martedì 8 novembre 2016

Elezioni United States:Finalmente il primo polpettone finisce














Che palle, le democrazie della paura

di Alessandro Gilioli

"America, la grande paura" titola oggi Repubblica in prima, e in effetti un sacco di persone che conosco - di qua e di là dell'oceano - un po' di paura ce l'hanno. Paura di un tizio che tanto stabile di zucca non sembra e che se avesse in mano i codici nucleari non sarebbe il massimo, ad esempio. Ma anche paura di rivoltelle ancora più in libertà di oggi, di muri tra etnie ancora peggiori di quelli attuali, eccetera

Il problema, però, è che questa cosa - la paura - è diventata il sentimento trasversale che rischia di possedere il nostro animo in tutto l'approccio alla politica e che può così deformare le democrazie, trasfigurandole in democrazie della paura.

Sentimento trasversale, dico. Perché - continuando con l'esempio americano - se da un lato c'è la paura del "miliardario pazzo e razzista", dall'altra parte ci sono i timori che invece lo alimentano: la paura di perdere il benessere, la paura della globalizzazione, la paura degli immigrati, la paura dell'Islam, eccetera eccetera.

Quindi dominano due paure incrociate. Da un lato la paura di questo presente e questo futuro così complicati, così liquidi, così onusti di incertezze, di poteri misteriosi e non controllabili: ciò che ci rende tutti fragili e precari, esistenzialmente precari. Dall'altro lato c'è la paura dei leader e dei partiti che incanalano queste paure, dei "movimenti antisistema", oppure di quelli nazionalisti, oppure semplicemente dei capi muscolari alla Putin.

Paure incrociate, paura contro paura.

E parente stretto della paura è l'odio. È normale: verso ciò che mi fa paura, non posso che avere sentimenti di animosità totale, di ostilità profonda. Di nuovo, guardiamo all'America come esempio: mai due candidati erano stati così odiati dagli elettori della parte opposta. Nessuno odiava veramente McCain, nel 2008, o John Kerry quattro anni prima. Oggi ci si odia, tra supporter dei due candidati. E perfino il New York Times, contro Trump, sembra aver perso parecchio aplomb.

Dalla paura e dall'odio discende a sua volta la delegittimazione. Cioè l'inammissibilità che l'avversario sia legittimato a governare. Di qui i citati atteggiamenti in campagna elettorale: Trump che minaccia la galera alla sua rivale, Hillary che definisce Apocalisse il suo competitor. Non esattamente una pacata democrazia dell'alternanza.

Pensate all'Europa, Italia compresa, e vedete che la dialettica non è poi così lontana. A foraggiare le fila dell'antiestablishment sono le stesse paure che ci sono negli States: impoverimento, aumento delle disparità sociali, incertezza, precarietà esistenziale, ma anche immigrazione ed esternalizzazione dei poteri a dinamiche incontrollabili; per contro, a serrare le fila attorno ai governi (Renzi compreso) c'è la paura di quello che potrebbe accadere se questi governi passassero la mano a chi oggi li contesta, ai partiti o movimenti cosiddetti anti establishment (che siano di destra come in Francia, di sinistra come in Spagna o né l'uno né l'altro come in Italia).

Si vota per paura, soprattutto. Oggi in America, prossimamente in Europa.

Personalmente, tra le varie cose di cui sono politicamente orfano, c'è anche qualcuno che non faccia il pieno di consenso per paura.

DALL'ESPRESSO BLOG - PIOVONO RANE

Mi astengo,come dite voi a Roma "mo basta"...

Non vedo l'ora che finisca sto polpettone indegno,insieme a quello del 4 dicembre,pare che finisca il mondo,o rinasca dalle ceneri,al contrario tutto scorrerà più o meno come sempre.

Solo una nota sul quotidiano,discretamente più interessante a mio parere.

La risposta di Junker al nostro toscano governativo,al di là delle ragioni o dei torti,abbiamo potuto verificare la democrazia dell'Unione Europea,il chissenefrega,in aggiunta al non si può contestare nulla ai banchieri di Strasburgo con scappellamento tedesco,non so a voi,a me fa parecchio schifo.

Magari si potesse decidere sull'Italexit

I.S.

iserentha@yahoo.it

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