorsa parlando all’Angelus in piazza San Pietro, Papa Francesco ha detto: “Fermatevi, smettete di uccidere i bambini”. Si rivolgeva naturalmente al governo israeliano e Hamas e come tutti aveva negli occhi le immagini della strage degli innocenti nelle scuole e negli ospedali di Gaza, strage che non finisce mai. Non sapeva che due giorni dopo un missile (israeliano secondo Hamas, di Hamas secondo Israele) avrebbe colpito un parco giochi della Striscia e dilaniato otto bambini e due adulti che li accompagnavano. E ieri un’altra carneficina: decine di piccole vittime nella scuola protetta dalle bandiere dell’Onu.

Ecco, se potessi rivolgermi al Papa gli chiederei se ha pensato anche lui che è la terribile vendetta dell’odio, la ritorsione più malvagia della guerra contro il suo tentativo alto e nobile di portare la pace. Non era forse stato Francesco dopo il viaggio in Terra Santa a promuovere lo storico incontro del 9 giugno scorso in Vaticano tra Shimon Peres e Abu Mazen, terminato con il commovente abbraccio tra i due ex nemici che hanno piantato insieme un albero di ulivo, simbolo di riconciliazione? E allora direi al Papa questo. Se l’odio potesse parlare ed esprimere il suo punto di vista non sarebbe affatto contento di quell’incontro, di quell’abbraccio e di quell’albero per una ragione, per così dire, di sopravvivenza.

L’odio infatti, (esattamente come l’amore) ha bisogno di essere continuamente alimentato, coltivato e concimato. Esso vive di sangue e di lacrime ma soprattutto ha l’esigenza che nessuno si dimentichi di lui e dell’orrore che lo ha generato. Ho letto che il 2013 è stato uno degli anni più tranquilli nella difficile convivenza tra arabi ed ebrei. E che le nuove generazioni di entrambi i popoli preferiscono guardare avanti, pensare a una vita più degna di essere vissuta piuttosto che continuare a nutrire il rancore e la vendetta tra le macerie e la paura. Gli direi, Papa Francesco io non ho le prove ma sono sicuro che l’odio d’Israele e l’odio di Hamas si parlino e che non abbiano problemi a farlo, visto che in fondo si assomigliano e che si sorreggono vicendevolmente. Ecco, penso che i due odi non fossero affatto contenti di questa relativa tranquillità e di questa memoria del rancore e della vendetta che gradualmente evapora, finalmente non più sufficientemente concimata dall’orrore e dal sangue.

Proviamo ad ascoltarli mentre progettano una nuova guerra e come entrambi concordino sul fatto che occorra qualcosa di più spaventoso e malvagio, un orrore insopportabile che lasci una ferita impossibile da rimarginare e segni il nuovo inizio di una vendetta infinita. Una strage dei bambini. Tanti corpicini dilaniati dalle schegge e i visi stravolti dei padri e delle madri che gridano disperati al cielo. Facciamo così, potrebbe aver detto l’odio all’altro odio, tu metti i più piccoli a scavare nei cunicoli o a fare le sentinelle vicino agli edifici dove nascondete i razzi così io ho un ottima scusa per bombardare e colpire. Così, quando le immagini dei bimbi massacrati faranno il giro del mondo, altro odio si sommerà all’odio di cui siamo fatti e allora i Bergoglio, i Peres e gli Abu Mazen e le tante anime belle che credono davvero alla pace e all’amore tra i popoli eviteranno d’incontrarsi, abbracciarsi e piantare gli alberelli della riconciliazione poiché il nostro odio paga bene in armi e in altri strumenti di morte.

Se potessi parlare al Papa gli direi che mi vergogno di pensieri così bui e forse anche ingiusti e pregherei perché ci siano altri incontri tra gli uomini di buona volontà e altri abbracci e altri alberi piantati, perché alla fine la pace quando genera sicurezza e prosperità paga immensamente più dell’odio (e quindi non il pacifismo delle dichiarazioni di maniera, finto, intriso di ipocrisia e dunque funzionale all’odio che finisce per rendere più accettabile). Ma davanti alla strage dei bambini che sembra non finire mai gli chiederei di prendere a scudisciate i mercanti di morte come fece Gesù nel tempio. Dire “fermatevi” non basta più.



Israele e la Palestina sono da considerare la storia della presenza dell'uomo sul nostro pianeta,vivendo attaccati da un labile confine e non potendo trasferirli entrambi a distanza adeguata,l'odio,la guerra,il sangue saranno per sempre le loro cronache.

Bastasse un monito e un invito del Papa a mutare questa condizione,la loro storia tra qualche secolo non sarà tanto diversa.

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mercoledì 30 luglio 2014

Le tre strade di fonzie





A fari spenti nella notte

di Marco Travaglio

Gentile Matteo Renzi, le scrivo perché la conosco come un politico diverso dai suoi predecessori,che ama confrontarsi e anche litigare con chi la critica anziché arroccarsi nella sua torre d’avorio e chiedere i danni in tribunale. Lo testimoniano la sua risposta alle nostre inchieste sui suoi peccatucci fiorentini (tipo la sua pensione “facile”, cui lei rinunciò dopo gli articoli di Lillo) e alle nostre critiche nel forum a Palazzo Chigi alla vigilia delle Europee. Checché lei ne dica, quello che sta accadendo in Senato non è una battaglia fra innovatori e conservatori: è una normale dialettica fra maggioranza e opposizione, a cui non eravamo più abituati per mancanza della seconda. Lei ora ha di fronte a sé tre strade. La prima è tirare diritto sulla scombiccherata e pericolosa “riforma” del Senato, per tigna, per puntiglio, per “non darla vinta ai gufi”, e verosimilmente andare a sfracellarsi contro il muro degli 8mila emendamenti. La seconda è spingere sull’acceleratore e viaggiare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere se una campagna vittimistica contro chi non la “lascia lavorare” la farà trionfare alle elezioni anticipate di fine anno o inizio 2015. La terza è riconoscere di avere sbagliato, o almeno di avere sottovalutato le opposizioni; ritirare la riforma del Senatoel’Italicum,dichiarando superato il Patto del Nazareno (a proposito: che c’è scritto?) per le ragioni sotto gli occhi di tutti; e discutere subito una riforma del bicameralismo paritario e una legge elettorale più rispettose della nostra storia costituzionale e della voglia di partecipazione che ancora alberga nel Paese.
Se sceglie l’opzione 1, cioè tira diritto, salva la faccia ma non il Paese: gli 8mila emendamenti, al ritmo fissato (già con notevoli forzature) dalla tagliola di Grasso, paralizzeranno il Parlamento sino a fine anno o giù di lì, impedendole di adottare le misure necessarie contro la crisi che, lungi dall’essere alle nostre spalle, si fa e si farà sentire più di prima; e lei saltellerà per mesi su un campo minato di voti segreti e possibili imboscate non di chi contesta a viso aperto la sua idea di Costituzione, ma di chi non aspetta altro che il buio per regolare i conti con lei. Se sceglie l’opzione 2, cioè cerca il martirio per andare subito al voto, idem come sopra: salva la faccia, ma non il Paese, che di tutto ha bisogno fuorché di una campagna elettorale arroventata, da cui potrebbe financo non uscire una maggioranza di governo: se fa incazzare tutti, alleati compresi, chi gliela vota al Senato una legge elettorale che superi il Consultellum, cioè il proporzionale puro che garantisce l’ingovernabilità? Se sceglie l’opzione 3, per qualche giorno si parlerà della sua prima sconfitta. Ma lei ha spalle e consensi ancora così larghi da poterla girare in positivo. Pensi che figurone farebbe dicendo agli italiani: quando siglai il Patto del Nazareno, i 5Stelle erano trincerati in un dorato isolamento, dunque mi rivolsi all’unico partner possibile, cioè B., disposto a cedere su quasi tutto pur fare il padre costituente. Ora però M5S, Sel e i dissidenti di Pd e centrodestra dicono cose ragionevoli ed è con loro che voglio fare le riforme. Anche perché mi sono reso conto che gl’italiani mi han votato in massa per avere più, non meno partecipazione. E, dopo 8 anni di astinenza, vogliono scegliersi i parlamentari. Hanno diritto a una legge elettorale democratica (proporzionale con preferenza e premio di maggioranza, o Mattarellum misto, o maggioritario con doppio turno francese) e a un Senato con funzioni diverse ma elettivo, senza svilire il Parlamento, né mortificare gli organi di garanzia né cancellare referendum e leggi popolari che anzi vanno potenziati. Questo atto di resipiscenza operosa non le farebbe perdere un voto, anzi la riconcilierebbe non con i gufi e i rosiconi, che non esistono. Ma con un mondo che è anche il suo: quello del centrosinistra tradizionale, dell’associazionismo, ma anche degl’imprenditori seri. Si legga, qui a fianco, le parole di Sabrina Ferilli (che sa ben interpretare il comune sentire della sinistra italiana) e Diego Della Valle (personaggio a lei non certo ostile). Scoprirà che le critiche servono a migliorare e a non sbagliare.



Da ciò che si è sentito oggi tirerà dritto a prescindere dagli emendamenti,il parlamento rimarrà occupato dalla querelle fino al tardo autunno,non è nient'altro che la sua prova di forza,se non ci sarà tempo per le politiche sull'economia e sull'occupazione le ricadute saranno sempre a carico dei soliti,e si potrà verificare se il 40% delle europee sarà una percentuale che si confermerà alle prossime elezioni politiche.

Come ho già scritto dalla Costamagna ieri sera,il patto del nazareno fa comodo ai vari poteri del paese,ciò che sponsorizzano le stelle e sel non lo prenderanno in considerazione,è considerato una deriva estremistica pericolosa e potrebbero mettere in crisi i soliti privilegiati.

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martedì 29 luglio 2014

Allucinazioni "nazarene"




Renzi e il patto del Nazareno: caro Pd, l’allucinazione sei tu?

di Luisella Costamagna

Ora però non hai più alibi. Anzi, la cosa più grave (e triste) è che le tue scelte e vicende attuali riscrivano parte della tua storia, ridefiniscano quelli cui abbiamo assistito in passato appunto come “alibi”. Il timore, in chi ha creduto in te e ti ha votato – timore sempre più fondato –, è che non sia stato l’avvento di Renzi ad averti fatto #cambiareverso, bensì che questa sia solo un’operazione di maquillage per rivelarti agli italiani per quello che, in fondo, sei sempre stato. Renzi come la tua “operazione trasparenza”. E quello che si vede è tutt’altro che piacevole. Immagina com’è difficile, per chi per anni ha combattuto al tuo fianco contro Berlusconi, vederti ora stringere patti segreti con lui. Cambiare la Costituzione, il Parlamento, il mondo del lavoro, la giustizia, nella direzione che lui avrebbe voluto e tu dicevi di combattere. Sentirti dire che è “un’allucinazione” e “una bugia” che la riforma elettorale e del Senato siano svolte autoritarie (come sostengono fior di costituzionalisti e i centinaia di migliaia di italiani che hanno sottoscritto l’appello di questo giornale), come avrebbe fatto un Capezzone qualunque, e togliere la voce a chi si oppone imponendo la ghigliottina.

Il tutto citando Fanfani. Immagina com’è doloroso, per chi ha creduto in te e nella tua presunta superiorità morale rispetto al centrodestra, assistere alle stesse inchieste, arresti, spartizioni di mazzette, e poi vedere salvati dalle stesse norme (che insieme avete votato) Penati e Berlusconi. Immagina com’è incomprensibile, e insieme illuminante, constatare che nonostante il M5s ti offra i suoi numeri sostanziosi su un piatto d’argento – tardivamente, ok, ma te li offra – per fare una legge elettorale migliore, ripristinare le preferenze, togliere l’immunità, istituire il reddito di cittadinanza, la legge sul conflitto d’interessi e tutte le altre cose che dicevate di voler fare una volta al governo, tu scegli sempre e comunque Berlusconi “anche se fosse stato condannato”.

Caro Pd, ora che non hai più alibi, che non puoi più dire “sono costretto”, bensì scegli consapevolmente questa strada, una voragine si apre nella mente del tuo elettorato: che – ripeto – non sia stato Renzi a cambiarti, ma che tu sia così, che lo sia sempre stato. Che l’allucinazione sia quella che gli avete fatto vivere in tutti questi anni: di essere alternativi e non due facce della stessa medaglia. In autunno i nodi economici verranno al pettine, le promesse di Renzi si misureranno (schianteranno?) con la realtà. E allora, magari, chiederà il voto. Lui se la caverà (forse di nuovo alla grande) e Berlusconi – libero ormai dai servizi sociali – pure. Ma tu? E il Paese? Un cordiale saluto.



Sono anni che i due "amici di merende" flirtano,da alcuni mesi hanno messo nero su bianco su come governare insieme senza nessuna foglia di fico.oltre tutto il popolo sovrano ha dato al toscano il 40% e al caimano circa il 19%.anche i conti tornano.

Le stelle pagano la mancanza di esperienza e soprattutto d'essere assolutamente poco graditi al sistema,anche se siamo gravemente in difficoltà chi tira i fili dell'economia preferisce l'usato sicuro,per costoro è molto meglio il pantano politico oggi smosso da fonzie solo per creare un po' d'atmosfera frizzantina,graditissima agli affezionati del duopolio.

Questo paese non ha mai fatto rivoluzioni poichè il potere sa benissimo come muoversi,ho già fatto l'elenco dei venditori di fumo della nostra storia,l'ultimo ha l'accento toscano!

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lunedì 28 luglio 2014

Minchiate sparse di fine luglio



Ma mi faccia il piacere

di Marco Travaglio

Biancaneve nei Boschi. “E la Boschi contestata si appella a Fanfani” (la Repubblica, 22-7). Va pazza per i nani.

Vigilantes. “Napolitano da Ciampi all'ospedale di Bolzano: 'È molto vigile'” (l'Unità, 26-7). Diversamente da lui.

Colpi. “Grillo: 'Questo è un colpo di Stato'. Renzi: 'No, è un colpo di sole'. Grillo: 'No, è un colpo di P2'” (dai giornali del 26-7). Grasso: “Il mio è un colpo di culo”.

Google Nap. “Non si agitino spettri di insidie e macchinazioni autoritarie” (Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica, 23-7). Perchè se no?

Giuliano Somara. “Galan: atto vile, manette al deputato per compiacere i pm” (Giuliano Ferrara, Il Foglio, 23-7). Gip, Giuliano, si dice gip. Studia, somaro.

Sputati ancora, Cick. “Se tornassimo con Silvio dovrei sputarmi in faccia” (Fabrizio Cicchitto, Ncd, l'Unità, 23-7). Una volta più una volta meno.

Cronoprogramma/1. “Riforma della giustizia entro il 20 agosto” (Andrea Orlando, Pd, ministro della Giustizia, l'Unità, 26-7). Mo' me lo segno.

Cronoprogramma/2. “Padoan alla Ue: per le riforme serve tempo” (La Stampa, 23-7). Tranqui, Pier, prenditela pure comoda: c'è tempo.

Crimi e misfatti. “Non rispondiamo delle nostre azioni” (Vito Crimi, M5S, 24-7). Perfetta continuità.

Pigi Ballista. “Dall'immunità totale alla galera per tutti: il trionfo dell'ipocrisia... Alfonso Papa? Dentro Poggioreale, con pubblica riprovazione. Poi il Gip ha revocato l'arresto di Papa, ma nell'ansia dell'autodafè, per assecondare il furore popolare, i parlamentari furono più zelanti dei magistrati” (Pierluigi Battista, Corriere della sera, 23-7). Naturalmente il Gip revocò l'arresto quando vennero meno le esigenze cautelari, non certo perchè Papa non andasse arrestato per concussione: infatti è sotto processo con rito immediato per concussione. Lo sanno tutti i giornalisti, quindi non Battista.

Appelli. “Silvio prepara l'appello per riunire i moderati” (Libero, 24-7). Ora che gliene andato bene uno, di appello, s'è innamorato della parola.

Mai più senza. “I futuri senatori già pensano ai loro portaborse. La riforma prevede il taglio dello stipendio dei parlamentari, non dei loro assistenti. E i consiglieri regionali si stanno organizzando. Dalla Lega al Pd, chiedono che siano confermati i loro 'collaboratori': 'A Roma ci servirà una mano'” (Corriere della sera, 21-7). Quattro mani rubano meglio di due.

Errani huanum. “Errani, addio con orgoglio : 'Fiero del lavoro fatto'. Le dimissioni e il commiato del presidente uscente dell'Emilia Romagna dopo la condanna a 1 anno per falso ideologico. L'aula tra applausi e commozione” (l'Unità, 24-7). Si aspettavano l'ergastolo.

Porcellum. “Una scrofa gigante mi insegnò a scrivere” (Beppe Severgnini, Corriere della sera, 24-7). Dai, Beppe, la battuta fattela tu.

Er Cloaca. “Immigrazione, non saremo la discarica d'Italia. Malattie scomparse, negli ultimi mesi sono tornate. A Treviso è morta una donna di tubercolosi” (Luca Zaia, Lega Nord, governatore del Veneto, Libero, 25-7). Pare che qualcuno si sia addirittura preso la zaia.

Er Fogna. “La giustizia italiana è un disastro, una fogna mondiale” (Enrico Morando, Pd, viceministro dell'Economia, Il Foglio, 24-7). Per uno che sta in Parlamento e/o al governo dal 1994, cioè per vent'anni, è una bella soddisfazione. Missione compiuta.

Balla coi Lupi. “Alitalia, Lupi attacca: 'Solo un marziano può capire i sindacati'” (La Stampa, 27-7). O eventualmente un lavoratore. Dunque, non Lupi.

Vaffanculla. “Berlusconi ha cercato invano di soffocarci nella culla” (Enrico Costa, Ncd, l'Unità, 27-7). Poi ha scoperto che non eravamo mai nati e ha lasciato perdere.

Compro una vocale. “Alfano a Renzi: 'Tra mille ci separiamo'” (dai giornali del 27-7). O ci spariamo.

Inquietante. “Attacchi al Quirinale e al premier. Un caso le parole del pm Di Matteo: '”Renzi tratta con un condannato'. Le reazioni: inquietante, fa politica” (Corriere della sera, 20-7). E dice addirittura la verità.

Manconi, che fare? “Il giudice apre le braccia al più incallito delinquente, Berlusocni proclama Marco Travaglio il più bravo giornalista italiano, Gesù lava i piedi alla peccatrice, il generale va a cena col lenone, l'erudito ama intrattenersi con l'analfabeta di ritorno...” (Luigi Manconi, senatore Pd, Il Foglio, 22-7). E anche questa settimana Manconi non se lo fila nessuno.



La migliore minchiata  risulta quella del richiamo fanfaniano della madonnina toscana,ma ho già dato sulla questione,tutto il resto è routine.

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domenica 27 luglio 2014

Lorenzin-De Girolamo:#QuantoCiVogliamoBeneSerenamente



@N_DeGirolamo

.@bealorenzin anch'io ti voglio bene e non sarà un giornalista ad interrompere la nostra amicizia.

De Girolamo, le cortesie con Lorenzin e la realtà dei fatti

di Marco Lillo

Ogni volta che vedo Nunzia De Girolamo in un talk show o leggo una sua intervista mi confermo nell’idea che la realtà in Italia è diventata ormai un universo parallelo rispetto alla rappresentazione dei media.


Oggi La Stampa pubblica le dichiarazioni dell’ex ministro delle Politiche agricole del Governo Letta: “La differenza tra me e Beatrice Lorenzin”, spiega De Girolamo, “è che io mi sono dimessa da ministro mentre lei è rimasta lì perché, dopo essere saliti tutti insieme sulla nave Italia per metterla in sicurezza, lei vuole accomodarsi in prima classe e prolungare all’infinito il viaggio con Renzi”. Il ministro della Salute, per carità di patria e di partito (Ncd), si limita a dire “non siamo usciti dal Pdl per restare al governo ma perché il Pdl stava prendendo una deriva estremista che io non ho esitato a definire Alba dorata” e chiude con un tweet mieloso e falso (dunque perfetto per la realtà parallela dei giornaloni, che infatti lo rilanciano con enfasi sui loro siti): #nunziativogliobene a cui verrebbe da rispondere con altri hastag come #chissenefrega o #Beatricetranquillacicrediamo.

Insomma, in questa realtà parallela in cui sguazzano i cronisti politici dei giornaloni la contesa è alta e si chiude sempre con un abbraccio tra compagni di partito, come un tempo accadeva dopo le liti tra Berlinguer e Napolitano nel Pci. In questa realtà parallela frequentata dai giornaloni le entrate e le uscite dei Governi sarebbero dovute a nobili motivazioni. Un marziano che leggesse solo questa stampa sarebbe indotto a credere che un ministro è rimasto per ostacolare la deriva del Pdl verso il modello neonazista greco mentre l’altro andava via perché la nave Italia era ormai in sicurezza. L’amore per la poltrona del primo ministro e la paura di essere sfiduciata davanti alle telecamere per il secondo, non hanno disturbato minimamente queste decisioni tormentate, ovviamente.

Parallela a questa realtà mediatica impregnata di motivazioni ideali e di alta politica scorre la miseria della realtà fattuale. In questo mondo poco praticato dai cronisti politici dei grandi giornali a noi è capitato di vedere qualcosa di diverso: Nunzia De Girolamo è stata costretta alle dimissioni dopo la pubblicazione sul Fatto di un’inchiesta giornalistica che partiva dalle registrazioni (depositate negli atti di un’indagine della Procura di Benevento ma ignorate dai grandi giornali) delle sue conversazioni nella sua casa di famiglia. Quelle registrazioni, carpite da uno dei suoi interlocutori a futura memoria, svelavano le sue pressioni per influenzare i manager della Asl di Benevento e per favorire un suo parente nella gestione di un bar dell’ospedale Fatebenefratelli.

Basta leggere le cronache di quei giorni per avvedersi che Nunzia De Girolamo non si è dimessa quando “la nave Italia” è stata messa in sicurezza. “Il marinaio De Girolamo” è stato indotto a scendere dal ponte perché il suo comportamento, rivelato dal lavoro egregio del nostro Vincenzo Iurillo, non era degno nemmeno di una nave sgangherata come l’Italia di Enrico Letta.

Allora De Girolamo aveva smentito di essere indagata ma nei primi giorni di luglio l’ex ministro ha ricevuto la proroga delle indagini dalla Procura di Benevento e i giornali ne hanno dato notizia. Solo in Italia, nemmeno un mese dopo avere ricevuto notizia ufficiale del suo status di indagato, un politico può riuscire a trasformare la macchia delle sue dimissioni in una medaglia scintillante da mostrare con orgoglio ai colleghi e alla stampa.



Le accuse di favoreggiamento e di risultare una piccola ras in gonnella nel beneventano,manco sfiorano il personaggio nello stare cautamente in silenzio e nell'attendere se ci sarà un processo quale sarà il verdetto.

L'ingranaggio all'interno del sistema deve presenziare in ogni caso,del resto la sua relazione con un esponente Pd certificano le larghe intese,i patti nazareni,etc,etc, e a livello mediatico l'assoluzione è già realtà.

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sabato 26 luglio 2014

La nuova Costituzione in balia di costoro




Ultimo termine l'8 agosto per far capire all'Europa intera che fonzie da firenze ce l'ha lungo,una fretta senza alcun senso trattandosi di temi così importanti,e se vi guardate in giro pare che interessi a pochi,i media e i seri problemi quotidiani fanno buon gioco.

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venerdì 25 luglio 2014

Riflessioni sulla condanna a morte



Pena di morte, siamo capaci di discuterne?

di Andrea Bellelli

A mio parere il nocciolo della questione non sta nel concetto della morte di Stato, banale, ma nel concetto della pena, assai più problematico. Non è necessario ideare nuove rappresentazioni del concetto di pena: sono state ampiamente sviluppate dai filosofi del diritto (la mia preparazione in merito è modesta e viene dai corsi di Medicina Legale che ho frequentato in passato; altri potrebbero certamente esprimersi in modo più conclusivo). Alcuni hanno ritenuto e ritengono che la pena sia soprattutto una punizione per un crimine commesso, ed un deterrente nei confronti delle recidive o di altri potenziali criminali. Le statistiche dicono che la pena di morte non è un buon deterrente, e che negli stati dove viene praticata non scoraggia il crimine violento; del resto già Cesare Beccaria aveva sottolineato l’importanza della certezza della pena piuttosto che della sua severità. Il vero deterrente è la ragionevole probabilità di essere condannato: il criminale non deve sperare di farla franca, a prescindere da quanto sarà grave la pena. Inoltre Umberto Eco aveva sottolineato che il ruolo della pena di morte come deterrente nei confronti di possibili crimini futuri utilizza il condannato a morte come un mezzo (per produrre e comunicare un messaggio), e questo non è moralmente lecito.

Una diversa interpretazione sociale della pena è il suo ruolo di rieducazione del condannato: la pena in questa prospettiva è un percorso riabilitativo obbligatorio, ed è ovvio che la pena di morte non può essere inserita all’interno di questa categoria. Il problema di questa prospettiva, naturalmente è che l’effettiva riabilitazione non si ottiene nel 100% dei casi, e dunque occorre elaborare una diversa funzione della pena per quei casi di criminali recidivi, che la pena non ha riabilitato; i sostenitori della pena di morte (se fossero furbi) potrebbero applicare le loro argomentazioni a questi soli casi.

Una interpretazione banale ma certamente efficace del ruolo della pena è quella che vede nella detenzione uno strumento per tenere temporaneamente lontano il criminale dalla società che è vittima dei suoi crimini: la pena impedisce la reiterazione dell’atto criminoso. Ovviamente questo concetto applica ai casi in cui l’atto criminoso può effettivamente essere ripetuto, e spesso l’atto criminoso che si può ripetere non è tale da prevedere la pena di morte neppure nei paesi dalla legislazione più spietata.

Discutere della pena di morte è certamente utile per la coscienza civile della società e dei cittadini; ma discutere significa evitare di banalizzare. E’ ovvio che la nostra coscienza civile ci pone dalla parte delle vittime, che auspichiamo il rispetto della legge, etc. Legge è però anche equità della pena e diritto del condannato; ed è anche ruolo sociale della pena. Non dobbiamo fermarci agli aspetti inerenti alla giusta punizione o alla umana pietà nei confronti del condannato: la pena di morte chiama in causa l’intera impostazione della filosofia del diritto e, in fondo, della nostra civilizzazione. Personalmente ritengo che ammettere nella propria legislazione la pena di morte sia una grave sconfitta dello stato e della sua civiltà: implica incapacità di recuperare il criminale, incapacità di controllarne la pericolosità sociale con mezzi meno drastici, incapacità di fornire modelli ed opportunità virtuose ai cittadini “a rischio” per comportamenti violenti. Ma forse pretendo troppo dalla nostra civiltà.



La pena capitale non è un deterrente,gli States da questo punto di vista fanno scuola,esiste anche il risvolto di chi ha soldi per pagarsi i migliori avvocati e non va certo nel braccio della morte anche se pesantemente accusato e condannato,un nome per tutti O.J. Simpson che in ogni caso sconta una pena sufficientemente pesante.

Sono d'accordo sulla certezza della pena e che sia proporzionalmente severa,in questo paese non vanno bene nè una,nè l'altra possibilità,se un criminale uccide una persona dopo 15-20 anni è fuori magari con la cosiddetta libertà vigilata,e non mi pare che sia una pena adeguata considerando i diritti della vittima e dei suoi familiari.

Gli orribili particolari delle ultime pene capitali negli States dovrebbero far riflettere gli stati che permettono una tale barbarie,ma se non l'hanno abolita sino ad ora prevedo tempi lunghissimi su tali riflessioni.

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giovedì 24 luglio 2014

Il concetto di "bugia" da Fanfani alla Boschi



Politici e bugie: le citazioni che stanno bene su tutto, un po’ come il beige

di Alessandro Robecchi

Sarebbe bello sapere in quale contesto – storico, politico, in riferimento a cosa, durante quale discorso – Amintore Fanfani ha pronunciato la frase “In politica le bugie non funzionano”. Maria Elena Boschi, ministra delle Riforme, ha ripetuto in aula quelle parole, ma siccome le citazioni vanno su tutto, come il beige, non sarebbe carino chiederle conto della genesi esatta di quelle parole. Insomma, tocca accontentarsi. E che la ministra Boschi abbia citato Fanfani, che tra piano casa e nazionalizzazioni oggi sarebbe una specie di rivoluzionario, non può che far piacere: hanno dunque anche qualche riferimento “di sinistra”.

Ma veniamo alla famosa frase: “In politica le bugie non funzionano”. Chissà cosa ne pensa Matteo Renzi. Uno che tra dicembre 2013 e febbraio 2014 disse cose come “Letta mangerà tanti panettoni”, o “Il Presidente del Consiglio per il 2014 di chiama e si chiamerà Letta”, o “Nessuno trama contro Enrico Letta”, o “Mai a Palazzo Chigi senza elezioni”. È strano che Matteo Renzi non abbia letto Fanfani, e dunque dobbiamo dedurre che se l’ha letto non ne ha tenuto conto. Possiamo perdonare invece a Fanfani di non aver visto in azione Renzi: l’avesse fatto forse non avrebbe pronunciato quel bizzarro aforisma.

Ma sia. Non si dica che si contesta una frase per attaccare la politica del governo. E in effetti il discorso su politica e bugie è assai più ampio attraversa epoche e legislature, fende, diciamo così, sia la politica che le bugie. Divertente, per esempio, che proprio mentre la ministra Boschi consegnava al mondo quelle perle di saggezza fanfaniana, gran parte della tifoseria renziana assistesse in estasi mistica al discorso autocelebrativo di Tony Blair in occasione del ventennale della sua elezione a premier britannico.

Lacrime e profonda ammirazione rimbalzavano su Twitter e Facebook, ma nessuno che ricordasse il famoso premier inglese esporre le sue “scientifiche e inoppugnabili prove” sulle armi di distruzioni di massa di Saddam. Prove che, si seppe in seguito, il grande Tony Blair aveva raccattato su internet come i ragazzini pigri delle medie quando fanno le ricerche con il taglia-e-incolla. Ecco un caso, uno dei tanti, su cui verificare l’affermazione di Fanfani rilanciata dalla Boschi: “Le bugie in politica non funzionano”. A chi lo chiediamo: alle centinaia di migliaia di civili innocenti morti in quella guerra che fu scatenata da una bugia? O ai postmoderni cantori italiani del blairismo? Insomma, comunque la mettiate, il combinato di politica e bugie ha ammazzato parecchia gente.

Che poi, a dirla tutta, questo fatto delle bugie che in politica non funzionano fa un po’ ridere, detta da un ministro delle Riforme che si vanta davanti all’aula dell’appoggio di Forza Italia alle sue riforme. La più grande fabbrica di bugie mai vista in politica, insomma, dal milione di posti di lavoro all’aiutare chi è rimasto indietro, a meno tasse per tutti, passando ovviamente per il classico dei classici (la nipote di Mubarak), si è trovata l’altro giorno ad applaudire una frase che smentirebbe, se fosse vera, tutta la sua storia. Dunque, a farla breve e senza nulla togliere a Fanfani buonanima, si può dire che la frase pronunciata con la veemenza dei missionari dalla ministra Boschi è, né più né meno, una bugia. Di più: è una bugia in politica. E a giudicare dai commenti benevoli dei giornali allineati e coperti che hanno lodato quel discorso, ha funzionato. Alla grande.



Vabbè,che i giornalisti allineati abbiano usato i soliti toni trionfalistici sulla ormai celebre dichiarazione della ministra madonnina ,mi pare che sia normale amministrazione.

Sulle contraddizioni di fonzie e il suo entourage,lo possono capire e ammettere sempre e solo i soliti,il ventennio può tranquillamente continuare...

E per dirle tutte,se il nuovo che è emerso,i cosiddetti quarantenni al governo portano ad esempio il bonsai Amintore,di fisico e di fatto,siamo messi bene,ci mancava una madonnina toscana nel ricordare ciò che è morto e sepolto di quell'epoca.

Siamo all'horror,titolo del film "Gli zombie sono tornati".

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mercoledì 23 luglio 2014

Le rivelazioni del fido Fede




Il direttore imbufalito “Difendete un ladro”

di Tommaso Rodano

Ah, il Fatto Quotidiano... Bene...”. La telefonata con Emilio Fede inizia con qualche secondo di silenzio. Si chiuderà tra le urla.

Direttore, la sento già perplesso...

Non sono perplesso, sono allucinato. Si mette insieme una vicenda, un’indagine importante, con un mascalzone patentato. Io rispondo in pieno delle parole rese a Di Matteo e a quell’altro... lì... i magistrati di Palermo. Ma non intendo rispondere di quello che mi mette in bocca questo farabutto.

Gaetano Ferri è un farabutto?

Guardi, basta che si fa una ricerca su Gogòl. Disertore, truffatore, delinquente. È stato in carcere.

Come l’ha conosciuto?

Quando è uscito di galera mi ha chiesto aiuto. Mi ha fatto impietosire. L’ho portato alla palestra di Angelo Caroli, in Corso Venezia, a Milano. Voleva fare il personal trainer. Mi ha fatto da allenatore per un po’. E lo sa come mi ha ripagato quel figlio di...? Registrava ogni parola che gli dicevo.

Quindi è sua la voce che parla dei “70 conti di Dell'Utri”?

(Alza il volume, ndr) Ma che cazzo dice? Ma secondo lei sono scemo? Ma che ne so dei 70 conti esteri? Ma siamo pazzi?

Non si arrabbi, mi spieghi.

Ferri è un montatore bravissimo, minuzioso. Ha preso i miei discorsi e li ha ribaltati, parola per parola.

Ha tagliato ogni parola?

Ti faccio un esempio: io parlo a un mio amico di “un giornale di diffamatori”. Dopo qualche minuto quell’amico mi chiede: “Cosa ne pensi di Padellaro?”. E alla fine mette la sua domanda prima del mio discorso, come se avessi parlato male del Fatto.

Quando lei parla di “mafia... soldi... Berlusconi”, hanno montato proprio ogni singola parola?

(Alza di nuovo la voce, ndr) Adesso mi stai facendo incazzare! Stai difendendo un delinquente.

Non difendo nessuno, direttore...

Ferri è un delinquente!

L’ha denunciato?

Certo. A maggio, alla Procura di Monza. Ricatto, tentata estorsione calunnia

Perché i suoi nastri sono stati depositati agli atti del processo sulla trattativa Stato-mafia?

È un truffatore. Un disperato. Ha fatto il giro dei giornali per tentare di vendere quegli audio. Ancora dieci giorni fa mi chiedeva 300 euro per pagare l’affitto.

Qualcuno ci sarà cascato, magari il Fatto. I magistrati dovrebbero arrestarlo!

Se i nastri sono contraffatti, lo faranno senz’altro, non crede?

(Ricomincia a urlare, ndr) State difendendo un truffatore!

Direttore, non dica così.

Mi stai rompendo i coglioni su un truffatore! Ma vaffanculo! (Clic. tu tu tu tu tu...)



Ma va! C'è ancora qualcuno in questo paese e nel mondo che si stupisce di queste ultime dichiarazioni,la maggior parte dei suoi sostenitori sa benissimo di che brutta pasta è fatto,è questo paese che tollera qualsiasi cosa poichè ne è molto simile.

P.s.

Il fido giornalista sicuramente smentirà il tutto,adducendo qualsiasi spiegazione,smentirebbe di chiamarsi per nome e cognome...

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martedì 22 luglio 2014

Israele - Palestina:L'odio e la distruzione fino alla notte dei tempi




Nessuno può ostacolare il diritto a difendersi,ma tutti devono prendere atto della mostruosa reazione messa in atto e più volte da Israele,il modo "migliore" per far continuare l'odio e la mattanza per sempre.

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lunedì 21 luglio 2014

Minchiate sparse continuano a luglio



Ma mi faccia il piacere

di Marco Travaglio

Sette a zero. “Da 7 anni a zero, io proprio non capisco. Con Berlusconi non ce l'ho mai avuta, però vorrei domandargli: che cosa andava a fare Ruby a casa sua?” (Imane Fadil, modella marocchina, parte civile nel processo Ruby-bis,la Repubblica,20-7). Che domande:ad ammirare la sua leggendaria collezione di farfalle.

Silviomat. “Assolto.Chi paga?” (il Giornale, 19-7). Che domande: i testimoni li paga sempre lui.

Stonini. “Con l'assoluzione di Berlusconi Forza Italia è più serena e tutto ciò ci aiuta a fare le riforme. Una cosa fondamentale. Noi ci vogliamo confrontare con il Centrodestra e con Berlusconi sulla politica e non sui suoi processi. Il centrosinistra è stato troppo subalterno a una certa forma di anti-berlusconismo. Ma con Renzi è tutto finito. Tanti personaggi della televisione, dei giornali, dei talk show e diversi intellettuali hanno fatto la loro fortuna su questo. Addirittura criticavano i nostri leader per essere troppo poco anti-berlusconiani. È un bene che ci siamo liberati della subalternità all'anti-berlusconismo. È stata la premessa per la ripresa del Pd, portata avanti con Renzi. Il Fatto, la Repubblica, Travaglio? Alcune di queste realtà hanno una cultura del contro e non del proporre. Ma per fortuna con Renzi il Pd ha vinto questa battaglia e ha detto stop” (Giorgio Tonini, vicecapogruppo Pd al Senato, affaritaliani.it  , 19-7). Ed è con grande gioia che annuncio la confluenza del Pd in Forza Italia.

Bianco, rosso e Verdini. “Associazione a delinquere e bancarotta per Verdini. Rinvio a giudizio per il senatore di FI. L'accusa: reati finanziari alla dirigenza del Credito cooperativo” (dai giornali del 16-7). E ora, per far contento Tonini, è il momento di liberarsi dell'anti-verdinismo. Ma per fortuna con Renzi il Pd ha vinto questa battaglia e ha detto stop.

Porcellinum. “Il relatore Calderoli presenta la riforma del Senato in aula e la critica: 'Va modificata'” (La Stampa, 15-7). Se ne sente il profumo a distanza.

Autocoscienza. “C'è voluto del coraggio a nominarmi relatore di maggioranza: è come dare una pistola carica al serial killer e sperare che non faccia una strage” (Roberto Calderoli, Lega Nord, La Stampa, 15-7). È che serviva un esperto.

Il relatore mancato. “Notte brava per Grignani: sotto l'effetto di alcol e droga picchia due carabinieri. Arrestato a Riccione” (La Stampa, 14-7). Peccato, per riformare la Costituzione era proprio l'ideale.

Che faccio, vi caccio? “Berlusconi: chi vota contro esce da FI” (la Repubblica, 16-7). E stavolta non può neanche entrare nel Pd.

Doppia minaccia. “Renzi all'Europa: 'Sì alla Mogherini o tocca a D'Alema'” (la Repubblica, 16-7). Massima solidarietà all'Europa.

Lo sponsor. “Voi che riperticate le Bonino e i D'Alema, lasciate lavorare Renzi e i suoi. È l'ora dei quarantenni, se incompetenti il giusto, meglio ancora. Mogherini tutta la vita” (Giuliano Ferrara, il Foglio, 17-7). Ma allora è proprio vero che la Mogherini è spacciata.

Consecutio temporum. “La Mogherini da Gerusalemme liquida le critiche: polemiche strumentali. 'Io filo-russa? Ma Putin l'ho visto dopo gli ucraini'” (la Repubblica, 17-7). E non mi ha nemmeno riconosciuta.

Bovo Ramazza/1. “Expo, Maroni indagato per le assunzioni di due fedelissime. La replica: 'Sorpreso ma sereno'” (la Repubblica, 15-7). Le due fedelissime: “Serene ma non sorprese”.

Bobo Ramazza/2. “Indagato per presunte assunzioni clientelari, Maroni si difende in Regione: 'Il mio faro sono le leggi'” (il Giornale, 16-7). Mi hanno accecato a tal punto che non le ho più viste.

Avanti piano. “Europa, un piano per la crescita” (La Stampa, 16-7). Il famoso piano terra. Arrivano i vostri.

“LaSantanchèvuole‘l'Unità’. La redazione chiede aiuto a Renzi” (Libero, 15-7). Comunque vada, sarà un successo.

Fughe di corna. “Ora penso solo a salvare il mio matrimonio” (Amedeo Matacena, FI, latitante a Dubai, la Repubblica, 14-7). Dalle insidie di quel gran figo di Scajola.

Trattative. “Prove di trattativa tra Pd e 5Stelle” (Corriere della sera, 18-7). Quella con la mafia è riuscita decisamente meglio.

Dovere di cronaca. “Maria Elena Boschi ieri in Aula ha giocato ripetutamente con l'anello che porta all'anulare sinistro” (Corriere della sera, 17-7). “L'anello di Maria Alena Boschi ha destato molta curiosità” (Repubblica, 17-7). Agenzia Sticazzi.

Quasi indietro. “Draghi: 'La ripresa è ancora moderata'” (Corriere della sera, 15-7). Timi-dona.

Cronoprogramma. “Renzi accelera, legge di Stabilità per Ferragosto” (Corriere della sera, 14-7). Così magari gli italiani non se ne accorgono.

Gianni e Pinotti. “F-35, dopo i guasti la Pi-notti frena: 'Non compreremo nulla che non sia perfettamente funzionante'” (la Repubblica, 16-7). Visto che ve li paghiamo 15 miliardi, prima montateci almeno le ali.

Generazione Telemaco. “Abusò delle alunne, il prof patteggia 2 anni. Ora non potrà più insegnare” (Corriere della sera, 16-7). Non gli resta che la carriera politica.

D'Alimonte ha detto no. “Il nuovo Senato ha troppa influenza” (Roberto D'Alimonte, politologo e consulente di Renzi, Corriere della sera, 16-7). Pare che i nuovi senatori dovranno pulire il cesso al premier, ma solo su base volontaria.



Oltre la sentenza di assoluzione del vecchio satrapo,poco o niente all'orizzonte,l'effetto fonzie sta appiattendo in modo ripetitivo sulle minchiate settimanali.

Solo una spicca,la volontà della santadechè ad acquistare L'unità,con fonzie al governo e con il patto al nazareno,Gramsci non finirà più di rotolarsi nella tomba.

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domenica 20 luglio 2014

#ItalianiStateSereni




Renzi e i suoi musicanti nel Paese dei ‘Perché no?’

di Luisella Costamagna

Cari “musicanti del Premier”, come vi ha definito qualche giorno fa Eugenio Scalfari (che ha lasciato la banda), avete presente il ventennio berlusconiano? Se sì, saprete che può essere diviso in due fasi.
La prima razionale, in cui ci si scontrava sul merito: rivoluzione liberale, cosa pubblica come un’impresa, “un milione di posti di lavoro” da un lato; conflitto d’interessi, leggi ad personam, “odore dei soldi” di dubbia provenienza dall’altro.

La seconda fase è stata più irrazionale, pura tifoseria: se insistevi con critiche circostanziate, ti si rispondeva con visceralità da stadio: “Uff, la solita lagna”, “siete ossessionati”, “meno male che Silvio c’è”.

Con Renzi, complice il vostro concerto, sembra di essere già nella fase due (beninteso, senza inchieste e interessi personali): puro innamoramento. Le “farfalle nella pancia”, la mano che ti sfiora e non capisci più niente. Ma proprio niente. Il razionale si ferma alla facciata: è giovane, è nuovo, vuole cambiare le cose. Punto. Un paese innamorato, ipnotizzato, e in attesa: “Se sono rose fioriranno, facciamolo provare”.

Renzi lo sa: chi ha davanti pende dalle sue labbra. Così dona “baci perugina” (slogan, battute, annunci) e liquida come “gufo” (invece di rispondere nel merito) chi si permette di fare qualche pulce, di riportare il dibattito su un piano razionale. Berlusconi a volte ha trovato la strada in salita perché, nonostante il consenso degli elettori, aveva contro una parte significativa del blocco media/classe dirigente. Renzi no. Gode dell’innamoramento di entrambi, e il “lavoro” dei secondi (voi musicanti) alimenta l’invaghimento dei primi. Come fa la signora Maria a capire se il divino Renzi ha la pancetta, se viene sempre photoshoppato? Nel dubbio, il poster in camera resta.

Così innamorata, l’Italia è diventata il paese del “Perché no?”. Il “Yes, we can” obamiamo (importato, non a caso, dal renziano Veltroni) si è trasformato nel “Sì, con me tutto è possibile”. Madia e Boschi ministre? Perché no? Senato di nominati con immunità? Chi vince prende tutto senza contrappesi? Perché no? Tutto è possibile: non solo fare cose che faceva Berlusconi (norma ad personam per la condanna in primo grado per danno erariale da presidente della Provincia; o frasi silviesche come “L’Italia è molto più forte di come si racconta in sede internazionale”), ma anche quello che non è riuscito a fare (stravolgere il Parlamento, o togliere l’articolo 18 ai neoassunti).

Senza contare l’averlo scelto come interlocutore da condannato, incandidabile e pure decaduto. Sì, tutto questo, e altro, ora è possibile. Senza scandalo. Tanto poi voi musicanti intervistate Renzi e scrivete “Si è svegliato alle 5 del mattino per leggere il suo livre de chevet”, “premier multitasking”, “Lui c’è”(mano nera Dio?), e via a incensare; mentre pochi altri – come questo giornale – sono gufi. Più che in Telemaco, gli italiani dovrebbero immedesimarsi in Ulisse e farsi legare, per resistere alle vostre sirene.

Cari musicanti, ok la fiducia in un governo, ma così non è troppo? Non è questione di essere gufi, ma solo – come scrive Galli della Loggia – bisogno di verità. Per capire se l’innamoramento può lasciare il posto all’amore. O se è solo un’infatuazione.

Un cordiale saluto.






Questa è la storia d'Italia e degli italiani,divisi da campanilismi più assurdi e a maggioranza coesi verso l'uomo forte che sa parlare,promettere qualsiasi cosa,insomma bravi ad incantare il popolo.

Lo è stato Mussolini,in qualche maniera il gobbetto che andava in chiesa tutte le mattine,il ruba tutto Craxi e per vent"anni il caimano che continua con il figlio che avrebbe voluto ad avere il potere.

Il terreno fertile dell'uomo forte è rappresentato anche dall'uomo spettacolare e carismatico che guida l'attuale opposizione,più che una democrazia ad una consistente maggioranza d'italiani piace una soft dittatura da cui pendere dalle labbra,la storia insegna.

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sabato 19 luglio 2014

Una sentenza al di là delle più rosee previsioni.....



Innocente a sua insaputa

di Marco Travaglio

Ormai è un giochino un po’ frusto, ma ben si attaglia al nostro caso: Silvio Berlusconi è innocente a sua insaputa. Da settimane sia lui sia i suoi legali davano per scontata una condanna anche in appello, almeno per le telefonate intimidatorie alla Questura di Milano per far affidare Ruby al duo Minetti-Conceicao, ed escludevano dal novero delle cose possibili la sconcertante assoluzione plenaria che invece è arrivata ieri. Speravano in uno sconto di pena per la concussione; e confidavano nella vecchia insufficienza di prove per la prostituzione minorile. Non era scaramanzia, la loro. E neppure sfiducia congenita nelle “toghe rosse”, nel “rito ambrosiano” e nei giudici “appiattiti” sui pm: questa è propaganda da dare in pasto agli elettori-tifosi più decerebrati. Ma B. e i suoi avvocati sanno benissimo che ogni collegio giudicante fa storia a sé, come dimostrano i tanti verdetti favorevoli al Caimano proprio a Milano (molte prescrizioni, anche grazie a generose attenuanti generiche, e poche assoluzioni). Perché allora l’avvocato Coppi confessa, in un lampo di sincerità, che l’assoluzione va al di là delle sue più rosee aspettative? Perché sa bene che il primo dei due capi di imputazione, quello sulle ripetute telefonate di B. dal vertice internazionale di Parigi ai vertici della Questura, è un fatto documentato e pacificamente ammesso da tutti: ed è impossibile negare che, quando un capo di governo chiede insistentemente un favore a un pubblico funzionario, lo mette in stato di soggezione o almeno di timore reverenziale. Che, nel diritto penale, si chiama concussione. Magari non per costrizione (come invece ritenne il Tribunale), ma per induzione (come sostennero la Procura e, nel nostro piccolo, anche noi con l’articolo di Marco Lillo di qualche giorno fa). Se il processo si fosse concluso entro il 2012, entrambe le fattispecie di concussione sarebbero rientrate nello stesso reato, con pene graduate. Il 30 dicembre 2012, invece, il governo Monti e la maggioranza di larghe intese Pd-Pdl varò la legge Severino che scorporava l’ipotesi dell’induzione, trasformandola in un reato minore, di cui rispondono anche le ex-vittime trasformate in complici (ma la Procura di Bruti Liberati, testardamente, ha sempre difeso i vertici della Questura, insistendo a considerarli vittime). In pratica, nel bel mezzo della partita, si modificò la regola del fuorigioco, alterando il risultato finale. Cambiata la legge, salvato il Caimano.
Ora vedremo dalle motivazioni della sentenza in che misura quella scriteriata “riforma” – fatta apposta per salvare Penati e B., nella migliore tradizione dell’“una mano lava l’altra”, anzi le sporca entrambe – ha inciso sul verdetto di ieri. Ma il sospetto è forte, anche perché – come osserva lo stesso Coppi – “i giudici non potevano derubricare il reato” dalla concussione per costrizione al nuovo reato di induzione: le sezioni unite della Cassazione, infatti, hanno già stabilito che l’induzione deve portare un “indebito vantaggio” a chi la subisce. E i vertici della Questura non ebbero alcun vantaggio indebito, affidando Ruby a Minetti&Conceicao: al massimo evitarono lo svantaggio indebito di essere trasferiti sul Gennargentu. Dunque pare proprio che la sentenza di ieri, più che Tranfa (il presidente della II Corte d’appello), si chiami Severino. Vedremo se reggerà davanti alla Cassazione. Che potrà confermarla, chiudendo definitivamente il caso; oppure annullarla per motivi di illegittimità, ordinando un nuovo processo di appello e precisando esattamente i confini della costrizione e dell’induzione. E non osiamo immaginare che accadrà se nel processo Ruby-ter si accerterà che le Olgettine, principali testimoni del bunga-bunga, sono state corrotte dall’imputato del Ruby-uno per mentire ai giudici: ce ne sarebbe abbastanza per una revisione del processo principale, inficiato dalle eventuali false testimonianze di chi avrebbe potuto provare ciò che, a causa delle loro menzogne, non fu ritenuto provato. Nell’attesa, alcuni punti fermi si possono già fissare.

1) Chi sostiene che questo processo non avrebbe mai dovuto iniziare non sa quel che dice. Il giro di prostituzione, anche minorile, nella villa di Arcore, così come le telefonate di B. alla Questura, sono fatti assolutamente accertati, dunque meritevoli di una verifica dibattimentale (doverosa, non facoltativa) in base a due leggi del governo

B. (Prestigiacomo e Carfagna sulla prostituzione minorile) e a una terza votata anche dal Pdl (Severino). Tanto più che la Corte d’appello, se giudica insussistente il fatto (cioè il reato) della concussione/ induzione, ritiene che invece il fatto degli atti sessuali a pagamento con Ruby sussista eccome, ma non costituisca reato (forse per mancanza di dolo o “elemento soggettivo”: cioè perché non è provato che B. sapesse della minore età di Ruby).

2) L’assoluzione in appello non significa che la Procura che ha condotto le indagini e il Tribunale che ha condannato B. abbiano sbagliato per dolo e colpa grave e vadano dunque puniti in base alla tanto strombazzata “responsabilità civile”: sia perché gli errori giudiziari non sono soltanto le condanne degli innocenti, ma anche le assoluzioni dei colpevoli, sia perché tutti i magistrati hanno deciso in base al proprio libero convincimento sulla base di un materiale probatorio che, dal punto di vista fattuale, è indiscutibile (i soli dubbi riguardavano se B. avesse consumato atti sessuali con Ruby e se fosse consapevole dell’età della ragazza, che indubitabilmente si prostituiva lautamente pagata).

3) Il discredito nazionale e internazionale per B. non è dipeso dalla condanna di primo grado (giunta soltanto un anno fa, dopo la sconfitta elettorale), ma dai fatti emersi dalle indagini con assoluta certezza: il giro di prostituzione nelle sue ville, l’abuso di potere delle telefonate alla Questura, i milioni di euro alle Olgettine dopo l’esplodere dello scandalo e le tragicomiche giustificazioni (“nipote di Mubarak”, “cene eleganti” e simili) sfoderate dal protagonista su quelle condotte indecenti. Indecenti in sé: lo erano ieri e lo sono anche oggi. A prescindere dalla loro rilevanza penale, visto che nessuna sentenza di assoluzione potrà mai dire che quei fatti non siano avvenuti.

4) Sarebbe puerile collegare la sentenza di ieri con l’atteggiamento remissivo di B. sulle “riforme” e sul governo Renzi: se il Caimano s’è trasformato in agnellino, anzi in zerbino del Pd, è perché spera sempre nella grazia da Napolitano o da chi verrà dopo (che lui confida di concorrere a eleggere con la stessa maggioranza delle “riforme”). Non certo perché i giudici, giusti o sbagliati che siano i loro verdetti, prendano ordini dal governo o dal Pd. Altrimenti non si spiegherebbero le tre condanne in primo grado che B. si beccò fra il 1997 e il '98, nel bel mezzo dell’altro inciucio: quello della Bicamerale D’Alema.

5) Nessuna sentenza d’appello può più “riabilitare” B.: né per i fatti oggetto del processo Ruby, che sono in gran parte assodati; né per quelli precedenti, che appartengono ormai alla storia, anzi alla cronaca, e nera. Ieri si è deciso in secondo grado sulle telefonate alla Questura e sulla prostituzione minorile di Ruby, non si è condonata una lunga e inquietante carriera criminale. Quale reputazione può mai invocare un pregiudicato per frode fiscale, ora detenuto in affidamento in prova ai servizi sociali, che per giunta si circondava di un complice della mafia come Dell’Utri, attualmente associato al carcere di Parma, e di un corruttore di giudici per comprare sentenze in suo favore come Previti, cacciato dal Parlamento e interdetto in perpetuo dai pubblici uffici? Mentre si discute sul reato o meno di riempirsi la casa di mignotte, e si chiede ai giudici di dirci ciò che sappiamo benissimo da noi, si dimentica che in quella stessa casa soggiornò per due anni il mafioso sanguinario Vittorio Mangano. Nemmeno quello è un reato: ma è un fatto. Molto più grave di tutti i reati mai contestati all’imputato B. Erano i primi anni 70 e Renzi non era ancora nato. Ma è bene ricordarglielo, specialmente ora che il Caimano rialza il ca-pino. Quousque tandem, Matteo, gabellerai l’ex Papi Prostituente per un Padre Costituente?



Non commento le riflessioni di Travaglio,che in ogni caso ha fatto bene a ribadire i ripetitivi concetti aggiungendo il cambio delle regole fatto dai soliti amici di merende.

Io personalmente punto il dito a chi ha permesso tutto ciò,ovvero il neo 40% fonziano,in aggiunta al neo meno nutrito 19% caimano,se gli amici di merende non avessero tanti proseliti il cambio delle regole non sarebbe stato possibile,le maggiori responsabilità sono del popolo sovrano.

La storia d'Italia diventa sempre più ridicola e disonesta,ma piace così!

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venerdì 18 luglio 2014

Tra nominati intoccabili e disoccupati alla canna del gas



Crisi: sei povero? Calma, la riforma del Senato è quasi pronta

di Alessandro Robecchi

Chissà come sono contenti della riforma del Senato i sei milioni e ventimila poveri assoluti d’Italia, aumentati nell’ultimo anno di un milione e 206 mila unità. E chissà come sono entusiasti del nuovo corso i dieci milioni di poveri “relativi” e come gongolano vedendo che le priorità di chi li governa riguardano il castigo per i senatori dissidenti, le mediazioni di Calderoli e il patto del Nazareno. Faranno la òla, altroché, di fronte al nuovo che avanza. Per ora il “nuovo” è che loro aumentano a ritmo spaventoso, e un altro “nuovo” è che la povertà – anche quella assoluta – riguarda anche gente che lavora. Come dire che il disagio e l’indigenza non sono più (da un bel pezzo) faccende di marginalità, ma componenti strutturali del paese (il 10% di poveri assoluti, quasi il 15% di poveri relativi), componenti strutturali a cui si presentano priorità come “governabilità”, “stabilità” e non, come si sarebbe detto un tempo, pane e lavoro.

I dati Istat diffusi lunedì, come spesso fanno i numeri, specie se spaventosi, fanno un po’ di giustizia di tanti discorsetti teorici. Uno su tutti: l’eterna, noiosissima, stucchevole diatriba su destra e sinistra. Categorie vecchie: ora va di moda il sopra e sotto, il di fianco, l’oltre, e altre belle paroline utili all’ammuina. Poi, in una pausa della creatività ideologica corrente, arrivano quei numeri a ricordare che la forbice della diseguaglianza continua ad aprirsi, che i poveri aumentano (di moltissimo) e che il paese è ormai due paesi: chi ce la fa e chi non ce la fa. Con in mezzo chi ce la fa a fatica e vive nel terrore del passaggio di categoria, verso la retrocessione, ovviamente. A questi ultimi sono andati gli 80 euro di Renzi: un po’ di ossigeno ai “quasi poveri” che un tempo si sarebbero detti ceto medio.

I numeri dell’Istat sono il solo vero discorso politico sentito in Italia negli ultimi mesi. L’unico che meriti di essere approfondito, un filino più serio dei pranzetti con Verdini, degli incontri in streaming, della pioggia di emendamenti sulla riforma della Costituzione. Un discorso che dovrebbe parlare anche a quella sinistra dispersa e bastonata che si oppone (ah, si oppone?) alle larghe e larghissime intese. Un solo punto, un solo programma, basta una riga: ridurre le distanze, attenuare le differenze, diminuire le diseguaglianze.

Le cifre dell’Istat – e le persone che mestamente ci stanno dietro – indicano l’unica vera priorità del paese, altro che Italicum. E sarebbe interessante capire, sia detto per inciso, quanti di quei milioni di nuovi poveri, assoluti o relativi, sono scivolati indietro a causa dell’affievolirsi della parola “diritti”.

Parola vecchia, bollata come conservatrice. E così non è più un diritto il lavoro, non è più un diritto la casa, e di scivolata in scivolata, la povertà diventa questione privata, colpa individuale e non, come dovrebbe essere, piaga pubblica e sociale. Il “governo più di sinistra degli ultimi trent’anni” (cfr. Matteo Renzi, febbraio 2014) non solo ha altre priorità, ma pare intenzionato a intaccare alcune forme di welfare (la cassa integrazione in deroga, per dirne una) facilitando, e non contrastando, lo scivolamento verso l’indigenza di altre centinaia di migliaia di italiani. Per questo i numeri dell’Istat sono il solo vero discorso politico sentito negli ultimi tempi: dicono di come oggi una sinistra che lotti contro le diseguaglianze non esista, e di quanto invece ce ne sarebbe bisogno. Come il pane. Appunto.



Quanto è demodè Robecchi,pubblicare tutte queste macerie sociali in contrapposizione allo splendido esecutivo forte del 40% incassato alle europee.

Parrebbe che al Fatto quotidiano,giornalisti e lettori vivano una realtà parallela surreale e inesistente,al contrario i vostri competitor che vanno per la maggiore,nascondono le macerie sotto il tappeto e riescono parecchio bene nell'intento.

Lasciatelo lavorare,dopo vent'anni di caimano un po' d'acqua che si muove nello stagno può fare effetto,se tra qualche tempo le aspettative saranno disattese,dal cilindro del prestigiatore salterà fuori un altro personaggio,e la fanfara continuerà a suonare per chi vorrà ascoltare.

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giovedì 17 luglio 2014

Firma anche tu contro i ladri della democrazia

Contro i ladri di democrazia, no al Parlamento dei nominati e all’uomo solo al comando – Firma la petizione

Contro i ladri di democrazia, no al Parlamento dei nominati e all’uomo solo al comando – Firma la petizione


CLICK PETIZIONE IL FATTO QUOTIDIANO

LE CONTRORIFORME dell’Italicum e del Senato delle Autonomie, concordate dal governo con il pregiudicato Silvio Berlusconi e il plurimputato Denis Verdini,

- consentono a un pugno di capi-partito di continuare a nominarsi i deputati a propria immagine e somiglianza (con le liste bloccate per la Camera), addirittura aboliscono l’elezione dei senatori (scelti dalle Regioni fra consiglieri e sindaci, ridotti a un ruolo decorativo e per giunta blindati con l’immunità-impunità) e tagliano fuori i partiti medio-piccoli (con soglie di sbarramento abnormi);

- trasformano il Parlamento nello zerbino di un premier-padrone, “uomo solo al comando” senza controlli né contrappesi, con una maggioranza spropositata che gli permette di scegliersi un presidente della Repubblica e di influenzare pesantemente la Corte costituzionale, il Csm, la magistratura e l’informazione televisiva e stampata;

- espropriano i cittadini dei residui strumenti di democrazia diretta: i referendum (non più 500mila, ma addirittura 800mila firme) e le leggi di iniziativa popolare (non più 50mila, ma addirittura 250mila firme).

DICIAMO NO ALLA SVOLTA AUTORITARIA, come i migliori costituzionalisti italiani hanno definito il combinato disposto delle due controriforme, ispirate – consapevolmente o meno – al “Piano di Rinascita Democratica” della loggia P2 di Licio Gelli.

DICIAMO SI’ A UNA DEMOCRAZIA PARTECIPATA e vi chiediamo di sostenere solo riforme istituzionali che rispettino lo spirito dei Padri Costituenti del 1946-48: restituendo ai cittadini il diritto di scegliersi i parlamentari e coinvolgendoli nella cosa pubblica; tutelando le minoranze e le opposizioni; allargando gli spazi di partecipazione diretta alla formazione delle leggi; limitando l’immunità parlamentare alle opinioni espresse e ai voti dati e abolendo i privilegi impunitari in materia di arresti, intercettazioni e perquisizioni; combattendo i monopòli e i conflitti di interessi, specie nel mondo della televisione e della stampa; ampliando l’indipendenza e l’autonomia dei poteri di controllo, dalla magistratura all’informazione.

Antonio Padellaro, Marco Travaglio, Peter Gomez e la redazione del Fatto Quotidiano



Appena firmato contro l'uomo solo al comando,un concentrato di annunci e promesse che si finalizzano nel parlamento di nominati e intoccabili.

Ovvero come tornare indietro di decenni grazie a un logorroico toscano.

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mercoledì 16 luglio 2014

Occhio per occhio,dente per dente e non solo in Palestina



La banalità della vendetta

di Massimo Gramellini

Un giovanotto è stato accoltellato vicino alla stazione di Napoli da un gruppo di ragazzi del luogo perché aveva l’accento romano. Nel vibrare il colpo gli hanno gridato: «Questo è per Ciro», con ciò attribuendosi una patente di vendicatori che nei loro codici deve risuonare particolarmente nobile. Ciro è il tifoso napoletano ucciso per strada a Roma da un ultrà.

La morte di quel povero ragazzo ha messo in moto il meccanismo tribale che ci portiamo dentro come una maledizione: l’elegia della vendetta. Ce la iniettano a piccole dosi fin dall’infanzia: nei proverbi, nei film e nei telegiornali, che da decenni dedicano uno spazio inesorabile alla faida israelo-palestinese, dove a ogni brutalità segue una brutalità di segno opposto e tutti si sentono giustizieri, mentre sono anche carnefici.

Un po’ ovunque nel mondo, la vendetta viene non solo giustificata, ma considerata necessaria per ristabilire l’equilibrio violato. Chissà cosa succederebbe se una delle due fazioni, in Palestina come più modestamente sulla tratta Roma-Napoli, reagisse all’ennesimo agguato dicendo: «Vi perdoniamo». Non potremo saperlo mai, probabilmente. Solo immaginarlo. Immaginare la sorpresa della controparte, lo scompaginamento di ogni schema prefissato, la vita che smette di essere un susseguirsi di azioni e reazioni per diventare un gioco diverso, dove l’uomo resiste all’impulso negativo e lo trasforma di segno. Non sarebbe una scelta molto più risolutiva di una banale vendetta, che offre soltanto un pretesto al prossimo oltraggio da vendicare?



Penso che ammazzarsi per una partita di calcio nella contrapposizione tra tifosi sia un'idiozia gigantesca,basterebbe fare una riflessione di un nanosecondo nel comprendere per chi e cosa ci si mette in gioco in quel modo.

Seppur l'idiozia per certi versi regni sovrana anche nell'odio tra palestinesi e israeliani,perlomeno su quelle latitudini ci si odia per la sopravvivenza,anche se le forze in gioco parrebbero come Davide senza fionda contro Golia,quei massacri soprattutto da una parte continueranno fino alla notte dei tempi,essendo l'allontanamento fisico tra i due popoli impossibile.

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martedì 15 luglio 2014

Il mondiale di calcio in Brasile




ManoMessi

di Massimo Gramellini

Agli albori del nuovo Reich, mezzo mondo accusa il piccolo grande sconfitto Lionel Messi di non essere colui che in fondo non è mai stato. Follie moderne, da anime deboli che elemosinano leadership forti. Messi ha sempre avuto più talento che carattere. Del fuoriclasse ha i piedi, non la personalità. Ma bisognava trovare un eroe a cui intestare i Mondiali e gli sponsor e gli appassionati hanno caricato Messi di significati maradonici che non si è mai sognato di possedere. Adesso lo si processa per non avere mantenuto le promesse, dimenticando che erano promesse fondate su un’illusione non suggerita da uno straccio di fatto. Lo stesso cortocircuito dell’assurdo si era consumato anni fa intorno a Obama, un brillante intellettuale di Chicago casualmente di colore che il desiderio collettivo trasformò nel messia destinato a condurre l’Occidente oltre le sabbie della crisi, con i bei risultati che si sono visti.
Questo bisogno disperato di uomini soli al comando su cui scaricare aspettative e responsabilità ricorda il meccanismo di certi innamoramenti, quando l’amante impresta all’amato o all’amata una serie di qualità inesistenti e poi rimane deluso dallo scoprire che in effetti non esistono. I leader sono marchi di riconoscimento che per comodità comunicativa appiccichiamo a un evento o a un’epoca. Con buona pace di politologi e giornalisti attratti dal mito del Capo taumaturgo, ci vuole lo sforzo comune di tante persone per cambiare davvero la realtà. Al Maracanà non ha vinto un leader, ma una squadra.



Sono i media nell'aver insistito a paragonare da anni i due giocatori,le aspettative sono state disattese,rimane un ottimo giocatore alle prese di un male oscuro,e solo per questo motivo ci si deve preoccupare,è da più di un anno che soffre di questa condizione.
Ha vinto la squadra migliore grazie a un formidabile collettivo,inoltre quasi sempre la Germania arriva in fondo alla competizione,a volte pur avendo poca qualità.

Stona e non poco il premio Fifa attribuito al miglior giocatore dei mondiali assegnato alla pulce argentina,Ames Rodriguez o in alternativa Mascherano e Muller avrebbero avuto più meriti,un'altra testimonianza della scarsa credibilità del carrozzone pallonaro.

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lunedì 14 luglio 2014

Minchiate sparse di metà luglio




Ma mi faccia il piacere

di Marco Travaglio

Il Santo Stalker. “Sono le 5 del pomeriggio di giovedì 10 luglio ed è la terza volta che incontro Papa Francesco per conversare con lui... Questi nostri incontri li ha voluti Papa Francesco... Il Papa ritiene che un colloquio con un non credente siffatto sia reciprocamente stimolante e perciò vuole continuarlo; lo dico perchè è lui che me l'ha detto” (Eugenio Scalfari, la Repubblica, 13-7). Non avendo nulla da fare tutto il giorno, quel petulante di Bergoglio si annoia a morte e allora tempesta Scalfari di telefonate: “Allora, quando vieni? È un mese che ti aspetto”. Il Santo Fondatore non ha un minuto di tempo libero, ma ogni tanto gli tocca accontentarlo: se no chi lo sente, quello.

Piange il Telemaco. “Tra riforme e processi, Berlusconi pressato dai figli: 'Forza Italia danneggia le aziende'” (la Repubblica, 13-7). Manca solo che chiedano una legge sul conflitto d'interessi.

Ride il Telemaco. “L'assoluzione di Pier Silvio Berlusconi è importante: anche il padre andava giudicato innocente” (avv. Niccolò Ghedini, FI, 8-7). Le assoluzioni dei figli devono ricadere sui padri.

La Grande Riforma. “Berlusconi ci riprova: 'Dopo il sì alle riforme, giusto darmi la grazia'” (la Repubblica, 10-7). Già che ci siamo, si potrebbe inserirla in Costituzione.

Congiuntivite. “Berlusconi si è rifiutato di rispondere al telefono, ha evitato di parlare addirittura con coloro che lo cercavano per testimoniare la loro vicinanza e incoraggiarlo: 'Metti che poi mi intercettano'...” (Libero, 12-7). Al massimo scoprono che non conosce il congiuntivo.

Mare Monstrum. “Non è possibile mantenere persone che non fanno niente dalla mattina alla sera” (Matteo Salvini, segretario Lega Nord, contro i centri di accoglienza per immigrati in Sicilia, 13-7). Se no che ci stanno a fare il Parlamento e le Regioni?

Boldrina/-ae. “Nessun uomo insegnante verrebbe mai chiamato maestra. Perchè una donna che dirige un giornale viene chiamata direttore?” (Laura Boldrini, presidente della Camera, 13-7). Il fatto poi che una donna si chiami Boldrini, maschile plurale, è semplicemente inaccettabile.

La combriccola del Vasco. “Poche volte il Pd è stato così unitario, la condanna di Vasco Errani è parsa una cosa impossibile. Il Pd dev'essere garantista, poi le diverse situazioni vanno valutate una a una” (Stefano Bonaccini, segretario Pd Emilia-Romagna, la Repubblica, 10-7).Dipende dal partito del condannato. Errani humanum est. “Renzi vede Errani a Palazzo Chigi” (l'Unità, 10-7). Tanto ormai, condannato più condannato meno...

Perseverare diabolicum. “Non mi pento di nulla, rifarei tutto” (Vasco Errani, Repubblica, 9-7).Bravo,così condannano di nuovo.

T'amo pio Silvio. “Da parte di Berlusconi, sulla riforma del senato e sulla legge elettorale, c'è stata una prova di serietà e concretezza che non possiamo non riconoscere” (Maria Elena Boschi, Pd, ministro delle Riforme, Corriere, 11-7).

“Berlusconi fino a questo momento non ha mai fatto venir meno la sua parola e il suo impegno” (Matteo Renzi, Pd, presidente del Consiglio, Corriere, 13-7).Il pregiudicato detenuto è serio, concreto, sincero e impegnato: facciamogli riformare la Costituzione.

Enti inutili. “Renzi: non temo il voto del Parlamento” (La Stampa, 11-7). Anche perchè lo stiamo abolendo.

Giornalismo investigativo. “Crede che nel suo caso le esigenze cautelari abbiano assunto una dimensione spropositata?”, “Lei è in pace con se stesso?”, “Può essere che lei abbia commesso qualche errore?”, “Che cosa le manca di più, in cella?”, “Lei denuncia un accanimento nei suoi confronti: come se lo spiega?” (dall'intervista di A. C. a Pier Paolo Brega Massone, arrestato e condannato in primo grado all'ergastolo per aver ucciso 4 pazienti e ad altri 15 anni per lesioni su un altro centinaio di persone nella clinica Santa Rita di Milano, Panorama, 16-7). Ma soprattutto: scusi, macellaio, com'è la carne?

Buio Fitto. “Presidente, ci siamo già fatti fregare da Monti e da Letta. Se Renzi ti darà un terzo delle cose che avete concordato, compresa la riforma della giustizia, ti giuro che mi spoglio e vado a piedi da Roma a Bruxelles nudo” (Raffaele Fitto, FI, tenta di convincere B. a mollare Renzi, la Repubblica, 12-7). Un motivo in più per far saltare le riforme.

Il Tavecchio che avanza. “Tavecchio alla presidenza della Federcalcio non è adeguato” (Andrea Agnelli, presidente della Juventus, 8-7). “Io sto con Tavecchio contro Agnelli.

Quando vado a lavorare pago le tasse, Agnelli e la sua famiglia hanno spolpato l'Italia. Io ho gli imprenditori, loro sono prenditori che hanno bloccato il calcio italiano” (Mario Macalli, presidente della lega Pro, 9-7). E il guaio è che hanno ragione tutti e due.

Mogherini chi? “E per la Mogherini si avvicina la nomina a lady Pesc, alto rappresentante per la politica estera europea” (La Stampa, 12-7). Siccome la politica estera europea non esiste, hanno giusto bisogno di una Signora Nessuno.

Il Dottor Divago. “Napolitano: 'Attenti ai focolai che ci circondano. Quanti errori dopo il 2001. Sulle crisi l'Europa parli, lo chiedono anche gli Usa” (La Stampa, 12-7). Il governo tenta di scassinare la Costituzione su cui lui ha giurato, il presidente del Senato Grasso e il segretario del Quirinale Marra testimoniano in Corte d'Assise a Palermo sulle sue interferenze pro-Mancino nell'inchiesta Trattativa, e lui parla di esteri. Mister Pesc in barile. Italia Equatoriale. “Carceri, se l'Italia sembra la Guinea” (Luigi Manconi, l'Unità, 10-7). Impossibile: la Guinea non ha Manconi.



La palma d'oro ai voli pindarici della Presidente della Camera,anzi Presidentessa sennò s'offende,agli attaccamenti ai vetri dei piddini su Vasco Errani,non sono da considerare sorprese bensì delle orribili conferme.

E già che ci sono aggiungo il bilancio in pareggio del filiforme primo cittadino di Torino,a riguardo della sentenza d'appello su Errani,ora sta aspettendo i rigori della Cassazione....dimenticando il famoso ditino medio alzato...

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domenica 13 luglio 2014

Amarcord:Loris Mazzetti intervista Enzo Biagi



Biagi: “Cara Rai, nessun rancore Sei come Garibaldi”

FINISCE CON L’INTERVISTA AL GRANDE GIORNALISTA LA SERIE DEL “FATTO”. ENZO INIZIÒ A VIALE MAZZINI NEL 1961. DOPO 41 ANNI, CHE LO HANNO RESO UNO DEI VOLTI PIÙ AMATI DELLA NOSTRA TELEVISIONE, BERLUSCONI PRETESE LA SUA CACCIATA. “NON SONO ARRABBIATO, CREDO DI AVER FATTO UN BUON LAVORO E DI ESSERE STATO UNA PERSONA CORRETTA. NON SARÀ LA FAZIOSITÀ DI QUESTI PICCOLI UOMINI A FARMI CAMBIARE IDEA”

di Loris Mazzetti

Enzo, per la gente, come dovrebbe essere la televisione?

La televisione in genere, con i difetti che sono dovuti alle diverse stagioni politiche, è lo specchio della vita di un paese con la deformazione che comporta il mezzo perché, tu mi insegni, che se uno è ripreso in primo piano è un conto, le parole prendono un certo rilievo, se è ripreso in campo lungo è un’altra questione. La Rai ha avuto un grande merito, principalmente quello di riempire tante solitudini, poi ha unificato il linguaggio degli italiani, neanche Garibaldi ha potuto fare tanto. Ha insegnato molte cose e penso che sia stata una delle scoperte più importanti del ventesimo secolo.

La tua lunga stagione in Rai, si è interrotta per un editto bulgaro, sei stato accusato di aver fatto “un uso criminoso della televisione”. Tutto quello che è successo poi lo conosciamo molto bene, ha prodotto il tuo allontanamento e quello di tanti
altri. Cosa hai provato?

Guarda, lo dico anche con un po’ di vergogna: niente. Ne abbiamo parlato tante volte, ci siamo arrabbiati, l’abbiamo considerata una grande violenza, ma dentro non ho provato niente, perché alla mia età sono altre le cose che ti segnano. Ho avuto a che fare, quando avevo poco più di vent’anni, con Adolf Hitler, sono stato per 24 ore con una pistola in mano a un tedesco puntata alla testa... Non provo rancore nei confronti della Rai, le devo tanto e le voglio bene. Anche se so che la televisione è fatta da uomini che hanno le loro idee, le loro faziosità, oggi ragionano in una certa maniera, ma non possono essere piccoli uomini a farmi pensare diversamente.

Quando, durante una trasmissione di Rai Tre, dedicata ai 50 anni della Rai, “Il Fatto” è stato votato come il miglior programma, tu eri già stato messo in condizione di non fare la tv, la nostra redazione chiusa. Di fronte a questa inaspettata notizia che cosa hai provato?

Ho provato tristezza, perché con te, con la mia troupe, ho passato gran parte della mia vita. Mi è stata tolta l’occasione di continuare a stare con quelle persone, i miei amici, che con me hanno condiviso tante avventure, a volte anche abbastanza pericolose, sempre insieme: dove io andavo voi c’eravate, dove voi andavate io ero con voi. Non abbiamo mai pensato che quando i mortai tuonavano, potessero tuonare per alcuni e per altri no. Quando arrivai al telegiornale, il giornalista stava in un albergo e la troupe in un altro, c’era un trattamento economico differenziato, fui io a convincere la Rai che era sbagliato. Vorrei solo che fosse riconosciuto che in quegli anni, quando potevamo fare la televisione, ci siamo comportati come persone per bene.

Se ti dessero la possibilità di tornarla a fare, rifaresti “Il Fatto” o che altro?

Farei un programma diverso: un viaggio in Italia, il continuo di Cara Italia, per vedere come vive certa gente, se in questi anni è cambiata la loro vita, come arrivano alla fine del mese. Partirei raccontando la realtà di un piccolo paese, la storia di un farmacista di provincia, il caffè dove si ritrovano, la vita della famiglia media: quella realtà sociale che spesso i tg trascurano.

Visto quello che ti è accaduto e la tua lunga esperienza, con il senno di poi, forse era meglio la televisione della lottizzazione?

Per tanti anni ho fatto la televisione che volevo fare e non posso dire di aver subito delle censure, a parte qualche episodio che poi si è risolto con il programma che andava in onda qualche giorno dopo. Allora l’opinione pubblica contava più di oggi. Sono stato accusato di aver fatto un’intervista a Benigni. Una cosa è certa: la rifarei anche domattina. Considero Benigni un italiano da esportazione e lo ha dimostrato anche con i tre Oscar vinti. Non ha mai voluto un soldo per venire ai miei programmi, è un vero amico. Se involontariamente con il mio lavoro ho offeso qualcuno, spero di no, gli chiedo scusa. Appartengo anch’io al genere umano: ho anch’io i miei difetti e le mie faziosità. Ma quando ci sono dei tipi che non mi piacciono, la mia tendenza è quella di farglielo sapere. L’ho già detto tante volte e lo ripeto: noi giornalisti facciamo delle domande ma non possiamo suggerire le risposte.

La Rai oggi è poco aperta alle proposte esterne, si trova raramente qualcuno alla ricerca di nuove idee, sempre più si è trasformata in un’azienda di servizi, conta chi ha i diritti dei format.

Non è sempre stato così: c’erano strutture che avevano il compito di sperimentare, si provavano autori, attori, registi in terza serata, che dopo la gavetta, se avevano i numeri, trovavano il loro spazio. C’era la ricerca dei talenti.
Una volta non c’erano gli appalti, credo che oggi più della metà della produzione sia esterna. Sono più di diecimila i dipendenti della Rai, e siccome non sono tutti degli imbecilli, anzi c’è tanta gente di prim’ordine, non ci sarebbe bisogno di spostare tutto all’esterno. I risultati si vedono: tra i programmi della Rai e quelli di Mediaset non ci sono più differenze.

Come dovrebbe essere una tv di qualità?

Non dovrebbe essere uno strumento di propaganda per una causa o per l’altra. Dovrebbe essere senza demagogia, con il rispetto delle persone, con la consapevolezza, in chi la fa, che si rivolge a milioni di persone: l’unico padrone è il pubblico che paga il canone.

È di moda parlare di informazione manipolata, come si può manipolare l’informazione?

Si fa il contrario di quello che ti ha detto la mamma quando avevi cinque anni: “Non si devono dire le bugie”. Oggi, purtroppo, si raccontano. Poi c’è chi le racconta meglio, chi peggio. Però i fatti hanno una logica ineluttabile e qualcuno ha detto: “I nostri atti ci seguono”. Per qualche personaggio, se Dio vuole, anche quelli giudiziari. Prima o poi quello che è buono o quello che è cattivo viene fuori.

Le bugie hanno le gambe corte con tanti media, con Internet: nel tempo la verità si conosce.

Non dimenticare mai che c’è la tendenza ad adeguarsi. Diceva Flaiano: “Gli italiani accorrono sempre in soccorso ai vincitori”. Cominciano così le memorie di Charlie Chaplin: “Il successo rende simpatici”. Secondo me non è sempre vero, però aiuta.

Ti rispondo anch’io con una citazione, Carl Pop-per: “Chi controlla l’informazione televisiva controlla la democrazia”

Sì, hai ragione perché chi controlla la televisione, controlla il mezzo di comunicazione dominante. La notizia la si può raccontare in tanti modi, facciamo un esempio: un bambino che vede una bicicletta la prende e scappa via. La notizia può essere raccontata: un bambino la prende perché ha sempre sognato di avere la bicicletta, oppure, il bambino è un ladro, un precoce delinquente. Infine: era un gioco, il bambino non sa che certi giochi vengono contemplati anche dal codice penale. Ognuno ha il suo punto di vista nel raccontare le cose, ma deve farlo con onestà.

Come mai hai iniziato a fare la televisione? Tu eri già stato direttore di Epoca, eri già una grande firma del giornalismo.

Mi fu proposto da Ettore Bernabei, direttore generale della Rai, che mi chiamò nel 1961 a dirigere il telegiornale. Erano gli anni dell’apertura ai socialisti, io ero amico di Nenni. Capii subito che non era aria per me, mi accusarono, come sempre è accaduto quando mi hanno mandato via dai giornali, di essere comunista. Dopo un anno lasciai il telegiornale e inventai RT, il primo rotocalco televisivo e per 41 anni non ho mai smesso, fino a settembre 2002 quando mi mandarono una raccomandata con ricevuta di ritorno per dirmi che il mio contratto non si rinnovava più. Potevano risparmiarsi quei soldi, bastava una telefonata...

Chi sono stati i tuoi punti di riferimento?

Indro Montanelli, Orio Vergani, Dino Buzzati, Vittorio G. Rossi. Soprattutto Montanelli, al quale sono stato profondamente legato. Sono orgoglioso perché siamo diventati compaesani: mi hanno dato la cittadinanza di Fucecchio. Quel giorno andai al cimitero dove c’è la sua urna e chiesi se potevo rimanere solo con lui. Gli ho detto: “Indro tu dicevi che certi personaggi dovevamo provarli, ma ho l’impressione che abbiamo sbagliato la dose”.

Mi ricordo quando lo intervistammo a “Il Fatto”, aveva appena ricevuto una lettera anonima con minacce di morte ed era stato accusato di essere diventato anche lui comunista. Durante quell’intervista, diventata poi famosa perché messa nella lista di quelle che non dovevi fare, tu gli dicesti: “Io ho la sensazione che andremo incontro a una dittatura morbida”. Hai sbagliato l’aggettivo.

Sì, oggi lo cambierei, anzi lo toglierei proprio.

Umberto Eco, citando il tuo caso e di tutti gli altri epurati, lo ha definito un regime mediatico. Ma perché la televisione è così importante, riesce a inventare anche quello che non esiste?

Lo dimostra la vicenda di un imprenditore che non era votato alla politica, ma che disponendo delle televisioni è diventato presidente del Consiglio. È uno strumento che non ha bisogno di aggiunte: uno si siede e la guarda, mentre il giornale va comprato, poi va letto, ed è già una fatica. Un messaggio dato dalla televisione, da un telegiornale, arriva sicuramente alla gente.

Il cittadino come può difendersi?

Può solo decidere di non guardare certa roba o di guardarla con spirito libero e critico. Non mi pare che le ultime apparizioni di quell’imprenditore, ricordando un po’ i commenti fatti sui dati d’ascolto, abbiano avuto grande successo di pubblico. Certo viviamo una grande anomalia, ma il Cavaliere è stato eletto democraticamente alla guida del nostro paese, quindi, rispecchia la volontà degli italiani.

Che consiglio daresti a un giovane che vuole fare il giornalista?

Diceva un illustre collega: “Sempre meglio che lavorare”. È un mestiere che ti tiene in contatto con la vita, che ti fa partecipare agli eventi, alle storie, che ti rende testimone di tutti i fatti che accadono nella tua epoca. L’unico consiglio che posso dare è quello di essere sempre curioso, di voler vedere, dove è possibile, i fatti con i propri occhi. Gli interessa raccontare? Lo faccia.

Enzo per concludere, la televisione oltre alla popolarità cosa ti ha dato?

Contatti umani con persone a cui sono rimasto legato, amici e conoscenze di viaggio. Non mi interessava farmi vedere: non basta apparire, bisogna aver qualche cosa da dire. Mi ha dato la possibilità di raccontare la vita della gente, nel bene e nel male. Alla Rai devo tanto e le sono molto grato.



Non c'era bisogno di questa intervista nel comprendere quanto fosse un giornalista con la schiena dritta,rimangono comunque delle riflessioni importanti su cui riflettere noi stessi.

Alla memoria di Enzo Biagi

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