lunedì 20 agosto 2012

Strage di minatori in Sudafrica

Abbattuti dai poliziotti



La nuova apartheid è la lotta di classe

SUDAFRICA, LA STRAGE DELLA POLIZIA (34 MORTI) RIACCENDE TENSIONI SOCIALI TRA RICCHI E POVERI

di Andrea Valdambrini

Già dalla mattina dopo il massacro, sulla piana di Marinaka sono tornate le donne. Vedove, madri disperate per la morte dei loro cari, ansiose per la sorte dei feriti di cui si sono perse le tracce. La strage alla miniera di platino della Lonmin di tre giorni fa verrà ricordata come la più grave nella storia della storia del Sudafrica post-apartheid. I morti sono 34, i feriti 78 e 200 i fermati. Una tragedia che coinvolge i sindacati e la polizia, che ha sparato sui manifestanti, e rimette in discussione la convivenza pacifica tra bianchi e neri. E su cui non può non intervenire il presidente Jacob Zuma, che si è detto “profondamente rattristato” ed ha promesso una commissione d’inchiesta.
Sono seguite altre manifestazioni di protesta. Un gruppo di circa cento persone hanno gridato, agitato bastoni e danzato al ritmo del toyi toyi, una danza che richiama direttamente alla memoria la lotta contro la discriminazione dei neri. Denunciano di non avere notizie dei familiari: “La polizia non ci ha dato un elenco dei nomi dei 34 morti”. Uno striscione recita: “Smettetela di sparare sui nostri mariti e figli”, un altro prende di mira direttamente il capo della polizia Riah Phyiega: “Festeggi il tuo posto con il sangue delle nostre famiglie”.
ALLA MINIERA di Marinaka, situata più di cento chilometri a nord est di Johannesburg, queste donne sono spesso arrivate al seguito dei loro mariti non solo dalla provincia del Capo, ma anche da Paesi confinanti e poverissimi come Zimbabwe, Lesotho e Swaziland. Molte di queste famiglie vivono nel vicino insediamento di Nkanini, dove l’acqua corrente e l’igiene sono un miraggio. La loro condizione di bisogno è uno dei motivi alla base di questa assurda tragedia.
La miniera è di proprietà della britannica Lonmin, terzo estrattore ed esportatore mondiale di platino, ma il salario medio dei chi scava nella roccia si aggira intorno ai 40000 rand, l’equivalente di 400 euro.
Non abbastanza per un lavoro massacrante come questo, secondo i sindacati, che infatti avevano indetto un periodo di sciopero. Eppure non tutti si sono trovati d’accordo nel sostenere le lotte dei lavoratori. Da un lato la National Union of Mineworkers (Num) vicina all’African National Congress al governo, venuta presto a patti con Lonmin. Dall’altro la più radicale Mineworkers and Construction Union (Amcu), che facendo leva sulla corruzione dilagante del Num ha finito con il proclamare uno sciopero illegale la scorsa settimana, avanzando la richiesta per la triplicazione dei salari. La combattiva Amnu non è in realtà che una costola di sinistra della stessa Num, alleato chiave dell’African National Congress. Ma mentre nel partito d governo si discute sull’opportunità di nazionalizzare le miniere, proprio il maggior sindacato dei minatori si oppone. Semplice allora per i rivali dell’Amcu organizzare i lavoratori inferociti. Poi durante gli scioperi scoppia spesso la rabbia. È possibile che tutto questo accada in un Paese che pretende di essere una democrazia? In altre parole, dove va il Sudafrica oggi? I fantasmi della discriminazione razziale, dell’emarginazione di classe non sono in realtà mai stati dissolti: le ricorrenti esplosioni di violenza di cui Marinaka è solo l’ultimo, terribile, esempio, ne sono la dimostrazione.
Solo due mesi fa un tribunale di Pretoria condannava per eversione Mike Du Toik, afrikaner e leader del gruppo suprematista bianco Boermag, reo di aver piazzato, nel presidente della transizione al Sudafrica moderno, a descrivere il male profondo del suo Paese e a lanciare un pesante atto d’accusa. Dopo Nelson Mandela, ha detto, si è fatta strada una classe dirigente, quella incarnata da Zuma, che ha avvelenato di 2002, 9 bombe a Soweto con lo scopo di attentare alla vita di Nelson Mandela. Si è trattato della prima condanna di questa gravità contro un bianco dal 1994.
IL CASO di Eugène Terre Blanche, politico razzista ucciso nel 2010, si era chiuso in primavera con la contestatissima condanna di un suo collaboratore nero.
È stato però il grande vecchio, il Frederik De Klerk, premio nobel per la pace e nuovo il clima soffiando sulle tensioni razziali. Così, secondo De Klerk, se ne è andato lo spirito di riconciliazione nazionale che ha retto quel Sudafrica ansioso di lasciare l’apartheid e l’odio razziale dietro di sé.



Una forma di razionalizzazione della protesta assolutamente democratica...Chissà cosa sarebbe successo ai tempi dell'apartheid,anche se con una mattanza del genere pare che non sia cambiata di molto la situazione,con o senza Mandela i lavoratori di colore sono considerati carne da macello.

&& S.I. &&

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