sabato 23 marzo 2013

Quattro milioni di poveri in Italia e gli evasori fiscali gli pisciano in testa




“QUATTRO MILIONI DI POVERI” E SIAMO IL REGNO DELL’EVASIONE
NEI DATI DI CONFCOMMERCIO E TESORO UN PAESE DI FURBI E VITTIME

di Salvatore Cannavò

Da un lato ci sono 4 milioni di “poveri assoluti”, in crescita rispetto ai 3,5 milioni del 2011. Dall’altro, invece, solo 28.000 contribuenti molto ricchi che dichiarano più di 300 mila euro l’anno, l0 0,067% del totale. Se poi consideriamo che la Cassazione ha avallato le norme che inaspriscono il diritto alla pensione di invalidità, abbiamo un’istantanea dell’attuale disuguaglianza italiana.
In maniera inconsueta è la Confcommercio, con il suo Ufficio studi, a incaricarsi di offrire una valutazione della “povertà assoluta” nel gennaio del 2013, stimata in 4 milioni di persone. Nel 2011, dati Istat, erano 3,4 milioni, nel 2006 2,3 milioni e da allora sono cresciuti al ritmo di 615 al giorno. Per “povertà assoluta” si intende l’esistenza di un reddito tale da rendere impossibile accedere ai beni e servizi considerati essenziali. Nel 2011, per una famiglia di due componenti adulti la soglia era di 984,73 euro per un piccolo comune al Nord e di 761,38 euro nel Mezzogiorno. Limite ridotto a 918 e 704 euro per gli over-74 anni.
ACCANTO a questo dato c’è, invece, la situazione fiscale del paese fotografata dal rapporto del Dipartimento delle Finanze del ministero dell’Economia. Dal quale emerge, sostanzialmente, che a pagare le tasse sono “i soliti noti”. L’80 per cento del gettito, infatti, deriva dal lavoro dipendente (54,5) e dalle pensioni (25,5) mentre il 6,7% deriva dal lavoro autonomo, il 3,5 dal reddito di imprese e solo lo 0,8% dai redditi da capitale. Siccome quell’80% non può nascondere i propri redditi non è difficile desumere dove si nasconda l’evasione fiscale. E infatti, spiega il Fisco, a superare la soglia dei 300 mila euro di reddito all’anno - su cui grava il contributo di solidarietà del 3% - sono solo 28 mila contribuenti su 41,3 milioni. Meno dell’1% nonostante la ricchezza italiana viaggi intorno ai 9 mila miliardi di euro. Sul piano fiscale il reddito medio degli italiani è pari a 19.655, la metà dichiara un reddito inferiore ai 15.723 euro e il 90% un reddito complessivo inferiore ai 35.601 euro. La polarizzazione dei redditi, o meglio della loro denuncia, si capisce meglio osservando il 5% dei contribuenti con i redditi più alti che detiene il 22,9% del reddito complessivo, ossia una quota maggiore a quella detenuta dal 55% dei contribuenti con i redditi più bassi. E se il reddito più elevato è dei lavoratori autonomi (42.280) mentre il reddito medio dei lavoratori dipendenti è di 20.020 euro, quello che dichiarano gli imprenditori è pari a 18.844 euro, cioè meno di quanto dichiarato dai loro stessi dipendenti.
L’ANALISI della Confcommercio, tra l’altro, solleva i lavoratori italiani dall’accusa di “fannulloni” visto che nel 2011 hanno lavorato 1.774 ore ciascuno, il 20% in più dei francesi e il 26% in più dei tedeschi. I lavoratori indipendenti, in Italia lavorano quasi il 50% in più del lavoratore dipendente, come del resto negli altri Paesi. Secondo le stime dell’associazione commercianti, però, è la produttività a essere molto bassa visto che “ogni lavoratore italiano produce una ricchezza mediamente pari a 36 euro per ogni ora lavorata”. I tedeschi producono il 25% in più e i francesi quasi il 40%.
In questo quadro si inserisce la sentenza della Cassazione, Sezione lavoro, secondo cui per beneficiare della pensione di invalidità civile, deve essere considerato il cumulo dei redditi familiari e non più solo quello della persona interessata. Fino al 2012 la corresponsione dell’assegno pensionistico dipendeva esclusivamente dal reddito individuale pari a 4.738 euro annui per un assegno di 275 euro mensili. A seguito della circolare Inps 149 di fine 2012, emessa per ottemperare a una precedente sentenza della Cassazione (Sezione Lavoro 25 febbraio 2011, n. 4677), dal 2013 il limite di reddito è stato cumulato a quello del coniuge e portato a 16.127 euro annui sempre per ottenere lo stesso assegno. La Cassazione giustifica la propria decisione sostenendo che il reddito familiare concorre a formare quei legami di solidarietà “concorrenti con quello pubblico, ugualmente intesi alla tutela dell’uguaglianza e della libertà dal bisogno”. Anche la famiglia garantisce dalla disuguaglianza e libera dal bisogno, è il senso della decisione che però creerà grandi disagi.
“Un colpo di spugna che smantella il diritto di decine di migliaia di persone ” contesta Carla Cantone, segretario generale dello Spi-Cgil. Che chiede al governo di “bloccare questa sentenza” e di ripristinare “un sacrosanto diritto. Ne vale della dignità del nostro paese”.



Ormai non sono solo scappati i buoi dalla stalla,non c'è manco più la stalla,e lo scontro sociale è dietro l'angolo,non può essere sopportabile un paese con questi presupposti,quando una minoranza diventa sempre più ricca e una maggioranza diventa sempre più povera,il cocktail diventa esplosivo.

E chi perderà saremo tutti quanti,è una equazione matematica!

&& S.I. &&

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