giovedì 9 aprile 2009

Il tuttologo nostrano,il neo Zamberletti-Bertolaso,a cura di Massimo Gramellini




Ci voleva un incubo per realizzare il sogno degli elettori di Berlusconi. Vederlo fare finalmente il Berlusconi. Assieme alle case dell’Aquila, il terremoto si è portato via il Palazzo della politica che lo teneva imprigionato da quindici anni, con qualche breve intervallo ludico nei summit internazionali. Per la prima volta lo abbiamo visto all’opera non come politico né come imprenditore, ma come imprenditore dotato di potere politico. Il capufficio dell’azienda Italia. Un presidente del Consiglio, sì, ma d’amministrazione. Forse il mestiere che gli riesce meglio. Di sicuro quello che gli piace di più.

Abbandonato il doppiopetto dei traffici romani che tanto lo annoiano, ha rispolverato il maglione della libertà, gli ha arrotolato le maniche e sopra ci ha messo il timbro istituzionale di una giacchetta. E così, maglione più giacchetta, il presidente-imprenditore è sceso in campo. Il suo campo, quello del «fare», dove può esprimere la personalità debordante senza i vincoli delle procedure formali. Come ai tempi eroici della tv, quando spostava personalmente le telecamere negli studi, ha fatto del centro devastato dell’Aquila il suo posto di lavoro quotidiano.

Per tre giorni ha ispezionato luoghi, preso decisioni e dato ordini a persone che non erano lì per vanificarli o sottoporli agli estenuanti riti della democrazia, ma per eseguirli celermente. Ha stretto mani e consolato telespettatrici ideali del Tg4, indossando il casco da Mazinga dei vigili del fuoco. Ha sciorinato numeri, la sua ossessione - 2962 tende, 24 cucine da campo, 14 ambulatori operativi - e dispensato consigli terra-terra che mai erano fioriti sulla bocca di un premier: spedite soldi e non viveri, quelli piuttosto vendeteli e mandateci il ricavato.

L’emergenza lo ha rivitalizzato con la furia di mille lifting, spingendolo a gesti innovativi - ha dato disposizioni ai ministri in diretta tv durante «Porta a Porta» - e ad altri imprevedibili: ha tenuto le sue conferenze stampa in una caserma della Guardia di Finanza, uno di quei luoghi davanti ai quali, un tempo, sarebbe passato facendosi il segno della croce.

Ci eravamo dunque sbagliati sul suo conto, quando profetizzavamo che il capofila dei berluscottimisti non potesse sopravvivere al declino del capitalismo arrembante e fosse la persona meno adatta a governare la tristezza. Per qualche strana alchimia che si identifica con l’arci-italianità della sua natura, nei momenti difficili l’uomo della cuccagna riesce a riproporsi come uomo della provvidenza. Gigione con Obama, ma efficiente fra le macerie, in un alternarsi di barzellette e di decreti, di sorrisoni e di decisioni. Però sempre spiazzante rispetto alle regole del cerimoniale e alle profezie dei suoi detrattori.

La sua diversità, che a volte fa piacere e altre fa paura, procede di pari passo con la sua imprevedibilità. Il tedesco Schroeder aveva ribaltato l’esito di un’elezione presentandosi in stivaloni fra gli alluvionati dell’Elba, come l’indimenticabile vicesindaco Carpanini nella Torino allagata dalla Dora. Ma da noi nessun leader politico nazionale si era mai sognato di affrontare una catastrofe con questo piglio, conquistando da subito il centro della scena con una presenza fisica che indicava la volontà di agire e di metterci, è il caso di dirlo, la faccia. Quella faccia da generale insonne che la televisione ha proiettato in tutti i tinelli del Paese e che è diventata la faccia di uno Stato che non pontifica da lontano, ma in maglione arrotolato e giacchetta si presenta su un territorio distrutto per stare accanto ai cittadini che soffrono.

Una esibizione del genere azzera tutte le altre e fa risaltare ancora una volta le difficoltà dell’opposizione nell’adattarsi a un «format» che non le è proprio: il giorno della tragedia Franceschini non è andato in Abruzzo ma in Parlamento, altrimenti tutti avremmo scritto che aveva voluto copiare il rivale. Così in Abruzzo è andato ieri e non se n’è accorto nessuno.

Se fosse un elemento, Berlusconi sarebbe l’acqua che allaga ogni spazio dove non è in funzione una diga. Il terremoto d’Abruzzo ha rotto la diga. Adesso vedremo chi riuscirà a riportare il premier dentro gli antichi argini. Magari la Lega. Di certo non i suoi elettori, che da qualche giorno sono probabilmente un po’ di più.

[ da La stampa ]


Più che enfatizzare le sue imprese televisive e presenzialismo all'inverosimile,caro Gramellini,per molti italiani,minoranza che sia,tutto ciò equivale ad un incubo,siamo abituati alle emergenze catastrofiche,con lavori imprenditoriali eseguiti da criminali,ci mancava il clone di zamberletti-bertolaso ed abbiamo fatto bingo!!!
Ogni paese ha davvero il presidenzialista che si merita,il nuovo imperatore,vorrei tanto affermare,godetevelo,ma è un'utopia...

&& S.I. &&

Nessun commento: