mercoledì 31 ottobre 2012

La grande preoccupazione tendente al terrore della casta politica



Compagni di Beppe

di MASSIMO GRAMELLINI

La stragrande maggioranza degli elettori di Grillo proviene dai partiti di centrosinistra. L’analisi dell’Istituto Cattaneo sui flussi del voto siciliano smonta un luogo comune. Ad accendere le Cinque Stelle non è il popolo deluso da Berlusconi, che in Sicilia si è astenuto in massa. Sono il lettore del «Fatto», lo spettatore di Santoro, il progressista stremato dai ghirigori della nomenclatura rossa e rosé, in particolare da quella del Pd, che in cinque anni è passato da 505 mila a 257 mila voti: un trionfo davvero storico. Chiunque si sia preso la briga di togliere l’audio all’ugola di Grillo per leggerne i programmi, si sarà imbattuto in parole come «ambiente», «moralità della politica», «scuola pubblica», «bene comune». Il vocabolario del perfetto democratico. Gli stessi attivisti del movimento, che detestano essere chiamati «grillini», detestano forse ancora di più passare per conservatori, liberali o populisti, le tre tribù (le prime due largamente minoritarie) accampate da vent’anni intorno al totem berlusconiano.

Il voto siciliano racconta un’Italia nauseata che vorrebbe sfasciare i vecchi partiti, ma non è altrettanto d’accordo nella scelta del rottamatore. Il nauseato di sinistra preferisce Grillo. Il nauseato di destra, temo, la Santanché. Mentre l’avvocato, il dentista, il piccolo artigiano che hanno votato Berlusconi o Bossi turandosi il naso, adesso se lo sturerebbero volentieri per votare Renzi. Se solo si candidasse alle primarie giuste.



L'analisi del voto grillino anche a me pare corretto,del resto l'elettorato che ha votato per quasi vent'anni il caimano come potrebbe rinsavirsi di botto,gli lascio volentieri la cosiddetta Garnero-Santanchè o il Renzi in fuga verso destra,per consolarsi dalla dipartita tendente alla bollitura dell'uomo che si è fatto prettamente i ca.zi suoi....

&& S.I. &&

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martedì 30 ottobre 2012

Regionali in Sicilia:Solo un aperitivo delle politiche 2013




Sorpasso in retromarcia

di Marco Travaglio

Chissà se stavolta Napolitano, magari cambiando apparecchio acustico, ha sentito il boom di Cinquestelle in Sicilia. Sicuramente l’han sentito il Pd e i resti del Pdl, letteralmente asfaltati da Grillo con una nuotata e un paio di settimane di comizi. Quel gran genio di Lupi si dice “sorpreso” per il risultato siciliano: una sorpresona. Bersani, lo stesso che un mese fa strillava all’“antipolitica” dei “fascisti del web”, ora si accorge che “Grillo c’è, e in modo serio”. Purtroppo per lui, M5S c’è e in modo serio (il che non vuol dire sempre condivisibile) da almeno cinque anni. Non è antipolitica, è politica: senza i “grillini”, in Sicilia non avrebbe votato poco meno della metà dei siciliani, ma poco più di un terzo. Da oggi in Sicilia e da domani in Italia, M5S costringerà i partiti di destra, di centro e di sinistra, se vogliono governare, ad ammucchiate sempre più inguardabili e innaturali. Solo un partito in estinzione come il Pdl può attribuire il disastro, nell’isola del 61-0 del 2001, alle ultime mattane del Cainano dal bunker (uguali a quelle dell’ultimo ventennio), o viceversa ad Alfano (che non è mai esistito). E solo un simpatico guascone come Crocetta e un povero illuso come Bersani possono usare aggettivi come “storico” e “rivoluzionario” per definire il risultato del duo Pd-Udc. Che, in realtà, è il classico sorpasso in retromarcia: contro un Pdl fermo in panne, bastava una lumaca per superarlo. Nel 2008 il centrodestra di Lombardo si pappava la Sicilia col 65%. Oggi Crocetta diventa governatore col 31%: la stessa percentuale che quattro anni fa portò la Finocchiaro a perdere rovinosamente contro Lombardo. Senza contare che i voti sono molti di meno, visto che allora votò il 66% e domenica ha votato il 47% degli aventi diritto (e nel 53% dei non votanti ci sono anche i voti della mafia, che si astiene e sta a guardare in attesa di una nuova trattativa). Se poi si guarda dentro le coalizioni, si scopre che non crolla solo il Pdl, che nel 2008 riscosse il 33,5% e ora latita al 12. Ma precipita anche il Pd, sceso in quattro anni dal 22 (Pd+lista civica Finocchiaro) al 13,5. E calano anche l’Udc (dal 12,5 al 10,6) e Sel (dal 4,9 di Rita Borsellino al 3 di Fava, il candidato migliore, escluso per un pasticcio burocratico). Solo l’Idv, paradossalmente, raddoppia i consensi, dall’1,8 al 3,5: ma è una magra consolazione, visto che lo sbarramento per accedere all’Assemblea siciliana è al 5. Dunque di “storico” nel voto siciliano c’è soltanto il tracollo dei partiti, tutti i partiti: cioè dei responsabili del disastro dell’isola, governata nell’ultimo ventennio prima dal centrodestra e poi dall’inciucio Micciché-Pd-Fli-Udc, dunque tecnicamente fallita. E ora i padri di quel disastro incalcolabile torneranno al potere, nascosti dietro la faccia pulita e antimafia, ma spregiudicata di Crocetta, che non ha esitato ad allearsi con gli amici di Cuffaro e ora, per governare, dovrà chiedere il permesso o a Micciché (l’amico di Dell’Utri e Lombardo) o a Musumeci (il nerissimo amico di B.), visto che M5S non appoggia nessuno. Né sottobanco né sopra. Una riedizione riveduta e corretta dell’inciucio lombardiano. Siccome la linea della palma tende a salire e la Sicilia anticipa sempre quel che avviene nel resto del Paese, questo è l’antipasto della grande abbuffata che si prepara a Roma. Se il Pd pensa di vincere le prossime elezioni con la cosiddetta “alleanza fra progressisti e moderati”, s’illude. A Roma come a Palermo, per sopravvivere, i partiti dovranno mettersi tutti insieme, col bis dell’ammucchiata che ora sostiene Monti. Mandando all’opposizione non solo Grillo e Di Pietro, ma anche la maggioranza degli italiani.



Se qualcuno pensava che il M5S diventasse maggioranza assoluta in Sicilia,direi che è uno sprovveduto,in una regione dove i cambiamenti hanno la velocità d'un bradipo,l'aver incassato tutte quelle preferenze vuol dire aver sfondato,il tutto fa da aperitivo per le prossime elezioni politiche nel 2013.

Ogni privilegio emerso e che emergerà,ogni vitalizio,ogni auto blu con autista incorporato,fino a quando ci saranno rimborsi elettorali e mai nessuno si dimette nonostante i pesanti scandali,il movimento di Grillo incasserà sempre più consensi.

Buona fortuna a tutti noi,buona parte della casta ha i mesi contati....

&& S.I. &&

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lunedì 29 ottobre 2012

Ma quanto e' "simpatica" la ministra Fornero



A Elsa Fornero il Nobel per la simpatia: per i giovani supera Cossiga e Pol Pot

di Alessandro Robecchi

Dopo “bamboccioni”, “sfigati” e “choosy”, il governo studia altre formule per incentivare l’entusiasmo giovanile, come la garrota e il dentifricio nelle scarpe. Il ministro del lavoro si scaglia contro i privilegi dei precari: “Se cominciate a lavorare a cinquant’anni non potete andare in pensione a settanta!”. Monti precisa: “E se morite a 71 anni dovete renderci i soldi!”

Il coraggio di rischiare l’impopolarità, di dire una verità scomoda, di rompere convenzioni e luoghi comuni. Elsa Fornero, ministro del lavoro, ha fatto invecchiare di colpo decine di proverbi e modi di dire. La frase sui giovani italiani che sono un po’ “choosy”, schizzinosi, di fronte al mondo del lavoro spazza via altre frasi dello stesso tipo, come “I terroni non hanno voglia di lavorare”, “Gli zingari rubano i bambini”, e “E’ tutta colpa dei sindacati”. Tutte cose vecchie, superate dalla nuova frase del ministro Fornero: prendete il primo lavoretto del cazzo e poi guardatevi intorno da dentro. “Io l’ho fatto – dice un giovane di Salerno che preferisce restare anonimo – pur di lavorare ho cominciato con il piccolo spaccio e ora sono un apprezzato killer di camorra. La Fornero ha ragione, c’è sempre spazio per chi si dà da fare”. Ma è nelle realtà metropolitane che l’entusiasmo dei giovani è alle stelle. Dice un turnista di un call center della capitale: “Anch’io all’inizio ero un po’ schizzinoso a pulirmi il culo con la mia laurea, ma poi ci ho fatto l’abitudine e ora sono felice di aver studiato vent’anni per guadagnare tre euro all’ora. Sto pensando di prenderne un’altra, visto che vale meno della carta doppio velo”. L’apprezzamento per il ministro del lavoro trabocca dai social network. Scrive ad esempio Giovanni, da Milano: “La mia laurea in lettere si è rivelata preziosa per il mio lavoro nei cessi della stazione: mi aiuta a correggere le scritte sul muro davanti ai pisciatoi”. Anche chi inizialmente aveva pensato a un autogol della ministra ora deve ricredersi, basta guardare i sondaggi. “E’ vero – dicono alla Swg – non si era mai visto un ministro italiano scalare così velocemente la classifica. Ora la Fornero, per simpatia, si colloca tra Pol Pot e Cossiga, e la tendenza è in crescita”. “Oltretutto – aggiungono alla Doxa – si è rivelata eccellente nell’aggregare i giovani italiani. I numeri parlano chiaro. 35 su 100 sono disoccupati. 40 su 100 sono precari, e a 99 su 100 sta prepotentemente sul cazzo Elsa Fornero”. Non è stato reso noto il nome del centesimo intervistato del campione, che subito dopo aver risposto al sondaggio si è affrettata a chiamare mamma al ministero del lavoro.



Come si afferma volgarmente,troppo comodo fare i froci con il c..o degli altri,i figli della casta con meriti o meno,il posto al calduccio ce l'hanno comunque,direi che la ministra e' il classico esempio del prete che predica bene e razzola molto male...

[ Kenzo ]

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domenica 28 ottobre 2012

Un caimano tira l'altro



C'era un cinese in coma

di Marco Travaglio

Sventuratamente i discepoli dell’Università delle Libertà, ma anche gli infermi del Sudan e i calciatori del Milan devono portare pazienza: il Cainano, o quel che ne resta, non potrà dedicarsi a loro a tempo pieno. Ancora una volta, quando ormai pensava solo agli ospedali, ai gol e all’erudizione dei (e soprattutto delle) giovani, un evento inaspettato – una sentenza attesa da appena 11 anni – lo colpisce in quanto ha di più caro – il portafogli e l’impunità – e lo costringe, a 76 anni suonati, a tornare a “modernizzare il Paese”. Però, beninteso, rinuncia a Palazzo Chigi (cioè al nulla: sta al 15%). Rimesso insieme alla bell’e meglio da truccatori e stuccatori, con la dentiera che fischia, una calotta marron sul capino e robusti tiranti dagli orecchi che gli regalano due simpatici occhi a mandorla facendolo somigliare a un cinese in coma, il pover’ometto ha riunito una corte di fedelissimi plaudenti e di camerieri a mezzo stampa nel bunker di villa Gernetto – sede dell’Università delle Libertà dove s’insegna furto con scasso, frode fiscale, abigeato e adescamento di minori – per l’ultimo sequel del cinepanettone “Natale in Brianza”. Intanto, e non è cosa da poco, ha dichiarato guerra alla Germania. Poi ha dato il benservito a Monti, che una campagna di stampa diffamatoria insinuava fosse appoggiato anche da lui (le penne rosse gli fecero persino dire: “Monti l’ho inventato io”). Il noto infiltrato Ferrara, sempre sulla notizia, giurava che lui avesse sposato l’Agenda Monti e passato il testimone al Prof. Invece il governo tecnico è servo della Merkel, ha “sospeso la democrazia” e ci ha sprofondati in una “spirale recessiva senza fine” dopo anni di opulenta prosperità: dunque prima se ne va e meglio è, “ora vediamo se levargli subito la fiducia” o lasciarlo marcire ancora un po’, tanto è quasi scaduto. Ma non s’azzardi a rimettere il naso fuori, chiusa “la parentesi”. Assenti e prevedibilmente attoniti Angelino Jolie e Frattini Dry, che speravano di salvarsi dalla disfatta finale a bordo di Monti, Passera, Marcegaglia e Montezemolo. Presente, ma per sbaglio, l’afasica Gelmini, illuminata dagli sfavillii luciferini delle evabraun de noantri, Brambilla e Santanchè, e del nibelungico Sigfried Ghedini. Molti applausi per le traduzioni colte delle massime latine (“sui treni c’è sempre un prefetto”, “tutto capita nelle sentenze”) e soprattutto per la lezione di storia su Hitler che subentrò “alla Repubblica di Weimar nel 1921-23” (era dieci anni dopo, ma fa lo stesso). Ma il pezzo forte è l’economia: “gli spread” sono colpa “dei giornali e di un preciso disegno delle banche tedesche” al soldo della Merkel, che pretendeva financo di non calcolare nel Pil italiano il “sommerso”, i fondi neri a cui lui modestamente contribuisce da 30 anni. La nostra, grazie a lui, resta “la seconda economia più solida d’Europa”: la gente è ricca sfondata, ma non consuma perché non può spendere più di mille euro in contanti (“terribile barbarie”) ed è preda del “regime di polizia tributaria”, delle “estorsioni del fisco”, della “Magistratocrazia”. Ma soprattutto perché le aziende “fanno meno pubblicità ai prodotti di marca”. Dunque non resta che concentrarsi sui veri problemi del Paese: tipo il fatto che “non si può più usare il telefono”. Ergo urge la separazione “anche fisica” (a filo di spada) dei giudici dai pm, onde evitare “che si passino la Repubblica o il Fatto Quotidiano al bar”. E la riforma della Costituzione per abolire, nell’ordine: l’Agenzia delle Entrate (perseguita gli evasori in Porsche), l’Imu (peraltro inventata dal suo governo), il Parlamento, la Corte costituzionale, i piccoli partiti e gli elettori che li votano precludendogli il 51%, la custodia cautelare e le intercettazioni (almeno per lui), forse il capo dello Stato (fa solo “weekend operosi”), sicuramente la Germania. L'Agenda Morti.



L'unica soddisfazione che arriva dalle parti del caimano,è la dissoluzione della destra,con un personaggio così ingombrante,assolutamente deciso nel continuare a dettare legge,prima che quella parte politica possa emergere dalle ceneri passerà un cospicuo periodo temporale.

Sta riuscendo ogni giorno di più ad entrare nella storia più sconcertante e grottesca dall'unità d'Italia.

&& S.I. &&

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sabato 27 ottobre 2012

I quattro anni al caimano



Le indecenti evasioni

di Marco Travaglio

La sentenza emessa ieri dal Tribunale di Milano, che ha condannato Silvio Berlusconi a 4 anni di reclusione per frode fiscale, a 5 anni di interdizione dai pubblici uffici e a 10 milioni di provvisionale all’Agenzia delle Entrate nel processo sui diritti Mediaset, non è – come vaneggia Angelino Alfano, nientemeno che ex ministro della Giustizia, “l’ennesima prova dell’accanimento giudiziario contro Silvio Berlusconi”. Semmai è la prova che l’Italia è stata governata per nove anni negli ultimi venti da un evasore fiscale (che ogni tanto condonava le proprie evasioni). Non è nemmeno, con buona pace di Angelino Jolie, “una condanna inaspettata e incomprensibile con sanzioni principali e accessorie iperboliche”: chi conosce il processo sa bene che alcune società occulte create da David Mills e usate per drenare fondi neri gonfiando i costi dei film acquistati in America facevano capo personalmente a B. Quanto alle pene, detentive e accessorie, sono ridicole se confrontate con quelle di qualunque altra democrazia, dove gli evasori vengono sepolti in carcere, mentre da noi siedono al governo, in Parlamento e ai vertici di banche e grandi aziende. Fa sorridere, anzi fa pena il commento del capogruppo pidino Dario Franceschini: “Questo non è oggetto di confronto politico. E comunque, per fortuna, non lo è più”. Cioè: il fatto che un tribunale della Repubblica giudichi il più potente parlamentare della Repubblica, per tre volte presidente del Consiglio, colpevole di frode fiscale per 40 milioni di euro (35 volte la cifra che ha portato Fiorito in carcere) con “una naturale capacità a delinquere mostrata nel perseguire il disegno criminoso”, non sarebbe un fatto politico. O non lo sarebbe più solo perché B. ha rinunciato a candidarsi a premier, cioè a una carica che – sondaggi alla mano – non potrà mai più ricoprire, senza peraltro rinunciare al Parlamento, cioè all’immunità. Cose dell’altro mondo, anzi di questa Italia e di questo tragicomico centrosinistra, che per vent’anni ha dialogato col “delinquente naturale” e ha fatto di tutto per salvarlo dai suoi processi. Solo Di Pietro trova le parole giuste per commentare uno scandalo noto a tutti, che quasi tutti hanno finto, e tuttora fingono, di non vedere (come pure sulla costituzione di parte civile del governo nel processo sulla trattativa Stato-mafia, chiesta a gran voce da Di Pietro, da Fli e dal nostro giornale). Del resto non è la prima volta che B. viene condannato in primo grado: lo era già stato fra il 1997 e il '98 per i finanziamenti illeciti a Craxi nel processo All Iberian (poi lo salvò la prescrizione), per la corruzione della Guardia di Finanza e per il falso in bilancio sui fondi neri di Medusa Cinema (poi fu assolto per insufficienza di prove). E ora che succede? Nell’immediato, nulla. La mannaia della prescrizione incombe, anche se il Tribunale, depositando le motivazioni assieme al dispositivo dopo sei anni di processo, ha fatto il possibile per scongiurarla: il reato dovrebbe estinguersi nel 2014, dunque c’è tutto il tempo per celebrare gli altri due gradi di giudizio. Se la Cassazione confermasse il verdetto di ieri, B. non andrebbe comunque in carcere: sia perché dai 4 anni vanno detratti i 3 dell’indulto gentilmente offerto nel 2006 dal centrosinistra e appositamente esteso ai reati finanziari; sia perché B. ha più di 70 anni e, in base alla legge ex-Cirielli da lui stesso imposta e mai cancellata dal centrosinistra, a quell’età si va ai domiciliari. Resterebbero però 2 anni di interdizione dai pubblici uffici non coperti da indulto: se la Cassazione confermasse la condanna, B. dovrebbe lasciare il Parlamento e perderebbe, oltre al seggio, l’immunità. Cioè a quanto ha di più caro, oltre ai soldi rubati a milioni di contribuenti onesti.



Le reazioni degli affezionati attorno al caimano,si è sentito proferire "ergastolo ai giudici",possiamo ringraziare di tutto ciò chi ha dato fiducia in cabina elettorale per venti lunghi anni,a chi in nessuna parte democratica al mondo avrebbe potuto avere così successo.

Grazie d'aver aiutato in modo importante alla distruzione di questo paese!

&& S.I. &&

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Il marciume sociale ben distribuito sul territorio




La Casta ramificata

di MASSIMO GRAMELLINI

Nel quadro delle iniziative volte a ridurre i costi della politica - la famosa «spending review» del governo Mounts - merita di essere segnalata la ricetta di due note località sciistiche della Val di Susa, Bardonecchia e Sauze d’Oulx. Divise per decenni da una rivalità non più compatibile con lo strazio dei bilanci, hanno deciso di fondersi fisicamente nella persona della signora Rita Bobba. Costei risulta essere al tempo stesso la moglie del sindaco di Bardonecchia e l’assistente del sindaco di Sauze d’Oulx. Questo tipico esemplare di donna alfa partecipa ai convegni nella duplice veste di moglie e assistente, prendendo spesso la parola al posto di entrambi i maschi (li immagino intenti a giocare a briscola in salotto, i doposci appoggiati sul tavolo). Ma di lei i maligni sanno sottolineare soltanto la ramificazione degli interessi e il tacco dodici indossato anche sul ghiaccio: una straordinaria dimostrazione di equilibrio, qualità utilissima in politica.
Purtroppo ieri i carabinieri sono stati costretti a stroncare il primo vero esperimento di semplificazione degli enti locali. La soffiata di alcuni dipendenti del comune, ingelositi dai progressi della ramificazione, ha reso necessario introdurre negli uffici una microcamera che ha restituito agli investigatori le immagini del sindaco di Sauze d’Oulx mentre timbra il cartellino della sua assistente e le firma attestati fasulli di presenza: truffa aggravata e falso di pubblico ufficiale. Quisquilie, eppure gli alfieri della conservazione vi si sono aggrappati per procedere all’arresto del timbratore e della sua protetta. A piede libero resta solo il marito. Ma senza Rita che vita è?



Un particolare risulta certo,da Trieste in giù,da Aosta a Pachino o Marsala se preferite,il marciume sociale è ben distribuito,chissà cosa resterà di questa epoca orribile? Mi spiace per l'imbarazzo che lasceremo ai posteri....

&& S.I. &&

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venerdì 26 ottobre 2012

Il rincoglionimento dagli anni 80




Ultima fermata Dallas

MASSIMO GRAMELLINI

Dopo Silvio, anche J. R. ha fatto un passo indietro, precipitando in un burrone di sbadigli che ha costretto Canale 5 a sospendere la nuova serie di Dallas già alla seconda puntata. Ogni tanto la vita sa offrire coincidenze ineffabili. Chi fra voi è diversamente giovane ricorderà come la saga dei petrolieri texani abbia segnato il destino pubblico del Cavaliere. Prima di Dallas, un imprenditore in carriera come tanti. Dopo Dallas, il rabdomante dei gusti popolari che acquista uno sceneggiato americano rottamato dalla Rai e trasforma Canale 5 e se stesso in fenomeni televisivi di massa. Esagerando un po’, ma neppure troppo, senza Dallas non avremmo avuto il ventennio berlusconiano. Fu quel telefilm a lanciare la tv commerciale in Italia e a rieducare al ribasso i palati degli italiani, abituandoli al lusso volgare, alla ricchezza ostentata, al cinismo simpatico e agli altri stereotipi con cui la cultura pop degli Anni Ottanta ha innervato la proposta politica del berlusconismo.



La riproposizione, trent’anni dopo, di quei valori di sfrontato materialismo va letto come l’ultimo tentativo di restare aggrappati a un mondo della memoria. L’esito è stato inevitabilmente patetico. La seconda serie di Dallas, con i divi incartapecoriti che si muovevano fra giovani affamati di denaro e potere, restituiva l’atmosfera falsamente allegra di certe «cene eleganti» o, nei momenti peggiori, dei vertici di palazzo Grazioli. E la faccia liftata dell’ottantenne J.R. richiamava inesorabilmente quella che ieri, col sopracciglio sinistro ormai paralizzato dal bisturi, ha letto sul gobbo di una telecamera il suo testamento politico.




Che gli anni 80,Dallas compreso,abbiano rincoglionito buona parte d'italiani fa comprendere che popolo siamo,non ho idea se programmazioni fac-simile siano state trasmesse in altri paesi europei,sicuramente da quelle parti un caimano non e' spuntato,e scommettiamo che i medesimi compatrioti stiano aspettandone un altro,magari uno che sta facendo il Sindaco in una importante citta' dell'Italia centrale assai culturale?

&& S.I. &&

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Da Servizio Pubblico:Gustavo Dandolo,Godevo Prendendolo






giovedì 25 ottobre 2012

I vent'anni del più famoso cialtrone dall'unità d'Italia



20 anni di improntitudine

di Marco Travaglio

La prima volta che ho scritto di lui era il 1988. Collaboravo già al suo Giornale, che però era per tutti “il Giornale di Montanelli”, come vicecorrispondente da Torino. Ma anche con un settimanale cattolico torinese, il Nostro Tempo: il direttore Domenico Agasso mi fece recensire un libro bianco anche nella copertina, Inchiesta sul signor tv, di Giovanni Ruggeri e Mario Guarino, Editori Riuniti. Il primo libro che raccontava la storia di Vittorio Mangano, lo “stalliere” di Arcore che poi stalliere non era, e di Marcello Dell’Utri, l’uomo che sussurrava ai cavalli e soprattutto al Cavaliere. Quando poi, nell’autunno ‘93, corse voce che Silvio Berlusconi volesse entrare in politica, ne parlai con Montanelli, a pranzo. Per spiegarmi che tipo fosse, mi raccontò la storia del mausoleo di Arcore, poi aggiunse: “È tutto vero, purtroppo. S’è fissato con la politica. Dice che il pool di Milano sta per arrestarlo elesueaziendestannofallendoperdebiti.S’èfissato di fare il premier, ma se un poco lo conosco vuole diventare presidente della Repubblica. Se ci riesce, e lui è sempre riuscito dappertutto, con quali metodi preferisco non saperlo, siamo rovinati. Sia come italiani (ti dico solo questo: Confalonieri lo chiama ‘il Ceausescu buono’), sia come giornalisti del Giornale. Mi ha già detto che ci vuole tutti al servizio del suo partito e io gli ho già detto di no. Vedrai che scatenerà l’apocalisse”. Qualche sera dopo, partì il bombardamentoatappetoaretiFininvestunificate per sloggiare il Vecchio dalla direzione del Giornale. Fede, Liguori, Sgarbi (che gli diede del “fascista pedofilo”). “I manganelli catodici”, li chiamava Montanelli. All’Epifania, Fede chiese al Tg4 le sue dimissioni. Il direttore rispose con un Controcorrente di tre righe: “Fede ha chiesto le nostre dimissioni. Noi, al posto suo, non potremmo mai chiedere le sue, per il semplice motivo che non l’avremmo mai assunto”. L’8 gennaio '94 Berlusconi irruppe, insalutato ospite, nella riunione di redazione del Giornale, che ormai da due anni non era più suo perché la legge Mammì l’aveva costretto a venderlo, anzi a fingere di venderlo (l’aveva girato al fratello Paolo). E fece capire a noi redattori, in agitazione per i continui tagli di organico, che se volevamo le munizioni avremmo dovuto combattere la sua battaglia, non quella di Montanelli: cioè indossare il kit di Forza Italia. Altrimenti saremmo rimasti alla fame. Un minuto dopo Montanelli, assente e ignaro di tutto, rassegnava le dimissioni dal Giornale che aveva fondato vent’anni prima per creare un nuovo quotidiano, finalmente libero, “con un solo padrone: il lettore”. Sulla porta del suo ufficio, si formò una lunga fila di giornalisti che lo imploravano di portarli con sé. Quaranta giorni dopo, il 22 marzo, nasceva la Voce.
Sei giorni dopo, il 28 marzo, Berlusconi vinceva la elezioni e andava al governo. La Voce durò 13 mesi soltanto, ferocemente sabotata – nella pubblicità, nella distribuzione, nel collocamento in Borsa delle azioni della public company che doveva sorreggerla – dall’azienda che si era fatta partito, e Stato. Intanto il governo B. sistemava, o tentava di sistemare, le pendenze penali e fiscali del Cavaliere: dal decreto Biondi per vietare l’arresto dei tangentari, in straordinaria coincidenza con lo scandalo delle mazzette (anche Fininvest) alla Guardia di Finanza, all’occupazione militare della Rai, al primo condono fiscale (il primo di una lunga serie, camuffato da “concordato”) firmato dal tributarista del gruppo, Giulio Tre-monti, subito promosso ministro delle Finanze. L’incubo finì abbastanza presto, dopo appena otto mesi, grazie a Bossi, che gli levò la fiducia, diede vita al governo Dini col centrosinistra e alle elezioni del '96 condannò B. alla disfatta correndo da solo e regalò la vittoria all’Ulivo di Prodi. Per il Caimano pareva veramente la fine: nessuno poteva prevedere che nel 1996 D’Alema avrebbe resuscitato il caro estinto con la respirazione bocca a bocca, regalandogli altri 15 anni di storia patria: prima la visita a Mediaset “grande patrimonio del Paese”, con annessa quotazione in Borsa, e poi la Bicamerale, dove l’amico di Mangano e Dell’Utri, ormai sepolto da avvisi di garanzia e processi, fu promosso addirittura a padre costituente. O ricostituente.
FU PROPRIO negli anni del centrosinistra (1996-2001) che compresi come quella che le teste d'uovo senza testa e la presunta sinistra scambiavano per una parentesi passeggera aveva messo radici, anzi metastasi, nella società italiana. Ma anche nel sangue di molti italiani. E lo compresi sulla mia pelle quando, chiusa la Voce, vidi che quasi nessuno dei colleghi che avevano condiviso l'ultima, splendida avventura montanelliana, trovavano un posto di lavoro in nessun giornale, in nessuna tv. Eravamo marchiati d’infamia per aver dato vita a un giornale che aveva combattuto Berlusconi non per il gioco delle parti destra-sinistra (come Repubblica, l’Unità, il manifesto), ma per ragioni di principio, da posizioni autenticamente liberali. Che “le sinistre” lo combattessero, B. lo dava per scontato, anzi gli faceva gioco: altrimenti non avrebbe potuto convincere milioni di italiani che il pericolo comunista era alle porte. Ma avere contro il simbolo dell'Italia liberalconservatrice, Montanelli, che lo accusava di voler creare “un regime”, quello no, non poteva proprio accettarlo. E noi pagammo con anni di disoccupazione. I giornali, anche importanti, ci facevano scrivere, ma “non potevano” assumerci perché venivamo dalla Voce. L'Italia che contava era già diventata cosa sua.
La prima volta che ebbi con lui un incontro ravvicinato fu nel 1996-'97. Collaboravo con una miriade di giornali, a borderò, tra i quali il Messaggero, l'Indipendente, il Giorno, Cuore, il Borghese, MicroMega e infine l'Espresso dei grandi Rinaldi e Pansa. Per IlMessaggero seguii una sua conferenza stampa al Lingotto di Torino. I giornali di quel mattino riportavano le dichiarazioni di un suo vecchio consulente, Ezio Cartotto, che raccontava come fosse stato Craxi a battezzare la nascita di Forza Italia, in un vertice segretissimo ad Arcore, nell'aprile del 1993, pochi mesi prima della fuga ad Hammamet. Alzai il braccio e domandai a B. come rispondesse a quella ricostruzione, all'epoca molto imbarazzante (Craxi era ancora un nome impronunciabile, infatti lui faceva finta di non averlo mai visto né conosciuto). Rispose, paonazzo in volto nonostante il cerone: “Si vergogni della sua domanda”, e passò a un'altra. Mi aspettavo, ingenuo com'ero, che gli altri giornalisti presenti in sala, quelli che facevano parte del suo consueto codazzo, insistessero per avere una risposta, non foss'altro che per solidarietà con un collega maltrattato dal leader dell'opposizione. Invece mi guardarono tutti storto, come a dirmi: vergognati, ce l'hai fatto incazzare, ora ci rimane storto per tutta la giornata. Avevo violato, a mia insaputa, un patto non scritto: Lui non andava disturbato con domande. Solo assist. Pochi mesi dopo il direttore del Giorno cambiò: al posto di Enzo Catania (che mi faceva scrivere editoriali), arrivò un vecchio e celebrato giornalista che mi comunicò subito la fine della mia collaborazione. “Problemi di budget”, mi scrisse. Risposi: “Scriverò gratis”. Replicò: “Non si può, motivi sindacali”. Seppi poi che le aziende del gruppo B. (ma anche la Fiat) avevano minacciato di togliere la pubblicità al quotidiano se la mia firma avesse seguitato a comparirvi.
Il secondo incontro ravvicinato fu nel 1998, al processo di Torino contro Dell'Utri per le false fatture di Publitalia. Dopo mesi di melina, B. fu costretto dal suo braccio destro a venire in tribunale per testimoniare in suo favore. Lui alla fine arrivò, tentò di convincere il presidente che un po' di evasione fiscale non ha mai fatto male a nessuno, dipinse Marcello come “Giorgio Washington che trascurava i suoi affari privati per il bene della nazione”. E fu molto persuasivo: infatti Dell'Utri fu condannato a 2 anni e mezzo di carcere. Uscito dall'aula, mi avvicinai a B. in una selva di colleghi, fotografi e cameramen. Mamma mia quanto era piccolo: più piccolo di quanto potessi immaginare, nonostante i tacchi col rialzo. Lui fece un cenno di stop a flash e telecamere, estrasse di tasca un batuffolo di cipria, se lo passò sul volto inceronato, poi tirò fuori un pettinino, diede una sistemata a quel che restava della chioma sulla crapa pelata (mancavano sei anni al trapianto pilifero). Poi diede il via alle riprese. Ebbi la sensazione di essere il solo a stupirmene.
Nel marzo 2001 assistetti praticamente in diretta all'intervista di Montanelli a Biagi, quella del “vaccino”, censurata da Rai1 nella parte in cui il Vecchio vaticinava: “Governerà senza quadrate legioni, ma con molta corruzione”. Ne parlai a lungo con lui: mi aveva invitato a pranzo dopo la mia ospitata da Daniele Luttazzi, dove avevo presentato L'odore dei soldi, il primo di una lunga serie di libri a lui dedicati, scritto con Elio Veltri. E mi ero beccato sette cause civili: due da B., due da Forza Italia, una da Fininvest, una da Mediaset (“sono cose diverse – disse Luttazzi – quando si tratta di incassare”), una da Tremonti per un totale di 120 miliardi di lire (poi tutte vinte).
“STAI ATTENTO, MARCO – mi disse il Direttore – questa volta durerà a lungo e io sono felice del fatto che non vedrò la sua fine. Combatti la tua, la nostra battaglia, ma guardati le spalle, perché l'uomo sembra simpatico, e a piccole dosi lo è, ma con chi gli tocca la roba – cioè i soldi e l'immagine – è vendicativo, e i suoi servi ancor di più. Saranno anni terribili”. Morì quattro mesi dopo, giusto il tempo di vederlo trionfare e di constatare l'irredimibilità degl’italiani. L'editto bulgaro del 2002 contro Biagi, Luttazzi e Santoro, e poi Freccero e tutti gli altri, fu una sorpresa solo per chi non aveva ancora capito chi fosse: non per noi che avevamo già vissuto tutto nel '94. L'editto vige ancor oggi, almeno per Luttazzi. E tuttora in casa Mediaset c'è il divieto di invitarmi in qualsiasi programma, foss'anche di cucina; divieto esteso al Fatto nelle rassegne stampa.
B. lo rividi, per la terza e ultima volta nel 2004, sempre in tribunale, ma a Milano: era lì per la dichiarazione spontanea al processo Sme. Contai le balle che riuscì a raccontare: 83 in meno di due ore. Piero Ricca, in corridoio, gli gridò “buffone, fatti processare”. Lui lo fece identificare dai carabinieri. Dopo quattro anni a Repubblica, scrivevo per l'Unità: quella rifondata da Colombo e Padellaro, che faceva opposizione assieme ai Girotondi in piazza mentre il centrosinistra, tanto per cambiare, inciuciava. Infatti, anche all'Unità, arrivò il berlusconismo. Quello di sinistra però, che cacciò prima Colombo e poi Padellaro per eccesso di antiberlusconismo. Non stava bene: era sintomo di girotondismo e giustizialismo. Disturbava il “dialogo”. “L'Italia non è di destra – gridava Corrado Guzzanti travestito da Rutelli con la voce di Sordi –: l'Italia è tua, Silvio!”. Infatti, dopo la breve parentesi del Prodi-2, nel 2008 rivinse la la terza volta contro il Pd di Veltroni che manco lo nominava (“il principale esponente dello schieramento avversario”).
Intanto l'Italia precipitava in tutte le classifiche, e l'unica cosa che cresceva, oltre al suo conto in banca e ai suoi processi, erano i suoi capelli e la corruzione. Come aveva profetizzato (almeno per la corruzione) Montanelli. In fondo lui l'aveva detto, quando la Fininvest era sull'orlo della bancarotta: “Trasformerò l'Italia come le mie aziende”. È stato di parola. Missione compiuta.



Il più grande cialtrone dall'unità d'Italia che ha saputo democraticamente e mediaticamente rincoglionire buona parte d'italiani,non ho altro da aggiungere!

&& S.I. &&

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mercoledì 24 ottobre 2012

Mrs.choosy Fornero by Vauro





Grazie Vauro,la sintesi visiva della Ministra è assolutamente fedele alla realtà!

&& S.I. &&


La finanza sempre nel delirio d'onnipotenza




Un sistema in liquidazione

MASSIMO GRAMELLINI

Nel dimettersi dopo appena quattordici mesi dall’incarico di direttore generale della Fondiaria Sai, Piergiorgio Peluso ha ottenuto una liquidazione di tre milioni e seicentomila euro. Tre milioni e seicentomila euro per quattordici mesi. Era una clausola del suo contratto. Nel mondo della finanza è normale. Ma è quel mondo a non essere più normale. Peluso è figlio della signora Cancellieri, ministro di un governo che ha fatto della sobrietà la sua bandiera oltre che un suo indubbio merito, forse l’unico apprezzato da tutti gli italiani. Ma la finanza respinge qualsiasi appello a rientrare nei ranghi del buonsenso. Vive da un’altra parte che non è la nostra, obbedendo a logiche che non sono le nostre. Quando il sistema stava per fallire ed è stato tenuto in piedi con robuste iniezioni di denaro sottratto ai nostri risparmi, ci saremmo aspettati almeno un cambio di stile, se non di sostanza. In fondo i politici lo hanno fatto, hanno ceduto il passo ai tecnici. Invece i finanzieri, oltre ad avere rinunciato a svolgere il loro compito storico - prestare soldi alle imprese affinché possano assumere lavoratori - hanno continuato imperterriti a costruire piramidi di denaro virtuale al cui interno hanno stipato denaro reale, quello a cui attingono in esclusiva, con immutato slancio e totale mancanza di pudore.

Chiunque capisce che si tratta di un sistema impazzito, di un treno senza conducente che viaggia sparato contro un muro. Il giorno del cataclisma non spargerò una lacrima. Anche perché non ce ne sarà il tempo, visto che i cocci di quel treno dovremo rimetterli insieme noi.



Aspettando di toccare il fondo almeno in cabina elettorale cerchiamo d'avere un po' di coraggio,me ne rendo conto che un movimento guidato da un comico datosi alla politica puo' destare non poche perplessita',ma per come siamo messi male un po' di rischio ce lo possiamo permettere.Buona fortuna a cinque stelle!

&& S.I. &&

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martedì 23 ottobre 2012

Le condanne dimostrative sul terremoto dell'Aquila




Terremoto de L’Aquila: condanne e evidenza scientifica

di Andrea Aparo

Il giudice ha emesso il suo verdetto. I sette membri della Commissione Grandi Rischi sono stati condannati a sei anni e interdizione dai pubblici uffici perché colpevoli di … già, di cosa?

Condannati per non avere previsto il terremoto de L’Aquila del 6 aprile 2009?

Signor Giudice, i terremoti non si prevedono, non ne siamo capaci, nessuno è capace di farlo. Non saremo capaci di farlo ancora per molti anni, sempre che lo saremo. Condannare per questo motivo è analogo alla messa al rogo delle streghe in un recente, purtroppo, passato.

Condannati per avere rassicurato gli aquilani dicendo che una forte scossa era improbabile?

Signor Giudice, se avessero detto che una tale probabilità fosse esistita allora sì che avrebbero dimostrato la propria incompetenza. I terremoti non si prevedono. C’erano sciami sismici? Vero. Peccato però che la sismologia, quella vera, riporta tanti casi dove possono esserci mesi, anni di sciami sismici senza che un terremoto violento si manifesti.

Signor Giudice, cosa altro potevano dire a seguito della riunione del 31 marzo 2009? Che il terremoto era alle porte? Basandosi su cosa? Volo degli uccelli, lettura di foglie di the o ravanamento d’interiora di volatili più o meno domestici?

Signor Giudice, dovevano dare retta a Giampaolo Giuliani, gran ciarlatano e maestro dei rilevatori di radon? Ricorda? : “Posso dare l’allerta sismica con 6-24 ore di anticipo nel raggio di 120 chilometri dalla centralina”. Infatti sbagliò sia il giorno che la città. Però ha azzeccato il soddisfacimento dei suoi interessi personali. Giuliani ora ha la sua Fondazione e oltre al radon si interessa alle variazioni del campo elettromagnetico, ai protoni dell’idrogeno, alle variazioni termiche della ionosfera. Versione moderna delle frattaglie di volatili di cui sopra. La sua pagina su Facebook conta decine di migliaia di fan. I ciarlatani hanno sempre grande seguito.

Signor Giudice, ai membri della Commissione Grandi Rischi è stata contestata: “una valutazione del rischio sismico approssimativa, generica e inefficace in relazione alla attività della commissione e ai doveri di prevenzione e previsione del rischio sismico”.

Signor Giudice, qualcuno si è chiesto quanto questa valutazione è stata causata dalle castroneria del signor Giuliani?

Signor Giudice, il rischio sismico si può valutare ed era stato valutato in modo corretto. Peccato che gli edifici non erano a norma. Un terremoto non è una catastrofe, è un evento naturale. La catastrofe è che nessuno fa nulla se non giudicare dopo, quando è tardi. Intanto in tanti, troppi, piangono.

Signor Giudice, cosa avrebbero dovuto fare? Dichiarare che poteva esserci un terremoto distruttivo? Come avrebbero potuto dirlo se nessuno e nulla può prevedere un terremoto e ancora meno la sua intensità. Se lo avessero detto cosa sarebbe accaduto? Tutti a dormire per strada? Siamo in Italia. Quanti sarebbero rimasti comunque a casa, tanto degli scienziati non ci si può fidare…

Se non fosse accaduto nulla, quante le richieste di risarcimento?

Signor Giudice, non conto nulla, lo so. Però io, basandomi sull’evidenza scientifica, sono certo della onestà e correttezza professionale dei membri della Commissione Grandi Rischi.

Signor Giudice, ho fiducia nella giustizia e attendo i prossimi gradi di giudizio.

Signor Giudice? Dimenticavo. Non faccio previsioni.



Non fanno una piega le motivazioni che ha inserito nel post,i terremoti allo stato attuale non si possono prevedere,possiamo sperare che sia possibile in futuro,certamente chi ha costruito case in questi ultimi decenni e' stato un criminale,poiche' L'Aquila e' considerata zona rossa,altamente sismica,perlomeno dalla meta' dello scorso secolo,vedere cadere in briciole palazzi degli anni 70-80 e' pazzesco,un paese che non potra' mai essere all'altezza dell'Europa piu' evoluta.

Sulle condanne,potrei scommettere che e' stata una decisione dimostrativa,nei prossimi giudizi le sentenze saranno robustamente riviste al ribasso.

Scriveremo sul prossimo terremoto,queste brutte cronache non finiranno mai,i modenesi stanno incrociando le dita sulla ricostruzione....

&& S.I. &&

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Stadi di calcio:La verifica di un paese allo sbando





OGNI MALEDETTA DOMENICA

Storie di ordinaria barbarie

QUEL CHE È SUCCESSO A LIVORNO, CON I TIFOSI VERONESI CONTRO MOROSINI, O A TORINO, CON LA TELECAMERA RAI IN ODORE DI RAZZISMO, È DAVVERO STUPEFACENTE? FORSE È SOLTANTO LA NORMALITÀ DI UN PAESE ALLO SBANDO

di Oliviero Beha

Poco meno di quarant’anni fa Pier Paolo Pasolini obiettò (mi pare in polemica con Mora-via, o con Calvino... ed effettivamente facendo il paragone oggi le polemiche strisciano come gasteropodi) su un titolo di prima pagina tipo “Mostruoso al Circeo”, a proposito del delitto arcinoto. Altro che “mostruoso”, diceva il poeta poi presto assassinato, il titolo giusto sarebbe stato “Normale al Circeo”. Era un modo allora estremo, iperbolico, di entrare nel corpo vile di un Paese in via di disumanizzazione.
IN PROPORZIONE infinitesimale propongo lo stesso atteggiamento mentale per quel che accade nel nostro calcio. Davvero quel che è successo a Livorno, per i cori dei tifosi veronesi sul morto Morosini, è stupefacente? Davvero le risse, gli insulti, la barbarie dentro e fuori lo Juventus Stadium intorno a Juve-Napoli è sorprendente? Davvero il collega del Tgr che affonda la telecamera negli insulti ai napoletani è un razzista estremo? E per scendere al campo per destinazione, modello la voce rauca del compianto Sandro Ciotti, davvero un Preziosi che caccia anche De Canio dopo la sconfitta interna con la Roma può stupire qualcuno? Ma via... normale, normalissimo in un pallone finito nel buco nero sociale, culturale e politico di un Paese sbandato. Normale e quasi di scuola, tanto per ripartire dallo stadio (Ferraris...) più basso di questa catena, che un Preziosi categoriale tra i presidenti manager rotondocratici espella un allenatore perché “si è fatto rimontare troppe volte”. Il linguaggio come sempre spoglia le persone. Per rimanere all’iperbole , Preziosi doveva avere il coraggio di mandar via De Canio all’inizio del secondo tempo, quando la Roma, che aveva già rimontato un quarto d’ora da incubo pro Genoa, si è disposta centrando il pallone come la cavalleria di cavalleria di Radetzky, tutti o quasi pronti a riversarsi tra le linee nemiche. Preziosi doveva licenziarlo per telefono senza aspettare il secondo tempo, e allora sì che avrebbe fatto qualcosa di estremo, stupendoci almeno un poco. Così siamo alla solita pochade del tecnico “fusibile” di un corto circuito complessivo. Lo stesso corto circuito del Paese e del pallone, nel quale prende la scossa chi ci mette le mani. Perché Livorno-Verona non è stata sospesa? Insultare a cori ignobili il morto è come farlo morire due volte, se è stata sospesa la partita quella tragica prima volta e tutto il calcio si è fermato, come è pensabile che pochi mesi dopo si “normalizzi” questo scempio? Si normalizza appunto perché è normale, atroce ma normale. Altrimenti il potere federale, gli arbitri, le istituzioni di pubblica sicurezza, il sindacato calciatori e gli stessi capitani delle due squadre si sarebbero dovuti fermare all’istante, non solo per i regolamenti ma per uno straccio di sensibilità. Invece continuare a giocare è “normale”, maledettamente normale proprio come esagerare nei cori. E lo stesso metro dovrebbe funzionare per il teppismo da stadio, che invece è ancora e sempre una rubrica a margine della partita. E c’è voluto quel collega eroe, sia pure al contrario, per attirare l’attenzione su un modello di comportamento che secondo i commenti viene etichettato come “razzista”. Perché cassa di risonanza nei confronti dei napoletani o del Sud. Ebbene, forse bisognerebbe invece focalizzare il livello professionale un po’ di tutta la categoria. È la mancanza di una qualsiasi cultura sportiva che produce questi fenomeni. Se hai praticato (penso a un Giampiero Galeazzi su cui in tanti hanno scherzato come “bisteccone” ma che ha conosciuto direttamente il sudore e il valore nel canottaggio), è difficile che tu perda la bussola e ti lasci andare all’offesa.

SE NON HAI praticato sport e hai almeno “studiato”, forse ti funziona il servofreno della conoscenza. Ma se finisci allo sport in una dimensione di totale analfabetismo specifico (spesso localizzato all’interno di un analfabetismo generalizzato che innamora...), bè, diventa normale, appunto “normale”, perderti nella spirale del tifo e della partecipazione, dello smercio del peggio “che si vende bene”. È l’equivalente delle migliaia di “Che cosa ha provato?” che in tanti colleghi ci regalano sbattendo microfoni e telecamere sotto il naso di genitori che hanno appena perso un figlio. È sempre una questione di cultura , e riguarda un po’ tutti. Non solo: adesso i soldi latitano in un ambiente dorato, viziato, privilegiatissimo fino a ieri ma in cui anche oggi succedono fatti strabilianti. I dati su coloro che continuano a entrare a ufo al Meazza davvero impressionano, perché sono tanti e forse soprattutto perché non desistono neppure oggi che dovrebbe essere cambiata l’aria. Se invece la crisi permettesse e spingesse verso una revisione dei comportamenti, forse anche questo periodo di vacche economicamente più magre anche per i viziati potrebbe servire. Se siamo ancora oggi ai cori sul giovane Morosini morto in campo, alle barbarie da stadio e ai razzismi/analfabetismi di cui sopra, è perché non è stato fatto nulla. Da sempre. Nessuno, a partire dal ministero dell’Istruzione e dal Coni, ha mai seminato davvero in questo senso. E questa arretratezza si paga nella normalità feroce di quello che accade. Sì, adesso la Rai ha scelto la linea dura e ha sospeso il collega “eccessivo”, ma nessuno prenderà lo spunto per una ricognizione di categoria. Magari squalificheranno “oggettivamente” il campo del Verona, ma i buoi sono scappati da un pezzo. Quanto a Preziosi, allora mi tengo un Della Valle con tutte le scarpe.



Le curve di stadio sono da sempre,almeno per una parte di chi le frequenta,una fogna sociale,dove gli sfoghi piu' beceri vengono interpretati vigliaccamente,forse insultando un povero ragazzo morto sul campo quasi un anno fa si e' toccato il fondo,ma quel fondo da quelle parti non avra' mai fine!

Meglio diversificare gli interessi domenicali,compreso anticipi e posticipi del caso,ovunque si andra' si respirera' aria migliore.

&& S.I. &&

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lunedì 22 ottobre 2012

Da anni la criminalita' organizzata ha gli uffici sparsi nell'intero paese




di Giuseppe Pipitone e Silvia Bellotti

“La mafia? io avevo paura di qualche chiamata, ma non c’è. Secondo me sta guardando, ha capito che qui c’è un cambiamento epocale e quindi sta a guardare”. Dopo aver attraversato a nuoto lo stretto di Messina, Beppe Grillo è approdato nella Sicilia occidentale. E’ un tour fuori dagli schemi quello del comico genovese, venuto in Sicilia per sostenere la candidatura di Giancarlo Cancelleri alle prossime elezioni regionali. Un tour che l’ha portato a visitare l’entroterra siciliano, quello dei piccoli centri ad alta densità mafiosa. Oggi però Cosa Nostra è diversa. “La mafia – ha detto Grillo in provincia di Trapani – è stata corrotta dalla politica e dalla finanza. La mafia aveva un codice etico: uccideva per il territorio. Ma adesso non c’è. Oggi si è spostata. Il commercialista della ‘ndrangeta si è spostato in Lombardia a spartirsi sette miliardi di Expo”. Il leader del Movimento Cinque Stelle ha fatto un bilancio del suo tour elettorale nella Sicilia orientale. ” Avete posti incredibili. Sono stato a Ragusa, è bellissima! Ma non ci sono strade, non c’è un centimetro di autostrada. Non ci sono ferrovie: ho preso un treno, Scordia – Vizzini, sono 25 chilometri, ci abbiamo messo un giorno mezzo con la lettorina, l’ultima che ho visto era giocattolo, qui l’avete ancora vera”. Quindi Grillo ha lanciato qualche stilettata ai politici che hanno governato la Sicilia negli ultimi decenni. “Dicono che siamo tutti uguali: è la strategia di Totò Cuffaro, sono tutti uguali, così vincono loro. L’ho visto Cuffaro che usciva dal carcere: è un fighetto, magro, ci costa 300 euro al giorno. Questa gente qui non deve andare in carcere ma a riparare strade. Qui aveva Salvatore Quasimodo, premio nobel per la letteratura. Siete passati da Quasimodo a Miccichè: è questa la vostra evoluzione culturale”



La criminalita' organizzata sta dove c'e' trippa per gatti,avendo consolidati il "commercio" della droga e delle armi,si e' perfezionata tra gli appalti pubblici e lo smaltimento dei rifiuti,chi pensa al boss con coppola incorporata su qualche paesello sperduto e' rimasto parecchio indietro sul tema.

E su questo punto Grillo sfonda una porta aperta,se lui e il suo movimento riusciranno ad arginare il malaffare si trattera' di un successo,altrimenti il trend di questi traffici aumentera',e non vedo chi potra' estirpare questo cancro che erode l'intero paese.

&& S.I. &&

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domenica 21 ottobre 2012

21 dicembre 2012-A due mesi dalla previsione dei Maia



Fino alla fine del mondo (e oltre)

di MASSIMO GRAMELLINI

Domani mancheranno due mesi esatti alla fine del mondo. Siete già stati dal parrucchiere? Forse non ci credete. O forse pensate che la fine del mondo sia arrivata in anticipo e abbia gli occhi di Angela Merkel (hanno lo stesso colore del vetro smerigliato di una doccia). Io spero ancora che si presenti all’orario previsto, il 21.12.12. Nei sogni, l’unico momento in cui sono lucido, la immagino come una raffica di ultrasuoni che perfora gli orecchi degli stupidi, dei corrotti e dei cialtroni. Una carneficina. Vedo plotoni di sventurati con le mani intorno alla testa che corrono a gettarsi in acqua (tranne Berlusconi: il furbacchione ha avuto una soffiata e si è messo i tappi) e non ne capisco il motivo. Finché comincio a sentire l’ultrasuono anch’io: mi sveglio col cuore in ammollo e controllo l’orologio sul comodino.

Ancora due mesi. E poiché ogni fine rappresenta un inizio, il 21 dicembre dovremmo salpare verso un mondo più giusto, dove l’amore trionferà, Formigoni si dimetterà e il Toro vincerà lo scudetto. Per prepararci a questo viaggio interiore, ho chiesto ai lettori della pagina di «Cuori allo specchio» di aiutarmi a fare le valige, raccontando il giorno della loro vita che intendono portarsi dietro.

Di mio, ogni domenica, ci metterò una buona parola (la prima sarà: utopia), mentre nel suo «manuale di sopravvivenza» Federico Taddia racconterà come in tutto il pianeta gli esseri umani si stiano preparando alla data fatidica. Domani si parte, fino alla fine del mondo e un po’ oltre. Benvenuti a bordo e, mi raccomando, tenete Schettino lontano dal timone.



Degli auspici che ha inserito si scordi lo scudetto al Toro,almeno fino a quando non ci sarà un russo o un emiro pieno di soldi a rilevare la squadra granata,non avendo la Tv,i Maya furono concentrati troppo sulle stelle per prevedere la fine del mondo,se avessero previsto ciò che passa la programmazione televisiva avrebbero anticipato d'un paio di decenni la fine dell'homo sapiens,in ogni caso buon 22 dicembre,che se non vedo,non ci credo.

&& S.I. &&

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sabato 20 ottobre 2012

Vauro e il processo Ruby






Legge anti corruzione,i tangentari ringraziano




Lettera di un tangentaro

di Marco Travaglio

Gentili presidente Monti e ministra Severino, chi vi scrive è un tangentista. Niente di speciale, per carità: un tangentista medio, come ce ne sono tanti, che tira avanti come può. Una mazzetta oggi, una domani. Una volta le toghe rosse mi han beccato mentre incassavo una mazzetta come assessore comunale e mi han costretto a patteggiare 5 anni per corruzione e concussione, sebbene io – su consiglio del mio avvocato, che è anche deputato – mi proclamassi innocente. Impugnai il mio patteggiamento in Cassazione, sperando nella prescrizione, ma quei giudici infami me lo confermarono proprio in extremis. Fortuna che i miei reati (anzi, presunti reati) li avevo commessi prima del 2006, così beneficiai di 3 anni di sconto grazie all’indulto sinistra-destra. Mi rimasero 2 anni, che scontai comodamente in libertà senza passare dal carcere: il giudice mi affidò ai servizi sociali (una visitina ogni tanto a una comunità di ex tossici, che appena mi vedevano ricominciavano a drogarsi), perché diceva che dovevo reinserirmi nella società, anche se io mi sentivo già abbastanza inserito. Appena la mia condanna finì sui giornali, il presidente B. mi notò e mi invitò ad Arcore per propormi una candidatura alle elezioni del 2008: gli si era liberato un posto nella quota condannati, non potendo ripresentare Previti per l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Accettai e fui eletto deputato. Il mio nome era, ovviamente, nei primi posti della lista bloccata, in cambio di una bella sommetta, frutto delle mie vecchie refurtive, e di un certo numero di voti che avevo acquistato da un boss della 'ndrangheta conosciuto casualmente in Regione Lombardia. A Montecitorio, oltre al mio avvocato, incontrai un sacco di colleghi tangentari. Un’allegra rimpatriata. Pensavo di restare lì una ventina d’anni, come si usa, poi purtroppo iniziò a soffiare questo brutto vento di antipolitica. Non vi dico la mia angoscia quando si cominciò a parlare della vostra legge anticorruzione. Già il nome era decisamente brutto e maleaugurante. E poi la sostanza: si parlava di lotta a corrotti, concussori, compratori di voti, riciclatori di mazzette, evasori fiscali, falsificatori di bilanci. C’era addirittura un giornale che raccoglieva firme per spingere. Chissà che mi credevo, non ci ho dormito due notti. Poi il mio avvocato mi ha preso da una parte: “Tranquillo, questa legge la puoi votare anche tu”. E io: “Ma poi devo smettere di fare quel che ho sempre fatto”. E lui: “No, fidati, puoi continuare come e più di prima. Anzi, nessuno se ne accorgerà più, perché adesso abbiamo la legge anticorruzione e il governo degli onesti”. Non ci volevo credere, poi ho controllato: mi son letto bene la legge e ho scoperto che aveva ragione lui. Gl’imprenditori che mi pagano tangenti potranno seguitare a falsificare i bilanci e ad accumulare fondi neri senza pagarci le tasse. Io, come peraltro ho sempre fatto, dovrò solo stare attento a chiedergli le mazzette gentilmente, senza puntargli il coltello alla gola: così è concussione per induzione, che d’ora in poi sarà addirittura un reato minore, punito non più fino a 12 anni, ma fino a 8, così la prescrizione scatta non più in 15 anni, ma in 10 anni (fosse stato così anche prima, mi sarei risparmiato il patteggiamento). La mazzette dovrò seguitare a reinvestirmele da solo, tanto l’autoriciclaggio continua a non essere reato. E, quando compro voti dal boss, devo stare attento a non pagarli in denaro, ma in favori, così il reato di voto di scambio non scatta. Ecco, signor presidente e signora ministra: io volevo semplicemente ringraziarvi. Mi avevate tanto spaventato, ma poi ho capito che era tutto uno scherzo. Se la lotta alla corruzione è la vostra, ci sto anch’io. Sapete che già mi sento un po’ tecnico anch’io?





Per ogni scandalo,per ogni finta legge a riguardo della corruzione,per ogni privilegio che non vorranno privarsene,quei pochi che andranno ancora a votare sapranno molto bene chi scegliere e chi evitare,l'unica arma per riuscire a disfarci di questa feccia.

&& S.I. &&

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venerdì 19 ottobre 2012

Morire casualmente a Napoli per mano della camorra




Noi siamo di più

di MASSIMO GRAMELLINI

Da oggi ho uno slogan nel cuore che vale più di tutti gli «Yes we can» del mondo. L’ho sentito fiorire sulle labbra di una ragazza napoletana, prostrata dall’assurdità di una sofferenza insostenibile. Si chiama Rosanna Ferrigno, fa la segretaria in uno studio medico e l’altra sera ha dovuto raccogliere sotto casa il cadavere del promesso sposo, crivellato dalla camorra con quattordici proiettili. I camorristi hanno confuso il suo Lino, che stava andando a giocare a calcetto, con uno di loro. La gratuità del crimine e l’estraneità della vittima hanno scosso l’abulia di una città che da troppi secoli sopporta la malavita organizzata come una forma endemica di malaria. Poi è arrivata Rosanna. Non ha pianto in pubblico, non ha insultato le istituzioni, non ha elargito finti e precoci perdoni. Ma l’amore e il dolore le hanno dettato parole decisive: «Non bisogna avere paura dei camorristi. Sono loro che devono avere paura di noi. Noi dobbiamo continuare a uscire per la strada a testa alta. Sono loro che si devono nascondere. Noi siamo di più».

Noi siamo di più. Non ci avevo mai pensato. Con tutti i nostri difetti - perché ne abbiamo a iosa, sia chiaro - noi siamo di più. Siamo di più dei mafiosi, dei corrotti, dei finanzieri senza scrupoli. Siamo più numerosi di qualunque minoranza coesa che cerchi di dominarci con le armi del potere e della paura. Averne consapevolezza, lo so bene, non basta. Ma è la premessa per svegliarsi dall’incubo e provare a trasformarlo in un sogno. Grazie, Rosanna, per avercelo ricordato.



Mi auguro che non solo per la citta' partenopea nasca questa convinzione,penso che la consapevolezza d'aver toccato il fondo possa finalmente destare la rivincita della legalita' su tutti i fronti,anche se il sistema organizzato in questi decenni,politico-criminale,dovra' essere combattuto in un discreto limite di tempo,ma e' iniziata l'ora zero.

&& S.I. &&

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giovedì 18 ottobre 2012

I politici a vita del bel paese che fu


Il sonno della Regione



di Marco Travaglio

Gli italiani, si sa, sono nati per soffrire. Uno su tre chiede aiuto alla Caritas, uno su cinque non arriva a fine mese, tre giovani su tre sono disoccupati, 4 milioni sono precari. E ora devono pure attendere fino a chissà quando per sapere se il Pd chiederà o no a Massimo D’Alema, la Volpe del Tavoliere, di sacrificarsi ancora una volta per noi e abbassarsi a tornare in Parlamento. Ma si può vivere così, senza un minimo di certezza? Per fortuna, in tanta precarietà, qualche punto fermo rimane. Beppe Pisanu, deputato dal lontano 1972, annuncia che si ricandida (non dice con chi, ma qualcuno che lo mette in lista si trova) perché “una famiglia sarda detiene il record della longevità in Italia e io, politico sardo, voglio battere quello della longevità politica”. A spese nostre, s’intende. La lieta novella è stata comunicata alla presentazione del libro di Ciriaco De Mita (che, fra Italia ed Europa, è parlamentare dal 1963), dal titolo decisamente minaccioso: La storia non è finita. E le minacce dilagano, se è vero che Formigoni, che salta da una poltrona all’altra dal 1984, si ripresenterà alle regionali lombarde magari con una lista Forza Forchettoni, con l’aggiunta di una lista Sgarbi, altro nome di cui si sentiva la mancanza. Un genio. Del resto, nel 1993, intervistato dal sottoscritto per il Giornale di Montanelli al Meeting di Rimini, il capo romano di Cl, monsignor Giacomo Tantardini, ebbe a definire il Celeste “l’uomo politico più stupido del mondo” (aveva appena presentato una nuova corrente Dc in società con Vittorio Sbardella, in arte Squalo, noto per i sigari alla Al Capone ma soprattutto per la collezione di avvisi di garanzia). Infatti, nella Prima Repubblica, Robertino era solo uno dei 14 vicepresidenti del Parlamento europeo, mentre nella Seconda è stato governatore di Lombardia per 17 anni. Il sonno della Regione genera mostri. È questa la principale differenza fra Prima e Seconda Repubblica: non tanto il livello di corruzione, visto che si ruba anche più di prima, quanto il livello di demenza, un’epidemia.
L’on. Antonio Mazzocchi del Pdl, questore della Camera firmatario dei bilanci della medesima, patrocina uno stanziamento di 5.656.000 euro per costruire un nuovo parcheggio per i deputati davanti a Montecitorio in quanto – dichiara al Messaggero – trovare un posto auto in piazza del Parlamento “è davvero un problema”, si rischiano persino le multe anche se “i vigili della zona sono molto cortesi e prima di fare la multa ti chiamano e ti dicono di spostare la macchina” e di prendere l’autobus o la metro non se ne parla perché “non prendiamoci in giro: i mezzi pubblici non funzionano” e lorsignori ne sanno qualcosa, visto che allo sfascio del Comune si dedicano con passione da decenni. Ogni volta che aprono bocca, si nota distintamente sullo sfondo una transumanza di 50-100 mila elettori in fuga verso Grillo, o verso l’astensionismo. In piena Tangentopoli i politici di allora, a parte lui e pochi altri del suo livello, s’arrabattavano come meglio potevano per recuperare un minimo di credibilità. Abolirono l’autorizzazione a procedere per indagare i parlamentari. E alzarono dal 50% più uno ai due terzi la maggioranza necessaria per amnistie e indulti, per impedirsi di cancellare Tangentopoli col solito colpo di spugna. E assecondarono i referendum per abolire il finanziamento pubblico dei partiti e cambiare la legge elettorale. Oggi, in piena Ladropoli, non riescono nemmeno a cambiare il Porcellum e bisogna costringerli con la fiducia per votare una legge anticorruzione notoriamente finta, inutile, addirittura favorevole ai concussori. È proprio una questione di principio, anzi di etichetta: se passa il concetto che si deve combattere la corruzione, si crea un pericoloso precedente.



Quella della comparazione alla longevita' conclamata in Sardegna,la quale deve andare di pari passo con la professione di politico a vita,pare davvero una delle dichiarazioni piu' assurde mai proferite,figuriamoci dovessere essere udite o lette fuori dai nostri confini!

&& S.I. &&

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Simone Farina:Un italiano apprezzato all'estero




Farina di un altro sacco

di MASSIMO GRAMELLINI

Simone Farina, il calciatore del Gubbio che disse no ai 200 mila euro di una combine e denunciò il tentativo di truffa alla magistratura, è da ieri il «community coach» del settore giovanile dell’Aston Villa. Insegnerà ai bambini di Birmingham le regole del calcio e quelle, meno note, della lealtà. Affidare al simbolo del calcio pulito un incarico di educatore. Che bella idea. Possibile non sia venuta in mente ai dirigenti di qualche squadra italiana? Secondo me, per pensarci ci hanno pensato. Però hanno saputo resistere alla tentazione. E sì che nei nostri club professionistici ci sarebbe una certa urgenza di ripassare alcune regole di educazione civica o più semplicemente umana. Non truffare il prossimo tuo come te stesso, non chiudere gli occhi davanti a un reato, non fare la vittima. Chiunque assista a una partita di calcio fra bimbi italici rimane colpito dalla presenza a bordo campo di torme di assatanati che gridano ai pargoli di buttarsi in area di rigore e che ricordano all’arbitro quanto sia sentimentalmente leggera sua moglie. Ultrà? No, genitori. Il «community coach» servirebbe soprattutto a loro.

Invece Farina lo hanno ingaggiato gli inglesi. Ormai nel calcio ci siamo abituati a vedere emigrare i più bravi. Adesso cominciano ad andarsene anche i più buoni. E mica solo nel calcio, a giudicare dai tanti ragazzi orfani di raccomandazione che stanno lasciando l’Italia per cercare fortuna in Paesi dove parole come talento e onestà non suscitano ancora fastidio, piuttosto il brivido di un potenziale splendore.



Veramente ho sentito di peggio da parte dei genitori ad assistere i propri pargoli sugli spalti,cito solo "spaccagli la gamba" ed è tutto dire,sulla decadenza sociale delle nostre latitudini direi che è tutta farina del nostro sacco,è evidente che a maggioranza ce la meritiamo,inutile citare altre "virtù" poco civiche italiche,non ho voglia di iniziare la giornata con la nausea...Buon lavoro a quel giovanotto,sicuramente respirerà un aria più sana.

&& S.I. &&

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mercoledì 17 ottobre 2012

Elezioni politiche negli States



Usa 2012: gli autogol di Romney, la strategia di Obama

di Andrea Aparo

Ho seguito tutti i dibattiti presidenziali della storia americana, dai primi quattro fra Nixon e Kennedy nel 1960. Questo è stato immensurabilmente il migliore di tutti”, parola di Mr. Will, commentatore su ABC. Grande dibattito, fra i migliori della storia delle elezioni USA.

Secondo i commentatori di Fox News, ABC, CNN, MSNBC, non importa se conservatori o democratici, il vincitore dell’incontro è il Presidente Obama. Aggressivo, sintetico. Linguaggio chiaro e assertivo. Uso intelligente delle modulazioni della voce, del linguaggio non verbale.

Romney ogni tanto balbettava cercando parole che non aveva, ha tentennato non poco, facendo affermazioni molto convinte peccato però fossero errate, come quando ha dichiarato che da quando Obama è alla presidenza non ha promosso la crescita del consumo di carbone, petrolio e gas naturale, oppure quando ha affermato che Obama non avesse condannato il giorno dopo gli eventi, l’attacco all’ambasciata USA in Libia e l’uccisione dell’ambasciatore Stevens con altri tre cittadini USA. In gergo calcistico li chiamano autogol. Pesanti. Sottolineati dal sorriso ironico di Obama e dal suo” This is not true”, it’s just not true”. Di fatto gli ha dato in modo continuo del disonesto.

Ha provato battute pensate forse bene e giocate certamente male, come quando ha chiesto a Obama se sapesse come venivano investiti i suoi fondi pensione per sentirsi rispondere che no, non lo faceva anche perché la sua è sicuramente molto meno pesante di quella di Romney. La risata del pubblico serio e attento ha fatto molto male alla campagna dei Repubblicani.

Grande tensione, due uomini che non si piacciono per nulla e che non hanno fatto nulla per nasconderlo. Un dibattito molto teso, interrompendosi a vicenda, non rispettando del tutto le regole del gioco, cosa molto poco apprezzata in Usa. 44 minuti di scena e di parole per Obama, 40 per Romney, altro elemento che fa attribuire la vittoria a Obama.

La prestazione di Obama è stata forse troppo “calda” ma attenta, precisa, con un crescendo rossiniano. La sua ultima risposta all’ultima domanda è stata la migliore del dibattito: “Quando (Romney) ha detto, a porte chiuse, che il 47 per cento dei cittadini del paese si considerano vittime che rifiutano di assumersi le loro responsabilità –pensate di chi stava parlando: gente che ha lavorato un vita intera e ha bisogno dell’assistenza sociale, veterani che si sono sacrificati per questo paese, gente che lavora duramente ogni giorno, che paga le tasse ma che non guadagna abbastanza. Voglio combattere per loro”. Una risposta che condensa i punti di forza di Obama: passione, esperienza, preoccupazione, impegno.

Complimenti al Presidente Obama e al suo staff. Di strategia se ne intendono. Giusto perdere il primo dibattito-scontro per fare parlare l’avversario, per dargli la sensazione di essere in vantaggio, per cogliere elementi di debolezza. Ha usato tutti i trucchi nel dibattito la settimana scorsa in Colorado per ottenere il risultato desiderato: occhi bassi, mani impegnate a giocare con una penna, sottotono. Grande attore. Giusto perché l’aspettativa era tutta per un miglioramento della prestazione di Obama, che partiva da un livello basso. Giusto perché ora l’inerzia maggiore l’ha Obama e si troverà avvantaggiato per l’ultimo dibattito.

Il giorno delle elezioni si avvicina. Mancano solo 21 giorni.



Non ho mai seguito i testa,testa dei candidati alla Presidenza americana,mi fido della sua esperienza,anche i giornali sottolineano l'ampia vittoria dell'attuale Presidente,direi ma è solo una sensazione personale che per vincere i democratici hanno bisogno di un candidato assolutamente superiore,sul piano umano e politico,altrimenti non si spiega come l'ex Bush figlio possa essere stato per otto lunghi anni alla Casa bianca.

E' evidente che nel cuore della cosiddetta "culla della democrazia",il nocciolo duro repubblicano vota il proprio candidato a prescindere.

&& S.I. &&

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Uolter il mancato africano




L’ira del mite

di MASSIMO GRAMELLINI

Temete l’ira del mite. E’ pacifico e tollerante, intento a scrostarsi di dosso le cicatrici di un dolore antico. Chiede soltanto di essere amato e di non venire considerato come gli altri: i disinvolti, i beceri, gli arrivisti. Coltiva anche dei miti, il mite. Dei miti e dei sogni. Ne conosco uno che aveva il mito dell’America buona e il sogno di fondare in Italia un partito progressista moderno. Finché il sogno si avverò e il mite ne divenne il capo. Alle elezioni prese un mucchio di voti, ma i compagni di bottega smisero egualmente di amarlo. Lui si chiamò fuori, offeso e deluso. Da tutti e da uno in particolare: un tipo coi baffi che non cercava l’amore degli altri perché se ne dava già abbastanza da sé. Ma il mite ha pazienza. E un tempismo formidabile. Il momento che sa aspettare è sempre quello giusto.

Il nostro mite, chiamiamolo Walter, nel giorno del quinto anniversario del suo sogno-partito andò a dire in tv: io sono diverso, non mi candido più. Una scelta sofferta, certo. E personale, certissimo. Eppure bastò che lui si staccasse dalla colonna a cui per forza di inerzia era ancora rimasto appoggiato perché il tempio cadesse giù, precipitando sulla testa di coloro che non lo avevano amato o, peggio, avevano smesso di amarlo. Fra i calcinacci si riconosceva il tipo coi baffi, chiamiamolo Massimo, intento a scambiarsi irriconoscenze col nuovo capo, un Pier Luigi che era stato proprio Massimo a mettere lì, per sfregio nei confronti del mite. Il quale osservò la scena del disastro senza compiacimento né compassione, con un riverbero di tristezza implacabile negli occhiali. Tremenda è l’ira di noi miti.



Un altro soggetto "figlio" di quel galantuomo di Berlinguer che ha parecchio deluso le aspettative della sinistra di questo paese,la rincorsa al voto moderato ha letteralmente avvilito chi ha dovuto sopportare vent'anni di caimano,è tra questi il citato Walter ha indubbiamente delle responsabilità,forse l'antico progetto del volontariato in Africa l'avrebbe più nobilitato,anche se rinuncia a candidarsi qualche poltrona qua o là gli sarà organizzata,la professione del politico in Italia per la maggioranza risulta effettivamente un vitalizio,vedi Copasir del baffetto suo "simpatico" nemico.

&& S.I. &&

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martedì 16 ottobre 2012

Tra la fame nel mondo e gli sprechi gettati in discarica




Roma, al via la giornata mondiale dell’alimentazione 2012

di ROBERTO GIOVANNINI

Dalla lotta alla fame e alla malnutrizione nel mondo agli ultimi dati sugli sprechi lungo la catena agroalimentare, alla sostenibilità, sicurezza e qualità del cibo. Sono i principali temi affrontati a Roma in occasione della Giornata mondiale dell’Alimentazione 2012 organizzata dalla FAO, che dal 1981 si celebra tutti gli anni il 16 ottobre. La Giornata mondiale dell’Alimentazione ha lo scopo di sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della fame e della malnutrizione nel mondo, e ha come obiettivo principale incoraggiare le persone, a livello globale, ad agire contro questi problemi.

“Se le nazioni si impegneranno ad aumentare gli sforzi per ridurre la fame nel mondo, l’Obiettivo Onu di Sviluppo del Millennio che prevede di dimezzare il numero di affamati entro il 2015 può ancora essere raggiunto”, ha dichiarato il direttore generale della FAO Josè Graziano da Silva alla sessione d’apertura della Commissione sulla Sicurezza Alimentare Mondiale (CFS). Da Silva ha sottolineato che un enorme progresso è stato fatto nel ridurre il numero delle persone affamate di 132 milioni dal 1990 ad oggi, anche se ancora oggi il 14,9% della popolazione mondiale è denutrita, oltre 870 milioni di persone.

L'articolo completo

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Sarebbe sufficiente convincere le grandi distribuzioni alimentari di non gettare nella spazzatura le eccedenze,poichè di questo problema si tratta,seppur complicato possa essere la distribuzione delle eccedenze,le potrebbero sfruttare le miriadi di mense per non abbienti sparse nel territorio.Diverso è il problema della fame nel mondo nelle zone più remote,al contrario degli aiuti,i quali chissà se arrivano e come ci arrivano,da quelle parti servirebbe del volontariato retribuito dall'Unicef e dall'Onu nell'insegnare tecniche di coltivazione e di allevamento,magari con la ricerca di profondi pozzi d'acqua nei dintorni.

@ Dalida @

lunedì 15 ottobre 2012

Riflessioni sul lancio da 39 chilometri di altezza




di Andrea Aparo

Cosa ha pensato Felix Baumgartner l’istante prima di lanciarsi nel vuoto da 39 chilometri di altezza? I numeri, le misure oggettive, le tanti variabili e parametri assortiti sono di grande interesse e ne hanno parlato tutti ma cosa è passato nella mente di Felix?

Conosciamo la sua dichiarazione una volta atterrato: “Quando stavo lì, in piedi in cima al mondo, si diventa umili, non si pensa più a battere un record, non si pensa a raccogliere dati scientifici. L’unico pensiero è rimanere vivo”.

Perché dedicare quattro anni della propria vita a un’impresa che ha del folle, dove la probabilità di uscirne vivi è per lo meno dubbia, sapendo che sarà comunque l’ultima tappa perché non è possibile fare di più e di meglio. Perché?

A rileggere le dichiarazioni di Felix una volta atterrato ci sono quattro elementi che si possono leggere fra le righe. Il primo è la fiducia. Felix ha avuto fede nelle sue capacità, nel team che lo ha assistito, nelle tecnologie di cui si è avvalso.

Il secondo elemento è il divertimento. Già, Felix si è divertito. Certo che ha avuto paura quando ha aperto la capsula per saltare giù, altrimenti non si ha coraggio, ma ha avuto anche un momento di estasi, di totale piacere, fiotti di adrenalina. Di sicuro ha sorriso.

Il terzo elemento del successo di Felix è la passione, ovvero la capacità che tutti noi abbiamo di cortocircuitare la nostra pancia, il nostro cuore e la nostra testa. Nessuna delle decisioni che ci plasma la vita è mai puramente razionale, istintiva o emotiva. Si ha sempre a che fare con una combinazione delle tre cose. Le ricetta della vita richiede i tre ingredienti in misura non sempre uguale ma sempre e comunque quanto basta.

Ultimo elemento la magia che non ha nulla a che fare con arti più o meno oscure. Si è “magici” quando si fa’ qualcosa che nessun altro sa fare oppure osa fare. Si diventa magici con tanto, tanto lavoro, con esperienza ed errori. Si è magici quando si conoscono come nessun altro le regole del gioco e i modi di giocare, quando si diventa Maestri perché si ha la maestria acquisita sviluppando e applicando un metodo feroce; si è magici quando si conosce come nessuno il mercato a cui ci si rivolge.

Già. L’impresa di Baumgartner ha permesso di capire la sua dimensione e fino a che punto oggi la rete e i media tradizionali sono legati fra loro. 40 televisioni in 50 paesi diversi hanno trasmesso in tempo reale l’impresa, collegandosi a YouTube come hanno fatto più di 8 milioni di spettatori simultanei: tanto di cappello alla capacità di gestire il canale. Non c’è più soluzione di continuità.

Una volta atterrato, il suo sponsor Red Bull, ha postato su Facebook una foto di Felix inginocchiato a terra. In meno di 40 minuti è stata in grado di generare 216mila “mi piace”, 10mila commenti e più di 29mila condivisioni. Cose mai viste da noi umani nel campo della comunicazione e dell’advertising. Lo sponsor ringrazia.

Su Twitter, a scala globale, metà dei temi caldi ha avuto a che fare con il salto di Baumgartner. Twitter NASA: “Congratulazioni a Felix Baumgartner e alla RedBull Stratos per il salto record dai confini dello spazio!”

Non è stato solo Felix a fare un salto record…



Non ho nulla da obbiettare sulle ragioni che ha elencato,direi che sono più che esaustive,un mix di coraggio e di irrazionalità,anche la tecnologia su questa impresa ha sperimentato delle soluzioni sulle prossime missioni intorno alla Terra.

Detto ciò,penso che sia una formidabile esagerazione mettere a repentaglio la propria vita su un record di questo tipo,forse questo tipo di personaggi non hanno a sufficienza idea di quanto sia importante la vita per rischiare di buttarla in una prova di coraggio del genere.

Preferisco delle missioni che posseggano un progetto umanitario,e non c'è da fare un elenco per farle risaltare,in questi casi rischiare di perdere la vita ha sicuramente senso,ma gli sponsor in questi casi non hanno interessi,non si vendono prodotti con i veri eroi di ogni tempo.

&& S.I. &&

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Un Monti per tutte le stagioni



di Michele Serra

L'ipotesi di un Monti bis seduce la Confindustria, i principali quotidiani italiani e l'Istituto per la Cura del Sonno di Ginevra, che in un recente studio ha individuato in Mario Monti il più autorevole testimonial mondiale di questa efficacissima terapia. Ma è il quadro politico nel suo complesso ad avvalorare l'ipotesi di un probabile secondo incarico all'attuale premier.

LA SINISTRA. La sinistra è terrorizzata dai sondaggi, che la danno largamente in testa e dunque la costringerebbero, in caso di elezioni, a governare. Per evitare un incidente così grave, e del tutto imprevisto nel suo quasi bisecolare percorso, la sinistra italiana è apertamente favorevole a un Monti bis oppure, se proprio fosse obbligatorio in termini di legge, è disposta a esprimere un premier a patto che possa mantenere l'anonimato, entrando a Palazzo Chigi da un ingresso laterale e dormendo in un letto a castello con lo stesso Mario Monti.

LA DESTRA. Berlusconi, nei sondaggi elettorali, è ormai compreso nella voce "altri". In mancanza di un altro leader autorevole, il Pdl è disposto ad appoggiare un Monti bis a patto che il nuovo governo affronti risolutamente la questione della corruzione, approvando finalmente una legge che la legalizzi e la incentivi. «E' di gran lunga la voce più rilevante della nostra economia», spiegano i responsabili economici del partito, «e sarebbe del tutto folle ostacolarne lo sviluppo. L'Europa non capirebbe». Rimanendo Monti a Palazzo Chigi, il Pdl punterebbe decisamente al Quirinale, cercando di individuare una personalità di alto profilo, di grande moderazione politica e di indiscusso equilibrio che sappia unire il Paese. Le persone che, nel centrodestra, si avvicinano di più a questo identikit sono Daniela Santanché e Vittorio Sgarbi.

IL CENTRO. La galassia del centro è formata da diverse componenti, che formano un coro di esperienze e di competenze davvero invidiabile: Udc, Futuro e Libertà, Montezemolo, i rutelliani dell'Api, i rutelliani del Pd, Rutelli, i liberal del Pdl, gli amici di Letta, il Rotary, il Vaticano, la maggioranza degli ambasciatori stranieri a Roma, diverse logge massoniche, alti gradi dell'esercito, quasi tutti i rettori universitari. Tutti insieme possono contare su circa il 5 per cento dell'elettorato. Dopo lunghi e complicati calcoli hanno dunque deciso di puntare su Monti che, da solo, conta sul 55 per cento dei voti.

CINQUE STELLE. Nel blog di Beppe Grillo, Mario Monti è stato definito un vampiro servo delle banche, stipendiato dalle multinazionali degli psicofarmaci che si arricchiscono grazie all'ansia provocata dal suo governo, uno strozzino che spinge al suicidio migliaia di padri di famiglia, un sadico pazzo che si eccita solo quando vede i bambini laceri e affamati, l'anima nera di una superloggia segreta che detta il copione alla Trilateral, al Gruppo Bilderberg e alla mafia cinese. Ieri, invece, riferendosi a Monti, Grillo si è limitato a chiamarlo «quel vecchio imbecille»: gli analisti politici ci hanno letto un sostanziale riavvicinamento politico e non escludono che i parlamentari delle Cinque Stelle, di fronte a un Monti bis, possano astenersi.

I POTERI FORTI. Sono il "Corriere della sera" e l'Automobil Club. Sono entrambi schierati con Monti.

NAPOLITANO. Dando ormai per scontato un Monti bis, il capo dello Stato sta già lavorando a un Monti tris, che avrebbe il compito di preparare il Paese, attraverso riforme istituzionali e rigore economico, a un Monti quater. Ove tutto questo non fosse possibile entro questa primavera, quando scadrà il suo mandato, Napolitano sta pensando a un'altra soluzione: l'elezione di Mario Monti al Quirinale, così da conferire l'incarico di governo allo stesso Napolitano.



C'e' poco da scherzare,anche se nella paralisi politica dove l'illegalita' ha sfiduciato 3/4 dell'elettorato,al solo pensiero di subire per altri anni i tecnici sanguisuga al potere mi fa rabbrividire,ma se un paese dalle proprie ceneri riesce ad organizzare solo un espressione del genere,e' evidente che se lo merita.

[ Kenzo ]

domenica 14 ottobre 2012

La maionese impazzita nel Pdl




Voglia di rinnovamento nel PdL: per la leadership spunta Badoglio

di Alessandro Robecchi

Pace ritrovata nello schieramento di centro-destra: Santanché ordina sei casse di bombe a mano. I privilegi della casta: le capsule di cianuro nei molari di Gasparri saranno installate gratis. Finalmente affrontata di petto la questione morale: sarà deportata a Dachau.

C’è aria di concordia e di fraterna ricomposizione all’interno del centrodestra italiano. L’annunciato passo indietro di Silvio Berlusconi ha come per magia compattato tutte le componenti, pur con qualche precauzione. Daniela Santanché, per esempio, ha ordinato da Vuitton un intero set di trappole per orsi da sistemare intorno a Palazzo Grazioli nel caso si avvicinassero Cicchitto e Bonaiuti. Dal canto suo, la componente ex-An chiede una maggiore visibilità e studia gesti clamorosi, come per esempio un grande rogo nel centro di Roma, in cui potrebbe essere arso vivo Giancarlo Galan. “Un buon progetto – lo definisce Maurizio Gasparri – peccato che per Galan non piangerebbe nessuno”. Deborah Bergamini, intanto, lancia una nuova corrente, quella delle bionde, mentre la pattuglia dei rinnovatori sarebbe composta da Gaetano Quagliariello, Mariastella Gelmini e Gianni Alemanno. “Avevamo contattato anche Scelba, Badoglio e Bava Beccaris – si legge in una nota – ma non hanno risposto, forse impegnati altrove. Non importa, allargheremo comunque il nostro gruppo, magari con qualcuno che sa leggere”. I colonnelli di An, capitanati da Ignazio La Russa, chiedono invece un posto al sole nella coalizione, e non è escluso che marceranno su Addis Abeba prima della scadenza elettorale. Continuano comunque nella sede del partito i casting per un nuovo leader, che dovrà essere giovane, dinamico e capace di comunicare. Dalla regione Lombardia fanno sapere di avere le carte in regola, “perché – si legge in una nota – Dio è con noi. Dio e la cosca Palamara, gente seria che non ama scherzare”. Per le primarie nel partito si schiera invece Daniela Santanché, ma il tema è controverso. Maurizio Gasparri e Franco Frattini si mostrano decisamente contrari: “Ci abbiamo messo otto anni a fare le primarie e siamo arrivati alle scuole medie in tarda età, di ricominciare da capo non se ne parla”. Più raffinata l’analisi di Fabrizio Cicchitto: “Le primarie? Le stiamo già facendo, se vince Renzi avremo finalmente un credibile candidato di centro destra alla guida del governo”.



A parte la grande confusione del centro-destra,pagano vent'anni di un uomo solo al comando e non me ne voglia la buonanima di Coppi,il vuoto,la voragine che si è creata al momento sarà incolmabile,e se molti di loro vedono nell'attuale sindaco di Firenze la luce che manca,direi che hanno ragione da vendere,se lo prendano pure il più presto possibile,da quelle parti sarebbe molto più in linea.

&& S.I. &&

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