martedì 17 febbraio 2015

Intervento militare in Libia:I pareri a riguardo












Trappola di Libia, cosa ci aspetterebbe

di Alessandro Gilioli

Oggi non posto cose mie, ma di altri, assai più esperti e autorevoli in tema.

«Quella libica diverrebbe la più importante missione nazionale all'estero, con un costo - considerati mezzi, velivoli, navi - di circa mezzo miliardo di euro. (…) Prima di di sbarcare truppe sulla nostra "quarta sponda", meglio chiarire che sarà una missione di guerra, non certo di peacekeeping; e che la presenza di nostre truppe sul terreno attirerà terroristi islamici da tutto il Nordafrica e il Sahel».
(Gianandrea Gaiani, Sole 24 Ore)

«Secondo una stima prudente, servono almeno 60 mila uomini con equipaggiamento pesante: carri armati, elicotteri di attacco, mezzi di trasporto truppe, genio».
(Paolo Rastelli, Corriere della Sera)

«Non so se è chiaro che avremmo 50 morti nella prima settimana. Né si pensi che bastino 5 mila uomini, ce ne vorrebbero 50 mila e forse sarebbero ancora pochi. Poi ci devono dire chi sono gli alleati e chi no, quali fazioni appoggiamo e quali contrastiamo, perché è evidente che l'Isis è soltanto una bandiera e sotto ci sono le stesse milizie che prima pagavamo e che ora indossano la tuta nera perché da quelle parti è diventato un marchio vincente».
(generale Fabio Mini, intervista su La Stampa)

«Il califfo al-Baghdadi non potrebbe sperare di meglio che un'invasione armata di ciò che resta della Libia, condotta da "crociati" (italiani, francesi e altri europei) e "apostati corrotti" (egiziani più arabi e africani vari). Un'operazione di controguerriglia da sviluppare su un territorio grande sei volte l'Italia, in un totale caos geopolitico dove si affrontano decine di bande e milizie di vario colore e appartenenza etnica, tutte armate fino ai denti. (…) Contrariamente a quanto si afferma, lo stato islamico non sta conquistando la Libia. Semmai alcune fazioni che continuano a massacrarsi senza pace usano il marchio "califfale" in franchising, per ottenere visibilità e attirare reclute. (…) Sembra che alcuni esponenti del governo abbiano persa la memoria del nostro passato coloniale in Tripolitania e Cirenaica. Certo non l'hanno dimenticato i libici: "Tutto ciò che aspiriamo avere di nuovo italiani qui tra le mani" ha twittato uno dei più seguiti blogger di Misurata, nemmeno tra i più radicali: per vendicare Omar al-Mukhtar e i suoi gloriosi martiri. Ma qualcosa si può e si deve fare: prima di tutto non accendere nuovi focolai di guerra senza speranza di vincerla; poi usare le leve finanziarie per bloccare i flussi di denari che arrivano ai gruppi armati, operazione tutt'altro che impossibile: in terzo luogo colpire i traffici che alimentano i miliziani, compresi i jihadisti che fanno riferimento allo stato islamico».
(Lucio Caracciolo, Repubblica)

«Le milizie di Derna, pesantemente armate grazie al mercato nero e al saccheggio degli arsenali gheddafiani, sono pronte ad affrontare l'arrivo di un dispositivo militare convenzionale rispetto al quale potrebbero essere in grado di massimizzare le loro tecniche asimmetriche: attentati, esplosivi improvvisati, guerriglia, imboscate. Dunque qualsiasi ipotetico impegno militare dovrà necessariamente mettere in conto possibili pesanti costi umani, economici, politici».
(Marco Di Liddo e Gabriele Iacovino, Analisi del CeS.I. Centro Studi Internazionali)

«Da settembre la Libia è un Paese spaccato e sempre più in guerra: due governi, due parlamenti e decine di fazioni armate. In più una crescente presenza jihadista, legata o meno all'Is. Armi continuano ad affluire nel Paese che manca di alcune strutture presenti perfino a Baghdad, come gli aeroporti internazionali e le maggiori ambasciate straniere. Le due coalizioni potrebbero facilmente scomporsi frammentando ancora di più i fronti di combattimento. Attualmente il governo di Tobruk controlla le due città e una parte della fascia costiera della Cirenaica, nonché le zone a prevalenza tibù nel sud del Paese e l'area attorno alla città di Zintan. La coalizione Alba controlla gran parte della Tripolitania, inclusa la capitale. Bengasi e le zone petrolifere del sudovest e sulla costa centrale sono campi di battaglia. A Bengasi infuria una guerra casa per casa».
(Mattia Toaldo, Limes)

«Un intervento militare a tutto campo per imporre la pace oggi in Libia sarebbe un rischio insostenibile per le democrazie occidentali, anche a fronte dei pericoli che il paese ci pone. Un'azione possibile con finalità di peace-keeping o anche di peace-enforcing (mantenere la pace oppure imporre la pace) doveva essere annunciata nel 2011 alla fine dell'operazione Nato. Oggi è impossibile per questi motivi: le milizie, e non solo i gruppi terroristici, non accetterebbero di sottomettersi a una forza militare, anche targata Onu. Ci sarebbero atti di ritorsione contro i militari stranieri, che costringerebbero in pochi mesi i governi intervenuti a ritirare le loro truppe (è avvenuto in un contesto molto meno pericoloso in Somalia)».
(ancora Mattia Toaldo, intervista su Repubblica)

«L'affermazione di Gentiloni ("Siamo pronti a combattere in Libia" ) è irresponsabile e imprudente. Mette l'accento a un intervento militare dell'Italia che non siamo in grado di fare. Un conto è attivare una guerra aerea come abbiamo fatto nel 2011, un altro combattere con le truppe di terra. Siamo spinti dentro uno scenario di guerra per il quale siamo inadatti. Basterebbe che i nostri governanti studiassero un po' di storia per scoprire le tante sconfitte libiche che abbiamo subito. Altro che inviare 5 mila uomini, come ha invocato la ministra Pinotti. Da inviare contro chi, su quale fronte?».
(Angelo Del Boca, intervista su il Manifesto)

DALL'ESPRESSO BLOG - PIOVONO RANE

 L'intervento militare in Libia organizzato d'istinto senza strategie e soprattutto senza altri partners è follia pura,quel vasto territorio è da considerarsi simile alla Somalia,con fazioni in guerra,interessi,corruzione,tutto ciò determina un ginepraio insormontabile,a cui si è aggiunto il violento fondamentalismo dell'Isis.

E in ogni caso,il pacifismo con quella situazione a ridosso delle nostre coste difficilmente porterà ad una soluzione,non esistono margini di trattative in quel contesto,il caos regnerà sovrano e le conseguenze purtroppo potranno verificarsi,dal terrorismo all'interno del nostro paese a chi dovrà pattugliare il mare,immaginando che se ci dovessero essere dei prigionieri la pubblica opinione andrebbe in tilt e con quella chi dovrà decidere cosa fare.

per eventuali notifiche - iserentha@yahoo.it

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