mercoledì 16 gennaio 2013

La pietra tombale sulle trattative stato-mafia





La Corte incostituzionale

di Marco Travaglio

Siamo accusati di non rispettare la Corte costituzionale. Ma ci dev’essere un equivoco: da ieri, dopo il deposito delle motivazioni della sentenza sul conflitto di attribuzioni Quirinale-Procura di Palermo, alla Consulta non portiamo solo rispetto, ma anche uno sconfinato affetto. Intanto per l’umana comprensione che si deve a 15 insigni giuristi costretti a rovinare intere vite e onorate carriere con l’atto eroico, quasi soprannaturale, di motivare una sentenza immotivabile, spiegare concetti inspiegabili, sostenere tesi insostenibili. Eppoi per l’avallo davvero insperato che danno alla solitaria campagna del Fatto Quotidiano affinché Napolitano divulghi il contenuto delle sue quattro telefonate con Mancino. La loro “propalazione” – conferma la Corte – “sarebbe estremamente dannosa non solo per la figura e per le funzioni del Capo dello Stato, ma anche, e soprattutto, per il sistema costituzionale complessivo che dovrebbe sopportare le conseguenze dell’acuirsi delle contrapposizioni e degli scontri”. Dunque, par di capire, i giudici costituzionali sanno qualcosa che noi comuni mortali non sappiamo: Napolitano disse a Mancino cose che, se si venissero a sapere, aggraverebbero “le contrapposizioni e gli scontri” (fra chi e chi? Mistero) e ne danneggerebbero non solo “la figura e le funzioni”, ma addirittura “il sistema costituzionale complessivo”. Roba grossa, dunque. Chissà da chi l’hanno saputo: da Mancino? Da Napolitano? Dall’uccellino? Mistero. Noi, che fosse roba seria e grave, l’avevamo intuito quando il consigliere D’Ambrosio, intervistato dal nostro Marco Lillo, si lasciò sfuggire di non poter rivelare ciò che Napolitano gli aveva chiesto di fare per assecondare le lagnanze di Mancino contro i pm di Palermo, perché erano parole e atti “coperti da segreto” e “immunità”. Altro che auguri di Natale, convenevoli, scambi di cortesie e chiacchiere in libertà fra due vecchi amici. “La semplice rivelazione ai mezzi di informazione dell’esistenza delle registrazioni costituisce un vulnus che dev’essere evitato”: che vulnus potrebbe mai creare sapere che Napolitano parlava con Mancino, se non si fossero detti niente di che? Nel tentativo disperato di affermare un’immunità totale del Presidente, manco fosse il Re Sole, mai prevista dai padri costituenti, i giudici costituzionali non fanno che aumentare la curiosità dei cittadini sul contenuto delle telefonate. Che sarà soddisfatta solo quando Napolitano o Mancino si decideranno a svelarci che cosa si dissero, mentre cadeva il governo Berlusconi, nasceva il governo Monti e il Quirinale trovava il tempo d’immischiarsi nelle indagini sulla trattativa Stato-mafia, mettendo in mezzo il super-procuratore Grasso e due Pg della Cassazione. Qualcuno dirà che affermare che la Consulta conosce il contenuto di quelle telefonate è pura illazione. Ma è una deduzione e una speranza: se la Consulta non lo conoscesse, come farebbe a scrivere che, parlando col privato cittadino Mancino, Napolitano esercitava le sue “funzioni”, non importa se “formali o informali”? Purtroppo nessuna norma costituzionale od ordinaria prevede, fra le funzioni formali o informali del capo dello Stato, le interferenze in un’indagine giudiziaria. Anche perché, altrimenti, bisognerebbe affermare che anche quando il barista del caffè Gambrinus di Napoli gli offre un ginseng e lui risponde “no grazie, preferisco un caffè”, Napolitano sta esercitando una funzione “informale”, e dunque la risposta “no grazie, preferisco un caffè” è coperta da segreto e i giornali che l’hanno riportata hanno messo in pericolo non solo “la sua figura e le sue funzioni”, ma soprattutto “il sistema costituzionale complessivo”. Innescando fra l’altro un pericoloso “acuirsi delle contrapposizioni e degli scontri”. Fra il ginseng e il caffè.



Il potere ha voluto assolutamente mettere una pietra sopra su quel momento storico,forse il peggiore della Repubblica,se non ci saranno testimonianze in futuro,almeno nel prossimo senza aspettare decenni,non si sapra' mai quanto lo Stato ha avuto rapporti con la criminalita' organizzata e patteggiato con essa,ce lo impone la verita',la giustizia e magari quel poco di credibilita' da non perdere ulteriormente,insieme alle vittime che si sono sacrificate per tutti noi,considerato che ce ne sono state parecchie,una vera e propria guerra all'interno di un regime democratico,purtroppo solo di facciata.

&& S.I. &&

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1 commento:

Tina ha detto...

Hanno mandato in onda il Te Deum nel nome del Re in scadenza.

Mi viene in mente Gaber

"qualcuno era anche comunista"

Si è formato nella Russia di Stalin, ha assorbito i suoi metodi "purgativi".

Buon pomeriggio Ivo.