giovedì 20 aprile 2017

Botta e risposta tra Scalfarotto-Gilioli,sugli orari e sul diritto del lavoro











Di lavoro festivo, modernità e Scalfarotto

di Alessandro Gilioli

Caro Scalfarotto,

ho letto con interesse e piacere il tuo post che - partendo dalle campane medievali - mette i piedi nel piatto di una delle questioni più dibattute e interessanti del nostro tempo e della nostra quotidianità: il lavoro 7/24, o meglio la disponibilità dei beni e dei servizi per i consumatori 7/24.

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Non c'è dubbio che ci sia una parte di verità in quello che scrivi: siamo sempre più abituati, come consumatori, a godere della disponibilità di beni e servizi all'ora che vogliamo, nei giorni che vogliamo. Ciò, come consumatori, ci facilita la vita.

Alcuni di noi, i più fortunati, provarono l'ebbrezza di questa condizione già venti o trent'anni fa, viaggiando negli Stati Uniti: che figata alzarsi alle tre di notte e trovare un "deli" aperto sotto casa, che bello poter comprare i fiori per la fidanza all'alba della domenica. E tornando a casa ci sembrava medievale - appunto - che la nostra vita di consumatori fosse così frustrata da orari, chiusure, feste comandate.

Sicché quando anche noi qui in Europa ci siamo adeguati - adeguati a soddisfare la nostra parte di consumatori, dico - questa ci è sembrata senz'altro modernità.

E per te, così come per me, è senz'altro comoda questa modernità. Facciamo professioni d'élite, entrambi: tu in politica, io nel giornalismo. Magari lavoriamo anche noi fuori orario, certo; ma con la leggerezza di chi sta bene, di chi non ha paura di una bolletta Acea, di un water che si rompe, di una inaspettata cartella Equitalia. Il nostro lavoro è quello dei fortunati, dei privilegiati. E non solo per reddito.

Quindi possiamo con serenità appagare la nostra parte di consumatori. Quella che è contenta dei servizi e dei beni disponibili 7/24. Tanto, noi stiamo bene. Nessuno ci chiederà di lavorare di notte o il primo maggio per tre euro l'ora. Scherziamo?

Tuttavia, purtroppo, per ogni felice consumatore c'è un produttore che felice lo è sempre meno. Lo è sempre meno per i turni che gli vengono imposti, per i ricatti che subisce, per le condizioni a cui è sottoposto, per i rapporti di forza che lo costringono ogni giorno di più al silenzio e alla sottomissione. È lui, è lei la persona che vedi alla cassa quando fai la spesa il primo maggio o quando chiami il call center di notte. È lui, è lei, di cui non sai - non sappiamo - nulla.

Per te tutto questo non ha nulla a che fare con «il problema che riguarda le modalità con cui viene stabilito il calendario delle aperture e il livello di retribuzione, un problema di relazioni industriali e di contrattazione». Per te le due cose non c'entrano tra loro. Per te è solo un caso che con l'estensione pervasiva del 7/24 siano diminuite le retribuzioni, siano diminuiti i diritti, siano aumentate la prevaricazione e la precarietà.

Ecco, è qui secondo me che ti sbagli.

I due fenomeni non sono slegati tra loro.

La disponibilità di merci e servizi 7/24 e il peggioramento delle condizioni di lavoro non sono state due variabili indipendenti tra loro. Sono state, parimenti, due conseguenze della vittoria dell'alto contro il basso nella lotta di classe negli ultimi trent'anni. E che l'abbiano vinta i ricchi non lo dico io, Ivan, lo dice Warren Buffett, uno dei vincitori, uno dei miliardari.

Allora, forse, è il caso che ci capiamo, senza ideologie né nuoviste né ineluttabiliste su cos'è la modernità (quelle ideologie che fanno poi vincere i Trump, per capirci) e ci chiariamo su un paio di cose.

Tutti, come consumatori, godiamo di benefici nelle aperture 7/24. Ma tutti, come società, abbiamo da perderci in un contesto in cui una fascia non indifferente di persone (soprattutto i più giovani, quelli che non a caso vi detestano) è costretta a orari, turni, retribuzioni e condizioni di lavoro infami.

Non siamo solo consumatori, Ivan. Siamo anche persone.

Quelli che stanno bene (e che fanno politica) o questa cosa la capiscono in fretta o ci portano verso il baratro. Nel quale siamo già, con mezzo piede dentro.

La domenica non è più sacra, come nel Medioevo, d'accordo, ci mancherebbe. Non lo è neppure il primo maggio, la Pasqua o la notte. Ma lo è la dignità delle persone. Il diritto a vivere decentemente. A essere non pagati, ma strapagati se rinunciano a stare dove io e te nelle festività e di notte stiamo, cioè con chi amiamo. Così come sacro è il loro diritto, in generale, al tempo libero e al riposo, sempre più negato da quella che tu chiami modernità.

Sono certo che capirai, anche senza un'esperienza di sei mesi a Esselunga, in un call center o fare il rider di Fodoora.

DALL'ESPRESSO BLOG - PIOVONO RANE

Se d'incanto si tornasse indietro ad alcuni decenni fa,dove la domenica e le festività si faceva altro senza essere attirati dal centro commerciale,personalmente non mi giungerebbe la depressione,e l'aver abituato i consumatori al business sempre e comunque ad essere colpevole,ma si sa le cattedrali del consumismo devono funzionare il più possibile.

E poi se fossero nella libera scelta di lavorare nei giorni di festa altrui,guadagnando all'altezza della situazione,penso che ci sarebbe almeno motivo di soddisfazione, sappiamo tutti però che al contrario lavorano obbligatoriamente per sopravvivere,e tutto ciò è una grandissima contraddizione,ci sarà sempre meno economia con queste retribuzioni da fame,e quanti lavoratori potranno sopravvivere servendo una piccola parte di ricchi sfondati?

Aggiungendo che quelle paghe da fame non sono solo legate al commercio,ma sono presenti ovunque,e con il tenore di vita italiano ci può essere solo un avvenire da miserabili senza speranza.

Ma il Pd rappresentato da Scalfarotto in questo caso,pare che imitino gli struzzi che leggenda o meno,nascondono la testa sotto la sabbia respirando molto bene,almeno loro.

I.S.

iserentha@yahoo.it

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