venerdì 16 ottobre 2015

L'infinito odio tra israeliani e palestinesi











La guerra dei ragazzini

di Alessandro Gilioli

Ha 15 anni la ragazza palestinese bloccata ieri mentre stava andando da Beersheba a Gerusalemme per accoltellare qualcuno, a caso, purché israeliano. Era sparita di casa da due giorni e ai suoi genitori aveva mandato solo un sms orgoglioso: «Sentirete parlare di me in tivù».

Ha 13 anni Ahmed Mansara, il ragazzino arabo che lunedì ha aggredito a coltellate un coetaneo ebreo che passava in bicicletta: quando sono arrivati i soldati, gli hanno ordinato di posare l'arma, pare che lui si sia rifiutato (o almeno così sostiene il portavoce dell'esercito israeliano): comunque gli hanno sparato diversi colpi, uno anche alla testa. È vivo, in ospedale, e le autorità di Gerusalemme ne hanno rapidamente diffuso la foto per evitare altre vendette.

Ah, aveva 13 anni anche Abdel-Rahman Abeidallah, ucciso durante gli scontri fra manifestanti e soldati vicino a Betlemme il 4 ottobre scorso.

Aveva 18 anni, invece, Hadeel al-Hashlamun, ammazzata a colpi di mitra la settimana scorsa vicino a Hebron, in Cisgiordania: il video di lei circondata dai soldati poco prima di essere colpita, con un coltello in mano ma appunto circondata, ha fatto il giro del mondo.

Ma attenzione, perché ha 17 anni anche il ragazzo ebreo di Dimona che una settimana fa ha cercato di uccidere a coltellate quattro arabi, pure loro presi a caso in un gruppo che stava lavorando in un cantiere. Alla polizia che lo interrogava ha spiegato che «tutti gli arabi sono terroristi». Il suo migliore amico, anche lui minorenne, lo ha difeso dichiarando a "Haaretz" che «lui ha solo fatto quello che noi non abbiamo il coraggio di fare».

È destinato ai ragazzini delle medie, poi, il libro a fumetti "L'occupazione è uno scarabocchio" in cui si spiega che i palestinesi non esistono veramente come tali, è solo un nome usato per indicare gli arabi che vivono nei territori biblici di Giudea e Samaria.

Ed erano tutti liceali - tutti - i ragazzi israeliani che ho visto passare stamattina a Yafo Street mentre facevo colazione, io stravaccato quietamente al sole accanto al tavolino e loro imbandierati fino al collo a urlare slogan incazzati contro gli arabi.

Eccola qui, in tutto il suo splendore, la nuova guerra tra Israele e Palestina: un escalation di ostilità e di aggressioni con armi primordiali i cui autori e simpatizzanti sono quasi sempre teen ager. Una guerra di ragazzini, per questo ancora più schifosa e incomprensibile, almeno per noi che ne stiamo lontano.

Invece, qui, da un paio di settimane è diventata la prassi.

E allora viene da chiedersi non chi ha torto o ragione - categorie assai intrecciate da queste parti - ma in che cazzo di contesto familiare, scolastico e soprattutto sociale sono cresciuti, questi ragazzi, per arrivare all'adolescenza così pieni di odio, così pronti a buttar via la propria vita pur di eliminarne una altrui.

Yossi Melman, un giornalista israeliano esperto di intelligence, sul "Jerusalem Post" ha tracciato l'identikit dell'aggressore palestinese "medio" di questi giorni, sulla base di quelli che sono stati arrestati o ammazzati dall'esercito: età 13-20, incensurati, nessuna affiliazione a gruppi organizzati, quasi sempre cresciuti a Gerusalemme est, quasi tutti con un profilo su Facebook, agiscono in modo spontaneo e autonomo, confidando al massimo la propria intenzione a uno o due amici. Poi prendono un coltello da cucina e vanno a cercare il martirio. Per l'intelligence di Gerusalemme, la cui strategia è da anni quella di infiltrarsi nei gruppi organizzati, sono quindi imprendibili fino al momento dell'attacco.

Ma se si leggono molte analisi di tipo bellico o strategico sulle conseguenze di questa guerra dei ragazzini, molti meno sono i tentativi di capire come cacchio sia possibile che nell'età in cui si dovrebbe pensare solo al divertimento e agli ormoni, l'unico scopo di vita di tanti ragazzi sia invece l'odio: tanto tra quelli palestinesi, nati e cresciuti tra soldati armati e rivolte, quanto fra quelli ebrei, a cui troppi genitori insegnano che gli arabi sono per loro natura feroci.

Non so, non so se e come ne usciranno: in fondo io sono qui solo da una settimana, con poche altre visite alle spalle, e non ho certo la presunzione di capire un conflitto che dura da settant'anni ed è stato oggetto di infiniti libri, studi, testimonianze, dibattiti, processi di pace peraltro tutti abortiti.

L'unica cosa che posso pensare, vedendo questi ragazzini odiarsi e talvolta ammazzarsi, è quanto sia infondata in questo caso la frase che ci si dice per consolarsi e sperare, quando ci si trova di fronte a una situazione incrostata, e cioè: "ci penserà la prossima generazione".

Ecco, no, in questo caso temo che non ci penserà affatto, ad avvicinarsi alla pace, la prossima generazione: forse per i troppi danni culturali, emotivi e cognitivi fatti da quella che in questa vita li ha preceduti.

DALL'ESPRESSO BLOG - PIOVONO RANE

É il caso più emblematico della negatività delle religioni.e fino a quando esisteranno palestinesi e israeliani cosi confinanti,e anche se non lo fossero, l'odio farà versare sangue nei modi più cruenti.

Il vero problema è che in occidente qualche passettino si è fatto verso una minore influenza delle medesime,purtroppo altrove e in maggioranza sono nel buio più totale.

I.S.

iserentha@yahoo.it

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