sabato 10 gennaio 2015

L'odio tra culture e religione si supera solo insieme


















di Alessandro Gilioli

La guerra, la libertà e la tolleranza
È tempo, più che mai, di intendersi sulle parole.

Perché a parte gli infoiati come Giuliano Ferrara, ho sentito anche gente ragionevole dire “siamo in guerra”. E allora, appunto, bisogna intendersi: perché non è una dichiarazione leggera, né da pronunciare con leggerezza. Perché da come la intendiamo poi dipende quello che facciamo.

Ad esempio, i nostri padri costituenti hanno previsto l’eventualità della guerra e l’hanno inserita nella Carta. Però la possibilità di deliberare lo stato di guerra, in epoca repubblicana, non è mai stata utilizzata. Nemmeno nella guerra contro il terrorismo rosso o nero, che di stragi ne hanno fatte parecchie. Né contro la mafia, che pure aveva dichiarato la guerra allo Stato nei primi anni Novanta.

Non furono scelte casuali. Ricordo bene, ad esempio, che ai tempi delle Brigate Rosse l’ipotesi di dichiarare lo stato di guerra è stato avanzato, specie durante il sequestro Moro. E non solo dai Santanché dell’epoca, ma proprio da uno dei padri costituenti: Leo Valiani. Se ne discusse, ma resistemmo a quella tentazione, che avrebbe portato con sé una spaventosa restrizione delle libertà e, all’epoca, anche la reintroduzione della pena di morte.

Nonostante le molte dichiarazioni sul fatto che adesso siamo in guerra contro il terrorismo islamista, mi auguro che anche in questo caso siamo tutti in grado di respingere la tentazione. Non siamo in guerra al punto da privarci della libertà. Fra l’altro, lo ha notato Flavia Perina, sarebbe paradossale che a un attacco contro la libertà rispondessimo limitando la libertà.

Escludiamo quindi lo stato di guerra e per ecologia del pensiero evitiamo di pensarci tutti al fronte con i mitra spianati, con la sospensione dei diritti comuni. Tuttavia non nascondiamoci il fatto che è in corso – in senso lato – un conflitto, o quanto meno che è in corso un attacco. Come ai tempi del terrorismo e della mafia, appunto, con la differenza che in questo caso l’attacco è transnazionale.

Allora, contro cosa e come siamo in “guerra”, nel caso?

Siamo in guerra contro l’intolleranza. Ed è, sia chiaro, un’intolleranza armata.

Detta così, sembra una banalità. Invece è una questione un pochino più complessa, che affronto citando un piccolo essai di Luciano Floridi, docente di Filosofia a Oxford che è uscito in rete ieri.

Spiega Floridi che la globalizzazione, quindi la maggiore vicinanza e anzi l’intrecciarsi tra le diverse culture, ha messo in discussione la prima ricetta fornita dall’Illuminismo, quella uscita dalla Pace di Vestfalia, dopo la quale la tolleranza finalizzata alla giustizia era diventata la pietra angolare della società occidentali, la madre di tutti i principi etici per la progettazione di un mondo migliore. In un pianeta globalizzato e sempre connesso, dove ogni giorno stridono tra loro idee, valori, abitudini e tradizioni contrastanti e valori, quella ricetta che ci ha servito così bene per così tanto tempo ha bisogno di qualche miglioramento. Quindi va ripreso e potenziato ma anche ripensato il progetto illuminista, ribilanciandone gli obiettivi, dato che la giustizia tende a essere interpretata in modo diverso da persone e culture diverse. Sicchè «abbiamo bisogno di riscoprire la tolleranza come il pilastro fondamentale della nostra esistenza comune, specie nella società dell’informazione matura: abbiamo bisogno di esercitare più tolleranza verso l’altro».

Certo, lo ripeto: quella che abbiamo di fronte è un’intolleranza armata. I piani quindi non vanno confusi. C’è il piano della legge, della Costituzione: che – come già ai tempi del terrorismo e della mafia – ci fornisce tutti gli strumenti per rispondere, per difendere la società della tolleranza e della libertà. E c’è il piano culturale, sociale, che è quello di cui parla Floridi e di cui anche questo piccolo blog disperatamente urla da alcuni giorni.

Perché se non conserviamo (anzi: se non potenziamo ed enfatizziamo) quel piano culturale e sociale, quel pilastro della tolleranza, finiamo per difendere solo un contenitore vuoto.

DALL'ESPRESSO BLOG - PIOVONO RANE

Chi avanza la tesi che siamo in guerra con tutto il mondo islamico delira,siamo certamente diversi,loro sono molto più attaccati alla religione,noi molto meno.

La convivenza a volte più o meno difficile esiste,altrimenti non si spiegherebbe il fenomeno con i milioni di musulmani sparsi nell'intero continente,ci dovrebbero essere scontri in tutti gli angoli delle città,chi fomenta,chi usa parole senza fondamento,adotta la strategia del soffiare sul fuoco,chi per xenofobia,chi per mero calcolo elettorale.

Che l'occidente possa subire altri attacchi questo l'hanno capito tutti,la realtà dell'isis e di al qaeda si è materializzata grazie anche alle pesanti responsabilità occidentali,il segreto per superare l'empasse è legato alla condanna di entrambi le culture,come ho già letto e visto non solo dalla ovvia parte occidentale.

Non è da definire guerra quella che abbiamo visto in questi giorni,ma una fanatica guerriglia che punta alla paralisi e al terrore,fortunatamente esistono comitati spontanei nel portare le persone in piazza.

per eventuali notifiche - iserentha@yahoo.it

2 commenti:

cristiana marzocchi ha detto...

Sono completamente d'accordo, ma vedrai che i tanti Ferrara che ci sono in giro , riusciranno a peggiorare la situazione..
Cristiana

Ivo Serenthà ha detto...

Mi auguro di no,ha la datata credibilità delle micidiali armi di sterminio in Iraq.

Lasciamolo grugnire!