sabato 6 febbraio 2010

La lenta agonia dell'occupazione in Sardegna e non solo



La famosa discoteca billionaire,questi locali assieme ai porti turistici dai vip,pare non portino occupazione nel Sulcis iglesiente....

Sulcis in fundo



di Luca Telese

L’isola in cui sono nato non è più Italia. E’ come un’appendice lontana, una colonia dimenticata, un’obsolescenza del passato. La Sardegna, per il governo Berlusconi, i media e per la sinistra radical chic (che accetta le bufale del finto mercato come un Vangelo) è un luogo metafisico, un non-luogo. Non più il primo nucleo dello Stato unitario. Non il cuore della Brigata Sassari che fece cantare il Piave nella Grande guerra (con i pastori sardi che accendevano i tubi di gelatina fumando il sigaro al contrario). E nemmeno la terra di Lussu,Gramsci, una raffica di presidenti della Repubblica, i Segni, Cossiga, Enrico Berlinguer. C’è qualcosa della Sardegna che vorrebbero salvare: i porticcioli off shore, il Billionaire la Costa Smeralda degli sceicchi, l’immaterialità del turismo pataccone, la Certosa. Ma visto che in Sardegna i sudditi hanno già votato, è come se fosse stato cancellato un popolo. C’è stato un gran dibattito sul simbolo dei 4 mori, in questi anni. Gli storici ci hanno detto: non avevano le bende sugli occhi, come gli schiavi, ma sulla fronte, come i marinai. Non so se sia vero. So che oggi i mori sono schiavi. Non degli spagnoli, ma di questa idea predatoria. Un popolo, per trovare un lavoro onesto si è infilato nelle miniere, ha abbandonato i pascoli per farsi esercito operaio, ha accettato di avvelenare il suo mare perché i signori della chimica volevano attraccare qui, e le servitù militari spolverate di uranio perché non si poteva dir no. Ora, questo popolo, dovrebbe sopportare un educato genocidio. Penso all’Alcoa, mi viene in mente un volto. Claudia, moglie di un operaio ferita dalla crisi. Per farsi pagare una fattura, ha dovuto prendere una tanica di benzina e minacciare di darsi fuoco. E’ venuta a Roma a battere il caschetto davanti a Montecitorio. Così come tutti gli altri, stanca di essere sbeffeggiata, ha occupato. La Sardegna è la metafora di una modernità inumana e feroce: Sulcis in fundo. Ma per tutti noi.



La Sardegna è la prova certificata dell'impoverimento occidentale,in essa spicca il concentrato della crisi occupazionale,ma il problema sta apparendo a macchia di leopardo su tutto lo stivale purtroppo,il lavoro sparisce e non ritorna più.
Delocalizzazioni verso aree più povere e quindi con un costo del lavoro irrisorio risulta ormai una realtà incontrovertibile,chi avrà meno problemi nel vecchio continente,sarà chi riuscirà a progredire meglio a livello tecnologico,con prodotti destinati ad un certo livello di clientela,chiaramente non sarà la panacea che curerà questo stato di cose,non sono produzioni per grandissimi numeri.
Chi se ne intende nello sbraitare quasi ogni giorno,delirando nelle soluzioni alquanto fantasiose,è il ministro probabile prossimo sindaco di Venezia,lui ha capito che tutto ciò deriva da quei egoisti dei padri,poichè dopo quarant'anni di lavoro pretendono di ricevere la pensione,affamando da buon satrapo insaziabile le nuove generazioni....

Molto probabilmente per chi vorrà dedicarsi,la terra tra qualche decennio apparirà meno bassa del solito,e i pastori in Sardegna torneranno a diffondersi,la chiamano green economy,insieme all'immenso patrimonio artistico di questo paese potranno dare sollievo occupazionale.

Sempre che,qualche ministro brunettiano se ne accorga!!!

&& S.I. &&

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