mercoledì 1 marzo 2017

Starbucks:Tu vuo’ fa’ l’americano ma sei nato in Italy














Tu vuo’ fa’ l’americano: è solo Starbucks, sembra un nuovo Rinascimento

di Alessandro Robecchi

Ma sì, ma sì. Anch’io ho camminato per qualche città americana con un bicchierone di caffè in mano, mi piace, non nutro alcuna preclusione né ideologica né culturale nei confronti dell’ingurgitare caffeina a litri con il naso all’insù verso la cima dell’Empire State Building. E però confesso di provare un certo fastidio nella prosopopea e nella retorica rinascimental-aziendale che accompagna in questi giorni l’apertura (prossima) di Starbucks a Milano. Un grande bar, alla fine, cantato e celebrato (ieri due pagine sui principali quotidiani nazionali) con toni di strabiliato trionfo, come un tempo si salutava la costruzione delle cattedrali gotiche, come si festeggiasse, che so, il ritorno della Gioconda o l’annessione di Istria e Dalmazia. Non ne faremo una colpa al signor Howard Shultz, l’intervistatissimo capo di quasi 25.000 bar nel mondo (utile netto 2,8 miliardi di dollari): lui fa il suo mestiere ed è persino commovente quando dice cose come “siamo innamorati della vostra cultura” e “abbiamo una grande affinità”. Tutto bello, anche se suona un po’ come il calciatore che bacia la maglia dopo averne baciate altre cinque o sei, vai a sapere, magari ‘sta faccenda delle grandi affinità l’ha detta anche nelle Filippine, in Bolivia o a Hong Kong.

Ma insomma, pare che le aziende abbiano anche loro bisogno di storytelling, e fino a ieri non era andata benissimo: il primo segno di Starbucks a Milano (in veste di sponsor) era stato quel giardinetto di palme e banani diventato famoso per le scemenze razziste di Salvini e per qualche cretino che aveva bruciato una pianta. Ora si passa invece all’offensiva emozional-economica: i posti di lavoro (350, mica apre la General Motors, eh!), i piani futuri, l’obiettivo, si legge, di 200-300 punti vendita in 4-5 anni. Tutto bene, elegante, ben raccontato e denso di omaggi alla nostra cultura (uh, il caffè e l’italiano! E sapessi il mandolino!), di genuflessioni allo “stile Milano”, eccetera, eccetera. Di fatto: lo sbarco di un grande gruppo in un settore dove ancora è stradominante la piccola proprietà, niente che non si sia già visto con la grande distribuzione, l’autogrill diffuso, la catena gloabal.

Ma poi la retorica aziendale, che è già fastidiosa di suo, diventa insopportabile quando si sposa con altre retoriche. Quella della città modello per il paese perché ha fatto l’Expo (ahahah), per dirne una; oppure quella del paese che riparte (perché apre un bar). A leggere le celebrazioni stampate ieri si direbbe che Starbucks venga qui a fare beneficienza, curare i lebbrosi e riportare il sole. Una narrazione che si conosce bene, del resto: l’istituzione di qualche corso Apple a Napoli (borse di studio pagate quasi tutte dalla Regione) venne salutata come se Cupertino si fosse trasferita qui. Oppure si parlò di Foodora – quella dei fattorini a cottimo modernamente chiamati riders – come di “un’agile, coraggiosa e giovane start-up”, salvo poi scoprire che è una multinazionale tedesca con filiali ovunque.

Nulla è quello che sembra: tutto è inondato dalla narrazione, meglio se diventa favola, meglio ancora se sfocia in leggenda. Il provincialismo italiano aiuta: si pensa che bere un caffè alla moda di New York o Boston sia a una specie di promozione culturale di massa, o forse le grandi conquiste sociali ancora alla portata sono quelle lì: urca, guarda come siamo internazionali, che goduria, quanto zucchero? Sarà un bel bar, alla fine, ma perché diavolo me lo si vuole vendere come una specie di Rinascimento in bicchiere di carta, un’epifania della cultura di cui finora ero inspiegabilmente orbato? La narrazione del “niente sarà più come prima” – anche perché inflazionata e resa ridicola dal suo recente abuso renzista – fa sempre più ridere. E se ridi, finisce che ti va di traverso il caffè.

DALL'ESPRESSO BLOG - PIOVONO RANE

Sono dell’idea che consciamente o meno,l’azienda del caffè a stelle e strisce con quelle palme e i banani si sia fatta una enorme pubblicità,con tutte le derive razzistiche dei soliti noti,che contribuiranno anch’essi alla vendita di quei beveroni di caffè a 4 euro con cartone incorporato,e che alcuni abituati all’espresso dicono che sia scadente.

Prendo la parte positiva,ci saranno dei ragazzi occupati in quella realtà,lasciando perdere tutte le stronzate mediatiche che ha messo molto bene in evidenza.

Nessuna sorpresa sotto questo cielo,siamo abituati al gigantismo delle stupidaggini e nel mettere sotto il tappeto cose parecchio importanti.

I.S.

iserentha@yahoo.it

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