domenica 24 maggio 2015

L'ipocrisia e l'opportunismo del "non passa lo straniero" quotidiano












Solo odiando gli altri (24 maggio)

di Alessandro Gilioli

Complice l'anniversario della Grande Guerra, c'è chi sta proponendo in questi giorni eventi e slogan di esaltazione di quella mattanza attualizzandone il ricordo in funzione anti immigrati.

Qui Meloni:
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Qui Salvini:
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Qui, con identico richiamo, il Tempo di Roma:
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La questione del neonazionalismo non è secondaria, in tempi di globalizzazione e di sovranità popolare piegata dalle decisioni di poteri esterni economici e tecnocratici. Anzi, è un fenomeno di grandissima attualità e non solo in Italia. Specie all'interno di una Ue che è diventata una cloaca di interessi molto lontani da quelli dei popoli che settant'anni fa si proponeva di rappresentare.

La Grande Guerra così fornisce, qui da noi, un appiglio storico a cui agganciare questi sentimenti: più che altro perché in qualche modo alla fine, in quell'occasione, ci sedemmo dalla parte dei vincitori.

Basterebbe tuttavia leggere un libro delle medie o vedersi un paio di film - chessò, Monicelli - per scoprire in pochissimo tempo quanto quel riferimento sia fuori luogo, dato che di quella strage voluta dai poteri economici di allora (e pagata dal sangue degli ultimi) ci si dovrebbe vergognare, più che esserne orgogliosi. Ma si sa che la memoria non è il nostro forte, e adesso è sufficiente ricontestualizzare un verso della canzoncina sul 24 maggio per trasformare quella sanguinosa menzogna in neoretorica per esorcizzare e strumentalizzare le paure del presente.

I nazionalismi del resto sono tornati di moda in tutta Europa, come si diceva. Il richiamo farlocco alla Prima Guerra Mondiale però, proprio per la sua estrema farloccheria, riporta a galla un problema tutto nostro, tutto italiano: quello di un'identità nazionale debole, fragile, recente e formatasi su pagine tutt'altro che entusiasmanti, dalla Crimea in poi.

È una fragilità che secondo diversi storici ci ha portati in passato al fascismo - proprio come tentativo di surrogare alla scarsa radicazione del nostro sentimento di patria con una sua vuota iperesaltazione - e non è un caso che tra gli anni Venti e Trenta i due Stati europei travolti dal fascismo fossero quelli di più recente unità, Italia e Germania.

Con la differenza che, dopo un lungo senso di colpa, la Germania ha poi ricostruito una sua più salda identità negli eventi dell'89-'90 (la "Deutsche Wiedervereinigung") e nel ritrovato ruolo di potenza economica, mentre noi non siamo stati neppure capaci di fondare le nostre nuove radici sulla memoria condivisa della Resistenza e della Liberazione. In compenso abbiamo avuto Tangentopoli e il grottesco ventennio di Berlusconi, che hanno ulteriormente ridotto la nostra autostima. Ricordate Ciampi, poveraccio, e la sua fissa per l'inno nazionale? Faceva sorridere, ma il suo esile tentativo almeno partiva dalla consapevolezza del problema, dalla coscienza della nostra identità di comunità debole che lui cercava, così, di rinsaldare un po'.

Ecco: in un contesto europeo e mondiale di rigurgiti nazionalisti, noi italiani siamo quindi i più fragili, i più a rischio. Perché non abbiamo un vero sentimento nazionale storicamente fondato, un'identità collettiva da noi stessi riconosciuta, un profondo senso del noi. Non per nulla tra i più accesi mentori del nazionalismo di oggi c'è il partito che fino a ieri con il tricolore "ci si puliva il culo" (testuale, scusate la trivialità della citazione) e che negava proprio l'Italia, immaginando un'identità ancora più priva di fondamenta come "la Padania".

E non per nulla, si sa, la bandiera nazionale da noi sventola solo per i Mondiali di calcio: e anche questo è un segno del nostro tenuissimo sentirci comunità.

Qui siamo, nel 2015. In un Paese che per provare a se stesso di esistere si attacca a una delle sue pagine più vergognose e lo fa attraverso gli esponenti che poc'anzi rigettavano l'unità nazionale: pensate come siamo messi bene.

Ma mi rendo conto che, seppur di poche righe, nell'era della ipersemplificazione questo post sia considerabile una supercazzola o, peggio, una pippa intellettuale. È più facile gridare "non passa lo straniero". Senza tuttavia capire che in Italia sputare sullo straniero e sputare sul tricolore sono le due facce della stessa medaglia - non a caso compiute dalle stesse persone.

Sono cioè figlie di un popolo che si guarda allo specchio e non si riconosce, non sa chi è.

E che quindi pensa di trovare se stesso solo odiando gli altri.

DALL'ESPRESSO BLOG - PIOVONO RANE

Personalmente ritengo la grande guerra come una mattanza indescrivibile,mio nonno affermò che vide ruscelli rossi di sangue al fronte contro gli austriaci,direi che il ricordo di quella non ultima mostruosità dovrebbe aiutare nel far riflettere la terribile condizione umana nello svolgimento della sopraffazione.

Sugli slogan politici che tornano utili nella meschinità della politica odierna,calerei il classico velo pietoso,poichè se c'è stato il sacrificio di milioni di vite nell'affermare il principio della democrazia contro la dittatura,penso che per moltissimi versi sia stato abbastanza inutile,altro che memoria corta direi che l'encefalogramma risulti piatto.

per eventuali notifiche - iserentha@yahoo.it

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