venerdì 19 settembre 2014

Quante storie e favole sull'articolo 18



L’articolo 18, da gonfiare e bucare

di Alessandro Gilioli

A volte viene da pensare che tipi come Sacconi, se davvero si dovesse abolire l’articolo 18 (anzi, ciò che dell’articolo 18 resta dopo la riforma Fornero), non saprebbero più che senso dare alla loro esistenza.

Per paradosso, infatti, questo articolo è diventato ormai il totem proprio di chi vuole abolirlo, cioè di chi vuole farci credere che sia il problema per eccellenza, superato il quale si aprirebbe un radioso futuro di crescita economica e di aumento dell’occupazione e del benessere.

La carne della realtà, purtroppo, dice il contrario; e questo, se non sono ubriachi, lo sanno benissimo anche i più ossessivi degli abolizionisti.

Allora perché si incistano tanto sull’articolo 18, anzi su ciò che ne resta dopo la riforma Fornero?

Perché, evidentemente, ci vedono la possibilità di una vittoria epocale e simbolica, di quelle che aprono la strada a ben più significative avanzate nella lotta di classe dall’alto verso il basso. Per capirci, tipo il trionfo di Reagan sui controllori di volo o quello di Thatcher sui minatori. Quelle cose che in sé contano poco o nulla, ma alterano potentemente tutti gli altri equilibri.

Di qui, e per convenienza, l’enfasi un po’ grottesca con cui caricano questo simbolo: per abbatterlo, quindi passare a occuparsi del resto, che conta molto di più.

Del resto nella società di oggi e di domattina – quelle delle rapide trasformazioni strutturali, tecnologiche, quelle in cui i robot si apprestano ormai anche a svolgere mansioni d’ingegno – il fronte del conflitto sociale ha sempre meno a che fare con il lavoro umano; e sempre di più, invece, con altre questioni: come la continuità del reddito per le persone, la redistribuzione della ricchezza e l’universalità dei servizi.

È ovvio: se la produzione di ricchezza si va sempre di più distaccando dal lavoro umano, non è evidentemente su questo che si misura più la diade uguaglianza-disuguaglianza, ma sulle tre cose di cui sopra.

È quindi lì il vero fronte, lì la vera battaglia. Tra chi di quelle tre cose farà il proprio obiettivo sociale e politico e chi invece le combatte e le combatterà.

Questi ultimi, appunto, sono quelli che ora usano l’articolo 18 come grimaldello, tipo Reagan con i controllori di volo o Thatcher con i minatori.

Curiosamente, di tutto questo però non si parla, ma solo dell’articolo 18, da gonfiare e bucare.

Francamente, dubito che sia per ignoranza o per distrazione.


Da L'Espresso blog 

Aggiungo oltre i capisaldi che ha pubblicato per ogni lavoratore e la sua dignità,che quand’anche otterranno la soddisfazione dell’abolizione dell’articolo 18,sarà in ogni caso una vittoria di Pirro,i reali problemi occupazionali legati allo sviluppo economico sono di altro genere,ovvero in primis l’immensa corruzione nel poter lavorare per le imprese e in certe zone del paese controllate dalla criminalità organizzata,l’altissimo costo del lavoro dovuto alla tassazione,e la burocrazia nel poter aprire qualsiasi impresa,e aggiungerei il costo dell’energia troppo alto rispetto alla concorrenza d’oltralpe.

Ecco,quando risolveranno questi problemi se ne potrebbe riparlare del licenziamento senza giusta causa,ma si sa la politica stracciona in pandamme con un’imprenditoria buona solo a riempirsi le tasche e investire pochissimo sull’innovazione,si accontenta di una soluzione facilissima che non porterà alcun beneficio,infatti non sposterà alcun investimento estero su questo paese.

per eventuali notifiche - iserentha@yahoo.it

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