lunedì 21 marzo 2016

La forbice sociale sempre più fottutamente allargata















La Politica vera, oltre Serracchiani o Di Maio

di Alessandro Gilioli

«Il primo uno per cento degli americani si porta a casa ogni anno quasi un quarto del reddito della nazione. In termini non di reddito, ma di ricchezza del paese, il primo 1 per cento ne controlla il 40 per cento. Venticinque anni fa i termini di quel rapporto erano 12 e 33 per cento. Tutta la crescita degli ultimi decenni è andata a chi stava in cima».

Sono parole dell'economista premio Nobel Joseph Stiglitz, dal suo ultimo libro “La grande frattura”, che ho letto l'altro giorno in un articolo di Leopoldo Fabiani sul tema che da un paio d'anni, all'estero, sta agitando il dibattito politico e culturale: l'effetto delle (crescenti ed eccessive) disuguaglianze sulle nostre società.

È la questione per eccellenza, altrove. Al centro del confronto politico per le presidenziali Usa, che sia pane per la destra populista o nello spostamento "a sinistra" del dibattito nei democratici. La questione posta in modo monumentale da Piketty tre anni fa e poi al centro dei maggiori saggi sociologici ed economici successivi - e non solo di Stiglitz: da Antony Atkinson a Robert Reich, da Ulrich Beck a Yanis Varoufakis.

In Italia, purtroppo, pare che tra gli intellettuali il tema non sia altrettanto sexy. Dopo il grande Edmondo Berselli nel suo testamento politico, ne hanno scritto in pochi: tra questi, un paio di anni fa Daniele Checchi e poco prima Emanuele Ferragina.

Altrettanta latitanza viene, qui in Italia, dalla politica. È difficilissimo trovare qualcuno che faccia della disuguaglianza il tema su cui battere ogni giorno, in ogni occasione pubblica, in ogni talk show. Ma ogni giorno proprio, come Salvini fa sugli immigrati e Renzi sul nuovismo. Forse è anche per questo che in Italia è semi-sparita la sinistra: perché è sparito dal dibattito pubblico il tema che, come spiegava Bobbio, è per eccellenza la ragion d'essere della sinistra (o di come diavolo volete chiamarla).

In questo deserto, va accolto con gratitudine il lavoro di un cronista: si chiama Riccardo Staglianò, scrive da anni su 'Repubblica' di vari temi - spesso legati a Internet - e da quelli è partito per raccontare nel suo ultimo libro ("Al posto tuo") un fenomeno molto contemporaneo, cioè la correlazione tra l'aumento delle disuguaglianze e la crescita del peso dei robot e degli algoritmi nella produzione. Banalmente, Staglianò racconta - da cronista - la fine di un meccanismo che più o meno aveva funzionato almeno due secoli: quello che redistribuiva una parte degli utili prodotti dalla aziende attraverso il salario. Che, diceva Marx, era comunque più basso rispetto alla ricchezza prodotta da quel lavoro, ma comunque consentiva ai lavoratori di avere un reddito.

Non è il primo libro uscito sul tema della rarefazione del lavoro e dei suoi effetti sociali, quello di Staglianò. In questo blog se ne sono già stati citati altri, come quello di Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, quello di Martin Ford - e il tema è al centro da tempo anche delle riflessioni di Jaron Lanier.

Però in Italia è merce rara, il lavoro di Staglianò. Anche nel far pulizia, dati e casi alla mano, dell'illusione che si ripeta lo schema che aveva funzionato finora: quello secondo il quale ogni grande cambiamento tecnologico produce più posti di lavoro di quanti ne distrugga, com'era avvenuto per il passaggio dall'agricoltura all'industria e dall'industria al terziario. Staglianò spiega bene, appunto, che il fatto che sia sempre avvenuto così non vuol dire affatto che debba avvenire sempre così: anzi, tutto quello che sta accadendo e che è già accaduto dimostra il contrario.

I temi che emergono dal lavoro cronistico di Staglianò sono giganteschi: a partire dalle modalità non più legate al lavoro con cui si possono ridistribuire almeno parzialmente i profitti delle corporation che incassano cifre ciclopiche con pochissimi lavoratori: come quelle digitali, per capirci.

È questa, appunto, la questione economico-sociale centrale del nostro tempo, il principale motivo per cui si è impoverita la classe media, nonché la radice di ogni astensionismo e di ogni movimento o leader "antisistema" dall'Europa agli Usa - etc etc.

Ed è questo oggi l'epicentro della Politica - con la P maiuscola - mentre noi stiamo qui a scazzarci sull'ultima uscita di Serracchiani o Di Maio.

DALL'ESPRESSO BLOG - PIOVONO RANE

Per ciò che mi riguarda sono parecchi anni che umilmente denuncio la strafottuta forbice sociale che si sta allargando,anche se con tutto il rispetto possibile qualsiasi manuale o trattato che ha riportato,sono tutti elementi molto importanti e interessanti,ma chi lo può cambiare il presente e soprattutto il futuro di m..a che più o meno tutti dovremo affrontare.

Globalizzazione,delocalizzazione,precarizzazione,e dulcis in fundo migrazioni epocali frutto di miseria indicibile o di guerre tra petrolio e religione,e con tutto ciò chi potrà essere nel cercare di modificare un casino del genere,quando non c'è quasi più lavoro degno di questo nome,ma soltanto alcuni privilegiati destinati a diventare un numero sempre più ristretto.

E la curiosità più stimolante,si fa per dire,sarà di prendere atto che quando un piccolissimo numero avrà la stragrande maggioranza della ricchezza del pianeta,la maggioranza numericamente rilevante,ovvero i miserabili,potranno vivere un nuovo medioevo e chissà quale odio coverà sotto la cenere,come sarà affascinante la convivenza tra le parti.

I.S.

iserentha,@yahoo.it

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