martedì 24 novembre 2015

E Renzi consigliò di taggare il Califfo










Il giorno in cui Renzi taggò il Califfo

di Alessandro Robecchi

«Io sono per taggare i terroristi». Pronunciata da Matteo Renzi sabato 21 novembre al “Digital day” di Torino, la frase non avrà forse diritto di cittadinanza tra i motti celebri del Nostro di Firenze. Insomma, non è esattamente un hashtag, né uno slogan, né precisamente un intento programmatico. Parrebbe una boutade buona per quei titoli che si leggono ogni tanto: «Lo Zingarelli contiene la parola supercazzola!», si gira pagina e si passa ad altro.
Ma bene. Premesso che chiunque vorrebbe “taggare” i terroristi, e poi magari pure arrestarli (quelli veri, però, non il povero Touil, catturato innocente tra le ovazioni di Presidente del Consiglio e del Ministro degli Interni, e poi scarcerato con tante scuse, taggato a vuoto, insomma), sarà consentita una nota semantica. “Taggare” appartiene a un linguaggio tecnico/giovanilistico, chiaro segno di adattamento dell’uomo all’ambiente. Ha detto “taggare” perché stava lì, ovvio. Avesse parlato alla Federcaccia avrebbe detto “impallinare”, perché il contenuto liquido, si sa, si adatta al contenitore. Ma c’è dell’altro.
C’è, dietro l’angolo, la sempiterna ansia di disintermediazione che necessita di costante semplificazione. E dunque “taggare” i terroristi, e magari, in un secondo tempo, “defolloware” gli stati che li finanziano e con cui facciamo buoni affari, intanto mettere un preferito alla retorica sul nostro “stile di vita” e “wazzappare” a voce il popolo impaurito. Tutto facile, tutto immediato, tutto filante e scivoloso sulla superficie, mai sotto.
Una neolingua che basta a se stessa, della quale si notano le parole (“Uh, ha detto taggare! Moderno!”) e si perde il senso: controllare meglio, controllare tutto. Intanto – come mostrano foto e documenti non smentibili – “postare” bombe all’Arabia Saudita che le usa per conflitti non approvati dall’Onu (in Yemen, per esempio). Ma questo appartiene già alla profondità ed è meglio non parlarne. Come dicono in tivù: il pubblico a casa non capirebbe (quel cretino del pubblico a casa).

DAL BLOG ALESSANDROROBECCHI.IT

Più che il caimano il rignanese d’hoc pare la versione riveduta e corretta dei personaggi che ha interpretato in parecchie versioni, il fu albertone nazionale del cinema.

Tutto sommato quelle canaglie sul grande schermo facevano ridere a denti stretti o perlomeno nella versione amara,con il potere che ha costui risulta un pericoloso cazzeggio,nel quale l’opinione pubblica si sta convincendo del meno peggio.

Ma una cosa è certa,il califfo e i suoi seguaci si stanno taggando addosso…

I.S.

iserentha@yaoo.it

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