venerdì 18 giugno 2010

Stefano Cucchi,l'ora della verità con i 13 rinvii a giudizio





di Giancarlo Castelli

Alla fine, i tredici indagati per la morte di Stefano Cucchi sono tutti oggetto di richiesta di rinvio a giudizio al gup Rosalba Liso da parte dei pubblici ministeri Vincenzo Barba e Maria Francesca Loy che hanno chiuso l’indagine dopo circa otto mesi. Poco dopo quel 22 ottobre, quando Cucchi venne ritrovato morto in un letto del reparto protetto dell’ospedale Pertini, dove era finito pesto e “lacero” dopo essere stato arrestato per un piccolo quantitativo di hashish la sera del 16 ottobre precedente. Per quella morte, l’accusa chiede di processare tre agenti di polizia penitenziaria, Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici con l’accusa di lesioni e abuso d’autorità per averlo picchiato sotto le celle di piazzale Clodio in cui Stefano si trovava in attesa dell’udienza di convalida d’arresto. Un primo passo importante verso la giustizia.

Nelle carte dei giudici si legge che “i tre agenti lo facevano cadere a terra e gli cagionavano lesioni personali, consistite in politraumatismo ematoma in regione sopraciliare sinistra, escoriazioni sul dorso delle mani, lesioni in regione para-rotulea, a livello lombare para-sacrale superiormente e del gluteo destro” e infine “l’infrazione della quarta vertebra sacrale dalle quali derivava una malattia della durata tra i 20 e i 40 giorni”. Gravi anche le accuse a sei medici e tre infermieri del Pertini, dal direttore del reparto, Aldo Fierro, a Rosita Caponnetti, Silvia Di Carlo, Flaminia Bruno, Stefania Corbi, Preite De Marchis, tutti medici e Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe: per loro le imputazioni sono di abbandono di persone incapaci aggravato dalla morte, falso ideologico, rifiuto di atti d’ufficio, favoreggiamento e omissioni di referto. I medici e gli infermieri secondo la procura “abbandonavano Cucchi incapace di provvedere a sé stesso” omettendo anche “di adottare i più elementari presidi terapeutici e di assistenza”. L’indagine sottolinea il fatto che di fronte a valori di glicemia pari a 40mg/dl, rilevati il 19 ottobre, sarebbe bastato un bicchiere d’acqua e zucchero e non è stato fatto. Né un elettrocardiogramma, né una semplice palpazione del polso. Il catetere era posizionato male e di fronte ad una situazione in cui Stefano in maniera evidente non riusciva a tenere una posizione eretta a causa dei dolori e alle evidenti ecchimosi, nessuno fece una segnalazione all’autorità competente. Il ragazzo voleva parlare con il suo avvocato e nessuno lo venne a sapere e quando morì i medici parlarono di morte naturale. Falso, secondo i pubblici ministeri. Singolare la posizione del tredicesimo indagato, il responsabile dell’Ufficio detenuti e trattamento dell’amministrazione penitenziaria che firmò fuori orario d’ufficio il ricovero del ragazzo. Pose la sua firma sotto un referto secondo cui Cucchi si trovava in condizioni generali buone, con uno stato nutrizionale discreto, decubito indifferente, apparato muscolare tonico e trofico. “In evidente contrasto – si legge nel capo d’imputazione – con quanto indicato nella cartella infermieristica redatta dallo stesso reparto e con i rilievi obiettivi dei sanitari del Regina Coeli e del pronto soccorso del Fatebenefratelli essendo il paziente allettato in decubito obbligato cateterizzato, impossibilitato alla stazione eretta e alla deambulazione, con apparato muscolare gravemente ipotonotrofico” . Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, è lapidaria: “Quella gente deve andare dove è stato Stefano” e la rabbia della famiglia è appena mitigata dalle richieste di rinvio di giudizio: “Siamo contenti perché la richiesta di rinvio a giudizio è stata fatta per tutti gli indagati, nessuno escluso”. “Non è che l’inizio – per l’avvocato della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo – finalmente potremo esercitare tutte le prerogative previste dalla giustizia per arrivare alla verità”. Anselmo chiederà di trasformare l’accusa per i tre agenti penitenziari in omicidio preterintenzionale. Meno soddisfatto Diego Perugini, l’avvocato dell’agente Nicola Mini-chini, secondo cui “l’accusa portante verso il suo assistito è contraddittoria e nebulosa (un detenuto gambiano vicino di cella di Stefano che raccontò di aver “sentito” urla e frastuono delle percosse, ndr.). Basterebbe leggere gli atti, le dichiarazioni fatte da alcuni carabinieri nonché la testimonianza di due detenuti in cella con Stefano secondo cui non vi fu alcun pestaggio”. Una vicenda che chiude e apre mille sfaccettature. Come quella del medico Rolando Degli Angioli, il medico “buono” del carcere che visitò Cucchi. Senza lavoro dopo sei anni di servizio a Regina Coeli. Ora il suo avvocato ha inviato alla commissione provinciale del lavoro, alla AslRmA e al dirigente sanitario del carcere una richiesta di riammissione e di risarcimento danni. Continuano intanto le iniziative a Roma per le spese legali della famiglia Cucchi. Stasera al centro sociale ex-Snia in via Prenestina, un concerto afro-beat, punk e reggae. Ingresso: 5 euro.



Se un giorno Stefano Cucchi e la sua famiglia avranno giustizia,si potrà considerare la vittoria della verità nonostante tutte le volontà di nascondere la storia da parte di molti settori,a livello sanitario e in primis dalla polizia carceraria.

Grazie alla caparbietà della sorella,e tutti quanti hanno appoggiato la sete di verità verso questo povero ragazzo,lasciato morire in modo aberrante.

@ Dalida @

Nessun commento: