mercoledì 12 ottobre 2016

Ora Renzi disperatamente cita anche i suoi figli












Pure i figli fan bene alla causa

di Alessandro Robecchi

“Per i miei figli, per i nostri figli, non ci fermeremo”. Così Matteo Renzi ha chiuso la direzione Pd, al netto del mascellone volitivo e degli occhi penetranti, ma insomma, il tono era quello. Ed eccone un altro che tira fuori i figli, un classicone, come quegli standard dello swing che ti bastano due note per riconoscerli. I figli! Quell’altro, il poro Silvio, giurava spesso sulla testa dei figli, e non essendo uno di indole sincerissima tutti ci preoccupavamo molto.

Ma comunque: i figli. Argomento di natura emotiva (so’ piezz’e core) ed evocazione del tempo a venire, insomma, il futuro, le nostre scelte che riguardano loro, perché a loro consegneremo… (eccetera eccetera, aggiunere a piacere). A pensarci, questo essere strenuamente dalla parte dei figli è un leit-motiv del primo renzismo. Qualche Leopolda fa, il finanziere Serra tuonò contro le generazioni precedenti (intendeva i pensionati) che “rubano il futuro” ai figli. In soldoni: siccome prendi la pensione, aumenti il debito pubblico che pagherà tuo figlio. Seguì il plauso dei figli leopoldi, roba da tragedia greca, alti lai contro il papà pensionato che ruba il futuro al figlio precario (magari dopo avergli pagato gli studi, ovvio). Siccome i figli erano (e sono) abbastanza sfigati, alle prese con un mondo del lavoro polverizzato che li paga in voucher, si tentò di affascinarli con la carta della modernità. E allora si presero allegramente per il culo i padri, scemi, che mettono il gettone nell’iPhone e vanno in giro col mangianastri. Padri consumati e pure privilegiati: urgeva abolire l’articolo 18 per ristabilire un po’ di parità nella sfiga (senza pensare che l’articolo 18 di papà poteva servire da mini-garanzia anche ai figli, mah). Sempre in nome dei figli, si disse che autorizzando a licenziare liberamente si sarebbe aumentata l’occupazione. Bella pensata. Per poi scoprire che il jobs act assume soprattutto over cinquanta (così le garanzie crescenti non crescono troppo), e i figli vanno avanti a voucher, stage, contrattini, buoni pasto, pacche sulle spalle e le faremo sapere.

Naturalmente di questa retorica sui figli, le nuove generazioni, la caricatura di modernità, fa parte il mito renzista della dinamicità. Uff, due camere, che seccatura. Uff, discutere, che perdita di tempo, su, su, usiamo la app, facciamo in fretta. E così si alimentano miti modernissimi, la startup creata in cantina, dove il ragazzino può passare da studente a imprenditore in un nanosecondo. E giù hurrà per questi giovani dinamici, anche se poi scopri (a Torino e Milano in questi giorni) che senza altri giovani che pedalano per due euro a consegna tutto sto dinamismo non starebbe in piedi. Ecco, tra padri e figli e chi li usa strumentalmente si crea questo cortocircuito: da una parte si disegnano scenari futuribili di ripresa economica creativa e moderna, dall’altra siamo al neorealismo di Ladri di biciclette, stipendi da fame, cottimo, e la bicicletta propria come mezzo di produzione. Solo che nel film (De Sica, 1948) lo sfigato era il padre, con grande tristezza del bambino, mentre qui a pedalare per due euro a consegna (Poletti, 2016) sono i figli. Ecco fatto.

Ora arriverà il regalo di 500 euro per i figli (quelli grandi, che compiono diciott’anni), e aspettiamo il battimani d’ordinanza. Naturalmente, accecati dalla manciata di euro, pochi noteranno che dare la stessa cifra al figlio del notaio e a quello del bracciante produce una di quelle cose che ai nostri figli vorremmo evitare: l’aumento delle diseguaglianza. E invece. Insomma, quel che fanno Renzi, il renzismo, e la renzità per i figli – “Per i miei figli, per i nostri figli, non ci fermeremo” – è l’esatto contrario di quel che bisognerebbe fare per i figli, se si augura loro un futuro

DA ALESSNDROROBECCHI.IT

Per arrivare ai figli “le disperato” il rignanese, quando arrivo a casa ho il timore di trovare dentro il frigo il suo faccione,talmente sta imperversando in ogni luogo.

All’inizio del cammino da premier ha potuto incantare molti,velocità,promesse,e chi più ne ha,più ne metta,se avesse lavorato così bene,a prescindere dalla schiforma,vincerebbe a mani basse il 4 dicembre,al contrario si deve sbattere come un travet qualsiasi per avere qualche speranza.

Ma oggi è solo il 12 ottobre,ne sentiremo e ne leggeremo ancora delle belle.

I.S.

iserentha@yahoo.it

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