domenica 1 maggio 2016

Buon 1 maggio,almeno per chi lo può ancora festeggiare


















Che poi è lo scopo di tutto

di Alessandro Gilioli

Questa è la vignetta di Mauro Biani oggi sul 'Manifesto'. Mi perdonerà se gliel'ho rubata.

Qualche tempo fa parlavo, per lavoro, con un guru della Silicon Valley. L'intervista era sulle tecnologie wearable: quelle che si indossano, insomma. Lui mi spiegava il percorso dei device tecnologici. I primi computer se ne stavano in una stanza, isolati. Poi, con i pc, questi congegni elettronici si sono avvicinati a noi, trasferendosi sulle scrivanie di ogni appartamento. Poi sono arrivati i laptop, che ci stavano ancora più vicini, sulle nostre ginocchia. Quindi gli smartphone: nelle nostre tasche, ormai prossimi al corpo. Il passo attuale sono gli smartwatch e gli smartglass, ormai attaccati alla pelle. In quello successivo, prevedeva il mio guru, saranno dentro il corpo, direttamente.

Al lavoro è successo il contrario.

Prima gli operai erano nelle catene delle montaggio, uno accanto all'altro: lì si scambiavano parole, rabbie, idee, rivendicazioni, e di lì nasceva il sindacato. Poi c'è stata la prima robotizzazione dei macchinari, quella degli anni Ottanta: e tra un operaio e l'altro la distanza è diventata di dieci, venti metri, abbastanza per non parlarsi quasi più - se non in pausa, in mensa, all'uscita. Adesso la lontananza ha fatto un passo ulteriore: un giorno qui e un giorno lì, somministrati o interinali; o addirittura un'ora qui e un'ora là, con il meccanismo dei voucher ma più in generale con la molecolarizzazione del lavoro all'ora o a cottimo.

Ognun per sé, come sintetizza perfettamente la vignetta di Biani.

Oggi è la festa del lavoro del 2016.

Il governo la festeggia brindando a dati ridicoli, uno zero virgola in più rispetto a febbraio che poi è uguale ai dati pessimi di gennaio, in base peraltro a indicatori che considerano "occupato" pure chi fa il cameriere un'ora al mese nel ristorante dello zio. Il governo fa il suo mestiere, s'intende: cerca di dare un po' d'ottimismo a una realtà prostrata, sperando nel noto meccanismo della profezia che si autoavvera. Ripeto: fa bene, anch'io al posto del premier farei uguale.

E non è mica tutta colpa sua se la realtà è questa, effetto di dinamiche globali strutturali e tecnologiche e di predominio culturale dei vincenti, più che di leggi dello Stato: le quali semplicemente vi si adeguano, facilitano, oliano. Come il Jobs Act e i voucher.

Semmai le sue colpe sono di omissioni, più che di azioni: non muovere un dito affinché la polverizzazione del lavoro si smussi e si tamponi con misure di welfare universale. Cosa che all'attuale premier, un darvinista sociale, dà allergia. Come ai precedenti, del resto.

Ma pazienza: il tema del lavoro ridotto a brandelli e ad addizioni penose fra redditi orari è troppo grande per essere ridotto a Matteo Renzi, semplice esecutore pro tempore del presente.

È tema epocale, doloroso quanto colossale.

Che solo una visione larghissima potrebbe iniziare ad affrontare.

Una visione che tenga conto non solo della molecolarizzazione già in corso, ma anche della ulteriore rarefazione futura: se oggi il lavoro è pezzetti di reddito da strappare con i voucher o con Mechanical Turk, domani sarà semplicemente di meno, in giro, perché l'intelligenza artificiale e l'automazione lo renderanno quasi inutile, quindi quasi introvabile. E qualsiasi forma di redistribuzione della ricchezza prodotta dalle corporation con le tecnologie avanzate non sarà più redistribuita attraverso i salari. Quindi occorrerà un altro modello di redistribuzione, universale e sganciato dal lavoro. O sarà la barbarie, la guerra di tutti contro tutti. Fatale seguito dell'ognun per sé, quando l'ognun per sé si fa disperato.

Ma il lavoro ha significato anche altro, oltre al reddito, si sa. Ha significato anche identità, passione, coesione tra persone, realizzazione personale. La chiave a stella di Primo Levi, per capirci: è stato anche quella roba lì.

E questa parte del lavoro non ce la restituisce più nessuno: neanche il reddito minimo, l'istruzione gratuita fino all'università, la sanità e la casa pagata dal welfare. Quella cosa lì è finita. Toccherà quindi inventarci nuove forme di identità, passione, coesione tra persone, realizzazione personale.

Ottenuto il welfare universale, sarà questa la vera sfida. Forse la più difficile, ma anche la più bella.

La più bella perché il lavoro è ed è stato anche schiavitù, frustrazione, alienazione, tempo di vita buttato al servizio di altri.

E la sfida è che quei tre adulti e quel bambino, là sopra, possano quindi tornare ad avvicinarsi.

Ma non più per chiedere qualcosa, manifestare, rivendicare, lavorare: com'era ai tempi di Pellizza da Volpedo.

Semplicemente, per vivere in modo decente o addirittura piacevole il tempo della loro esistenza in questa Terra.

Che poi è lo scopo di tutto.

DALL'ESPRESSO BLOG - PIOVONO RANE

Me lo auguro che lei abbia ragione sugli auspici dell'ultima parte del post,chi è dotato di un minimo di buon senso non potrebbe essere più soddisfatto di una società del genere.

E quindi mi auguro di sbagliare,ma vedo più che altro il ritorno di un neo feudalesimo,tecnologico,robotizzato,con tutte le modernità conosciute e che si svilupperanno,ma dalla notte dei tempi chi è ricco e occupa un dominio concede il minimo possibile ai subalterni,una logica che dimostra i grossi limiti dell'umanità su questo pianeta.

Siamo talmente scarsi da legittimare senza quasi batter ciglio,la differenza abissale tra guadagni dei top manager e semplici lavoratori,e su questo particolare non scommetterei un euro sul suo personale auspicio.

Buon 1 maggio a tutti,quelli che ancora lo possono festeggiare,manca solo più Natale e il capital-liberismo avrà il completo successo sui lavoratori.

I.S.

iserentha@yahoo.it

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