martedì 20 novembre 2012

Lo strano sequestro lampo di "Spinaus"




Le sue pigioni

di Marco Travaglio

In attesa di sapere se sappiamo proprio tutto del sequestro più pazzo del mondo, quello del ragionier Spinelli (“Spinaus” per gli amici e soprattutto le amiche), un elemento balza subito agli occhi: i rapitori dovevano conoscere davvero bene non solo i movimenti di Spinaus, ma anche l’indole profonda del Caimano. Intanto sapevano benissimo che, chiamato al telefono dal suo contabile e accortosi – come dice lo stesso Spinelli ai pm – che era tenuto in ostaggio da qualcuno, non avrebbe avvertito le forze dell’ordine (come nel 1975, quando evitò accuratamente di denunciare il primo attentato alla sua villa di via Rovani a Milano). Sapevano anche di potergli tranquillamente chiedere un riscatto senza timore di essere denunciati. Forse avevano letto le intercettazioni del 1986, quando B., subito dopo il secondo l’attentato in via Rovani, chiamò Dell’Utri per attribuirne la colpa all’amico Mangano (“un segnale acustico... ma fatto con molto rispetto, quasi con affetto”) e raccontare di aver detto ai carabinieri: “Se (Mangano) mi avesse telefonato, io 30 milioni glieli davo!”. O quelle del 1988 con l’immobiliarista Renato Della Valle, a cui B. confidò che la mafia minacciava di uccidere Piersilvio, ma lui naturalmente non aveva denunciato nulla, anzi: “Se fossi sicuro di togliermi questa roba dalle palle, pagherei tranquillo, così almeno non rompono più i coglioni”. O magari hanno letto la sentenza della Cassazione su Dell’Utri: fin dai primi anni 70 “Berlusconi raggiunse un accordo di natura protettiva e collaborativa con la mafia per il tramite di Dell’Utri” e pagò “cospicue somme a Cosa Nostra” senza mai denunciare alcuna estorsione. Di sicuro i sequestratori conoscevano i punti deboli di B.: siccome Dell’Utri per sua fortuna ha la scorta, era più semplice acciuffare Spinelli, l’altro custode di altrettanti segreti, non solo quelli di via Olgettina. E soprattutto sapevano quale esca usare per farlo abboccare all’amo e scucirgli qualche milioncino. Basta frullare insieme le parole-chiave Fini, giudici, De Benedetti, lodo Mondadori, Ruby e il gioco è fatto (poi purtroppo il capobanda ha voluto esagerare con le scarpette rossonere del Milan, e s’è tradito). Spinelli racconta che, di fronte alla “rivelazione” di un complotto di Fini e dei giudici del lodo Mondadori, gli avvocati Ghedini e Longo scoppiarono a ridere, ritenendo impossibile che il presidente della Camera potesse (o volesse) pilotare il Tribunale di Milano. Ma il loro illustre cliente, come diceva Montanelli, “è un bugiardo sincero: crede alle bugie che racconta”. Dunque questi rapitori sono anche dei sottili psicologi: sapevano che, per lui, Fini l’ha mollato a causa di un complotto, non semplicemente perché non ne poteva più di votare leggi vergogna; e, per lui, è a causa di un complotto se il Tribunale l’ha condannato a risarcire l’Ingegnere per lo scippo Monda-dori, non semplicemente perché la sentenza che annullava il lodo l’aveva comprata Previti con soldi suoi. Insomma, sono andati sul sicuro. Il fatto, poi, che fossero dei pregiudicati li rendeva ai suoi occhi più affidabili: come fossero di casa. Lui ha provato a farli scappare, ritardando di 16 ore la denuncia del sequestro (“fatto con molto rispetto, quasi con affetto”). Purtroppo non è riuscito ad abolire le intercettazioni e a estirpare quel cancro della Boccassini, così quelli sono finiti in galera. Resta il fatto che ormai il primo che passa, anche un albanese, può chiedergli ciò che vuole (soldi, gioielli, donazioni, candidature, affitti gratis, acquisti di ville a prezzo doppio) dicendo di sapere qualcosa di lui: e il pover’ometto, nel dubbio che sia vero, paga. Ecco perché si rifugia sempre più spesso in Kenya. Se resta due giorni di seguito in Italia, lo spolpano. Per lui Briatore è la madonna consolatrice degli afflitti. Anzi, degli affitti.



Laconicamente,poichè non se ne può più,ma se ne stia dal suo amico in Kenya che va bene a tutti.

&& S.I. &&

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