venerdì 29 maggio 2015

La società degli annunci vincenti











Sparala grossa e dopo festeggia, non importa se poi non succede

di Alessandro Robecchi

La vittoria non è questione di chi vince o chi perde, ma di chi la decreta e annuncia e celebra. Fu George Bush, obbedendo a certi dettami della propaganda, ad annunciare la vittoria in Iraq. “Mission accomplished”, disse sul ponte di una portaerei americana, era il maggio del 2003 e poi, sì, insomma, si è visto. Ma tant’è: la vittoria annunciata è già una vittoria. I media rilanciano ed enfatizzano, la voce corre, dopo un po’ risulta che hai vinto anche se hai pareggiato o perso malamente. E così, riportando tutto alle piccole dimensioni del nostro orticello, cominciano a diventare numerosi i casi in cui si è gridato al successo e il successo non c’era. Sono passate poche settimane dall’annuncio trionfale che l’Europa accoglieva finalmente le nostre richieste in tema di immigrazione, che la faccenda si sarebbe piano piano sistemata. La propaganda si prese il suo spazio e celebrò la vittoria. Poi, all’apparir del vero, tra paesi europei che si sfilavano lentamente dall’accordo, distinguo che diventavano veti, quote di migranti da redistribuire sul continente spalmate in più anni e altre varianti, la vittoria diventa un’altra cosa, molto simile al marameo. “Accordo-beffa”, titola il Corriere della Sera. Ma intanto lo champagne è stato stappato, la vittoria festeggiata, il giro di campo trionfale compiuto, prima che si sapesse il risultato.
Un altro caso di vittoria annunciata e propaganda festante riguarda gli F35. E’ uno degli argomenti ricorrenti della polemica a sinistra, visto che il problema del governo è reperire soldi e che ne spendiamo parecchi per comprare dei bombardieri (nemmeno perfettamente funzionanti, a leggere le cronache). Era il settembre scorso quando una mozione votata alla Camera vincolava il governo a dimezzare il piano d’acquisto. Da tredici miliardi a sei e mezzo, scrissero i giornali dell’epoca. La notizia fu celebrata con una certa enfasi: ecco che un argomento principe dei soliti gufi veniva smontato, e proprio grazie a una mozione presentata dal Pd. Lo stesso Renzi, in un comizio davanti agli ex- colleghi boys scout aveva tuonato contro gli F35, raccogliendo unanimi consensi. Una vittoria squillante. Ora, a leggere il Documento Programmatico Pluriennale del ministero della difesa, si scopre che non è dimezzato un bel niente, che i soldi per i bombardieri sono ancora tutti lì (dieci miliardi, completamento del piano nel 2027), che le promesse fatte e le vittorie celebrate (e persino una risoluzione votata alla Camera) stavano solo sulla carta. Da “truffa” a “imbroglio”, ognuno cerchi la parola adatta, ma resta il fatto che annunciare sonanti vittorie anche quando si perde quattro a zero, alla lunga, non pagherà. Ci sono innumerevoli esempi che coniugano propaganda e smemoratezza. Sul famoso piano di investimenti di Marchionne (20 miliardi) si spellarono le mani in tanti, e finì con l’azienda in fuga all’estero. Il piano Juncker che doveva riversare sull’Europa 300 miliardi di investimenti e ne mise sul tavolo 21, spalmati su più anni. Ogni volta si alzano le braccia al cielo e si grida hurrà, come quei ciclisti che festeggiano la tappa e già ringraziano la mamma e il massaggiatore mentre vengono fregati in volata sul traguardo. Ecco, la parola vittoria e la conseguente celebrazione non hanno nulla a che fare con il risultato: basta dire “ho vinto” ed è già vittoria. Poi, quando si capirà che non era una vittoria per niente, si sarà un po’ vaghi, immemori, distratti da nuovi annunci di nuove roboanti vittorie.

DA ALESSANDROROBECCHI.IT

Fortunatamente esiste il web,certi giornali,pochi,e soprattutto pochi informatori,poichè le vittorie annunciate sono un successo eccome,quando la fanfara le celebra il paese ascolta e applaude,tutto il resto rimane di nicchia.

In questo momento epocale ad esempio la storia della guerra in Vietnam verrebbe fatta passare diversamente,sarebbe dura,ma ce la farebbero anche in quel caso,non andò così perchè i media non erano ancora affinati ad un ruolo così tecnico e i movimenti di protesta la celebrarono,una differenza non da poco dal meccanismo parecchio oliato dei nostri giorni

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