sabato 4 gennaio 2014

Tra un fonzie da firenze iperattivo e i pentastellati bradipo





I guardiani dello stagno

di Marco Travaglio

Che senso ha tutto questo agitarsi di Renzi, che sforna due o tre proposte al giorno? Il neosegretario del Pd sfrutta una posizione di vantaggio che pochi altri protagonisti della politica possono vantare: nei vent’anni disastrosi della Seconda Repubblica, Renzi non c’era, almeno a Roma. Dunque nessuno può imputargli responsabilità nella catastrofe in cui siamo immersi e, quando parla, nessuno può domandargli “dov’eri tu?”. Quando un politico qualsiasi apre bocca in tv e dice “bisognerebbe fare”, la gente cambia canale con un fastidioso prurito alle mani. Quando invece lo fa Renzi, qualcuno gli crede, qualcuno l’ascolta con diffidenza, qualcuno gli dà appuntamento sul terreno dei fatti, qualcuno pensa alla solita propaganda. Ma nessuno può dirgli: “Senti chi parla, quello degli inciuci, del Porcellum, delle leggi vergogna, delle controriforme Fornero”. Renzi però sa che la luna di miele non durerà molto: anzi, per lui durerà molto meno che per i suoi precedessori, eletti in tempi meno nefasti per chi fa politica. Ancora qualche settimana e verrà rottamato anche lui, se non sarà riuscito a cambiare nulla non solo nel Pd, ma soprattutto in Italia. Ed è difficile, per il segretario di un partito che per giunta non controlla né la maggioranza dei suoi parlamentari (espressione del Pd bersaniano, cioè di un’altra èra geologica) né la sua delegazione governativa (quasi tutta formata dagli sconfitti alle primarie), lasciare un segno tangibile di cambiamento. Perciò Renzi si agita tanto. Non solo, come dice Grillo, perché è “uno stalker in cerca di visibilità”. Ma anche perché cerca disperatamente sponde fuori dalla gabbia asfittica della maggioranza, anzi della minoranza di governo: la somma di Pd, Ncd, Sc e Udc nei sondaggi vale un terzo degli italiani. Infatti Renzi riunisce i vertici del partito a Firenze, per non finire immortalato in una di quelle mortifere foto di gruppo romane con i presunti leader che fanno scappare anche i topi.
Non che voglia rovesciare subito il governo: ha semplicemente bisogno di numeri importanti per far passare qualche riforma molto popolare e dimostrare di non essere un parolaio come tutti gli altri. E quei numeri glieli possono portare solo Grillo o B. Che sono i due leader dell’opposizione, il che spiega il terrore fra i guardiani dello stagno: Napolitano, Letta jr., giù giù fino ad Alfano, Monti, Casini e le altre anime morte. B., anche morente, è molto più vispo di tanti quarantenni: infatti s’è subito infilato nel varco aperto da Renzi. Stupisce invece l’inerzia dei 5Stelle, che paiono tornati in preda alla paralisi che li fregò alle consultazioni di marzo-aprile. Oggi come allora, è il momento di andare a vedere il gioco di Renzi. Se è un bluff, avranno il merito di averlo smascherato. Se è una cosa seria, divideranno con lui il merito di avere sbloccato l’impasse: siccome Renzi sa che un asse privilegiato con B. farebbe storcere il naso a molti dei suoi elettori, il M5S può rendere molto preziosi i propri voti in Parlamento, dettandogli alcune condizioni: per esempio, la rinuncia ai “rimborsi elettorali” – da lui promessa finora come merce di scambio – che metterebbe in ginocchio l’apparato Pd. Perché non sfidarlo a mantenere la parola? Se non lo farà, peggio per lui. Se lo farà, non si vede cosa impedisca ai 5Stelle di fare ciò che Grillo predica da sempre: accordarsi in Parlamento sulle cose da fare. Alcune sono di dubbia utilità (tipo un Senato ridotto a carrozzone di consiglieri regionali). Altre sono utilissime, come una delle tre proposte di legge elettorale (specie la seconda, che riproduce grosso modo il Mattarellum), le unioni civili e il taglio delle prebende ai consigli regionali. A queste, per reciprocità, M5S potrebbe chiedere di aggiungere un paio di propri cavalli di battaglia. E otterrebbe tre effetti collaterali mica da ridere: tagliare l’erba sotto i piedi al trio Napolitano-Letta-Alfano; mettere definitivamente fuori gioco B.; e avvicinare le elezioni. Renzi si agita troppo, ma chi sta fermo è peggio di lui.



Potrò sbagliarmi,ma saranno difficili i rapporti tra le due figure dell'articolo e del titolo,due prime donne magari scadenti si perdono il più delle volte sui dettagli,nel caso del fiorentino e del genovese sono più importanti i propri ego rispetto ad una razionale visione riformistica,confrontandosi con il coltello dietro la schiena considerate le mire elettorali di entrambi.

E la casta in questo modo gongola,il paese continuerà ad averlo in saccoccia...

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