sabato 26 febbraio 2011
La grande crisi con effetto domino in nord Africa
L’inizio della fine
Di Massimo Fini
Le rivolte popolari in Tunisia, Egitto, Libia, Algeria, Marocco, Bahrein segnano l’inizio della fine dell’Impero americano, e occidentale, in quelle regioni. Da quando hanno vinto la Seconda guerra mondiale gli Stati Uniti, nonostante tutte le loro belle parole di democrazia, hanno sostenuto i dittatori più infami, corrotti e sanguinari, purché gli facessero comodo, quando non hanno fomentato direttamente dei golpe militari. E questa realpolitik imperialista gli si è sempre ritorta contro o li ha messi in situazioni insostenibili.
Il sostegno al dittatore cubano Batista ha generato il castrismo. Il golpe militare organizzato da Henry Kissinger contro Salvador Allende, colpevole di esser socialista e non prono agli interessi yankee, ha portato il Cile, sia pur col tempo, nella “linea Chávez” di indipendenza di buona parte dell’America latina dall’ingombrante tutela di Washington. Il sostegno al patinato Scià di Persia che rappresentava sì e no il 2% della popolazione iraniana, una borghesia ricchissima mentre il resto del Paese moriva di fame, e che governava con la Savak, la più famigerata polizia segreta del Medio Oriente, il che è tutto dire, ha partorito il khomeinismo da cui ha origine la riscossa islamica. Il sostanziale sostegno ai “signori della guerra” somali ha aperto la strada alle Corti islamiche, molto simili ai talebani afghani, che avevano riportato in quel Paese, precipitato nel più pieno arbitrio, l’ordine e la legge, sia pur un duro ordine e una dura legge, la sharia.
Il sostegno ai “signori della guerra afghani”, Massud, Dostum, Ismail Khan, contro i talebani che avevano portato sei anni di pace in Afghanistan dopo tanti di guerra, li ha messi in una situazione insostenibile, avendo i guerriglieri ripreso il controllo dell’80% del Paese, per cui oggi vanno in giro col piattino pietendo dal Mullah Omar una mediazione. Ma l’invasione e l’occupazione dell’Afghanistan ha svegliato i talebani pachistani che all’inizio erano un movimento religioso, sia pur integralista, ma pacifico e per nulla eversivo, tanto è vero che sostenevano il governo di Benazir Bhutto, e che ora si sono armati, fanno guerriglia e puntano a conquistare il potere a Islamabad. Con la differenza che l’Afghanistan, armato com’è in modo antidiluviano, non costituisce pericolo per nessuno anche se al potere tornassero i talebani, il Pakistan invece ha l’atomica. Per inseguire unpericolo immaginario gli americani ne hanno creato uno reale.
Negli ultimi decenni gli Usa hanno sostenuto il dittatore tunisino Ben Alì, testé fuggito con la cassa di fronte al furore del suo popolo, il dittatore egiziano Mubarak cacciato a pedate e ora agonizzante nella sua villa di Sharm el Sheik, hanno sostenuto, nel 1991, i generali tagliagole algerini quando nelle prime elezioni libere di quel Paese il Fis (Fronte Islamico di Salvezza) ebbe la sventura di vincerle a redini basse, col 78% dei consensi, e allora quei generali in combutta con l’Occidente cancellarono le elezioni e col pretesto che il Fis avrebbe instaurato una dittatura ribadirono la legittimità di quella che c’era già.
Ora le rivolte nel Maghreb, in Egitto, nel Bahrein (dove c’è la solita base americana), in Libia (ancheGheddafi era diventato potabile da quando si era messo in affari con l’Occidente), cambiano tutti i termini della questione. È vero che gli americani sono già riusciti a mettere il cappello sulla rivoluzione popolare egiziana trasformandola in un golpe militare. Ma d’ora in poi gli sarà molto più difficile controllare le varie situazioni. Lo sbocco di queste rivolte, si dice, è imprevedibile. Non proprio. È molto probabile che questi popoli una volta liberatisi dei dittatori, finiscano, prima o poi, per rendersi indipendenti anche dal burattinaio che, per decenni, li ha manovrati a suo uso e consumo.
Il comune denominatore di questa crisi con effetto domino,sono le difficoltà delle popolazioni,le quali vivendo sempre più in ristrettezze economiche si sono ribellate ad un potere corrotto,pieno zeppo di ricchezze.
E se vogliamo dare un sguardo più ampio e retrodatato è l’ennesimo fallimento della globalizzazione,dove l’occidente sta pagando il salatissimo conto per ciò che riguarda la disoccupazione,con le crisi finanziarie e bancarie,le quali sono ben lungi d’aver trovato antidoti per il superamento della più importante crisi sociale dal dopo guerra.
Dove l’unico continente,quello asiatico riesce a trovare motivi di soddisfazione,ma durerà per loro questo trend?
Dubito che abbia vita lunga,poichè appena scoppieranno le beghe sindacali dei lavoratori,non più contenti d’un tozzo di pane e condizioni di lavoro allucinanti,il bengodi Cina-India potrebbero avere il vento repentinamente contro.
&& S.I. &&
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1 commento:
è però da vedere come finirà.....
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