martedì 11 dicembre 2018

Il capitalismo è fallito? No,si è solo spostato















Almeno sono chiare sia la tesi sia l'antitesi

di Alessandro Gilioli

«Il capitalismo ha fallito perché doveva alzare il livello di vita della gente, invece non l'ha fatto. È dal fallimento del sistema economico iniziato tutto. Se le aspettative di vita della gente non fossero calate di anno in anno, non ci sarebbero rivolte in Francia, non ci sarebbe questo caos in Inghilterra, non ci sarebbe il rischio fascista in Italia».

Le parole semplici dello scrittore Hanif Kureishi - intervistato oggi sulla Stampa - mostrano benissimo il filo rosso che lega i vari casini in corso in Europa.

A volte ci dimentichiamo perché nel 1989 il capitalismo ha stravinto sull'altro blocco: non perché era più bello, più buono, più etico, più amabile. Ma solo perché si era dimostrato più utile, cioè funzionava meglio.

Dall'altra parte l'economia pianificata e l'assenza di concorrenza avevano distribuito solo povertà. Da questa parte l'economia di mercato - con tutte le sue iniquità e suoi sfruttamenti - aveva invece creato più ricchezza, un ceto medio, talove perfino un'aristocrazia operaia. Per quanto ingiustamente distribuita, la maggior ricchezza e la maggior speranza di benessere per i propri figli aveva coinvolto la maggior parte delle persone. Di qui la vittoria dell'Occidente sul socialismo reale.

Se però il capitalismo non crea più ricchezza, non la ridistribuisce almeno un po' e non regala a ogni generazione la speranza di stare un po' meglio di quella precedente, tutto il sistema crolla. Il capitalismo non ce lo siamo tenuti finora perché era bello o buono, ripeto, ma solo perché era utile, prosaicamente e pragmaticamente utile. Se non è più utile, viene inevitabilmente rigettato.

Ora, si sa che il capitalismo ne ha viste altre, di gravi crisi, e ha saputo finora aggiustarsi dopo ciascuna di esse; e si sa che i capitalismi sono stati e sono di molti tipi diversi, molto diversi, nella geografia e nella storia.

Quello che tuttavia mi pare certo è che questo capitalismo qui - quello che ha iniziato a rombare negli anni Ottanta con Reagan e Thatcher, che ha conquistato l'Est Europa alla fine di quel decennio, che ha portato sulle sue sponde i partiti socialisti e socialdemocratici europei, che si è infine divorato il pianeta con la globalizzazione - beh, questo capitalismo qui adesso ha le gambe d'argilla.

La reazione provvisoria - si sa - è quella del nazionalismo, dei muri, dei dazi, del tutti contro tutti e soprattutto tutti contro i diversi.

Una reazione inevitabile e quasi pavloviana: se il malfunzionamento è o sembra causato dalla globalizzazione, si pensa di ritornare a prima della globalizzazione così tutto si rimetterà magicamente a posto. Ovviamente è una cretinata di breve durata, perché nel frattempo è cambiata la struttura - quella tecnologica di fondo, quella che determina tutto o quasi - sicché alzare i muri ha le stesse chance di successo che avevano i poveri operai inglesi quando 200 anni fa andavano a distruggere i telai meccanici.

Però per adesso ce la becchiamo così, la retrotopia di cui parlava l'ultimo Bauman, l'utopia di un passato che non tornerà manco con Trump e Salvini, no, manco con Farage e Orbán, manco sfarinando l'Europa o imponendo alle città i nomi della tradizione religiosa, come succede in questi giorni in India.

Più avanti - passati i funerali politici dei vari Macron e Renzi, e di tutti quelli che non hanno ancora capito che è finito il trentennio iniziato negli anni Ottanta - ci sarebbe da pensare a cosa viene invece dopo, dopo l'attuale sbornia di nostalgia nazional-sovranista.

Tesi: il cosiddetto neoliberismo, insomma il trentennio alle nostre spalle. Antitesi: i gilet gialli francesi, i gialloverdi italiani, i brexiters oltre Manica, Trump oltre Oceano, più vari altri mostri e mostriciattoli in Europa e altrove. E fin qui è tutto chiaro. È la sintesi quella che è ancora ignota e su cui ci giochiamo le chance dei prossimi cinque o sei decenni.

DALL'ESPRESSO BLOG . PIOVONO RANE

Il capitalismo da circa un ventennio si è spostato a est,extra continente s'intende,il fiato corto iniziano ad averlo nell'est europeo,su certe latitudini resisterà per alcuni decenni,tra India e Cina sono circa due miliardi e mezzo,l'arricchimento e lo sfruttamento dalla povertà durerà parecchio,un po' come il gatto con il topolino.

E chissà se ritornerà nuovamente in Europa,quando i poveri diventeranno la stragrande maggioranza,sopravvive,sopravvive,pur non avendo altri pianeti da sfruttare,il gioco di società avrà successo.

L'unico interrogativo che comprenderà ricchi e poveri del pianeta,saranno gli sconvolgimenti climatici,su questo piano rischiamo tutti quanti la sopravvivenza,a medio-lungo termine ovviamente.

I.S.

iserentha@yahoo.itto

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