martedì 24 febbraio 2015

Europa di seria A e di serie B

















O la democrazia o l'euro

di Alessandro Gilioli

Il successo o l'insuccesso di Tsipras viene seguito in Italia con il consueto atteggiamento da curva sud, specie (ma non solo) da parte di quanti si augurano un suo fallimento, un suo "tradimento", quindi una spaccatura di Syriza con il suo conseguente tracollo: e magari il ritorno alla vecchia e corrotta coalizione centrodestra-centrosinistra che ha portato quel paese nella palta in cui si trova.

Tuttavia fra quelli che pronosticano un flop del nuovo governo di Atene non ci sono solo i nostalgici dell'establishment, ma anche gli antieuro, la cui tesi è che Tsipras può solo fallire se resta nei vincoli della moneta unica.

È questa ad esempio la tesi del più noto antieuro italiano, Alberto Bagnai, che ne scrive oggi sul "Fatto". Anche se per assurdo la Grecia avesse ottenuto tutto quello che chiedeva, dice Bagnai, nel giro di poco tempo «si sarebbe trovata alla casella di partenza: senza aggiustamento di cambio, qualsiasi aumento di reddito si sarebbe rivolto a prodotti esteri; l'aumento delle importazioni avrebbe mandato in rosso la bilancia dei pagamenti imponendo il ricorso al debito per pagare i fornitori esteri». Continua Bagnai: «Il problema greco è e resta la rigidità del cambio, implicita nella moneta unica».

La tesi di Bagnai è semplice e tutto sommato "tecnica". Quella che invece emerge dal giro di pareri sulla Grecia proposto oggi sul "Foglio" è ancora più allarmante. Dice ad esempio Michele Salvati, economista non certo contro l'euro e già deputato del Pd: «Le politiche proposte da Syriza sarebbero pure fattibili, ma fuori dall'euro»; infatti il dominio della Germania «pone di fronte a un quesito difficilissimo quei partiti che per andare al governo giurano fedeltà alla moneta unica ma promettono politiche che si scontrano con quell'impostazione dominante».

In altre parole, dice Salvati, se stai nell'euro devi obbedire alle imposizioni della Germania ed è quasi impossibile fare diversamente.

Una conclusione simile è quella a cui arriva, sempre intervistato dal "Foglio", anche Stefano Fassina: «Se la Grecia intende rifiutare le politiche mercantilistiche e di svalutazione del lavoro scolpite delle regole comunitarie - che a loro volta sono frutto di equilibri politici ben precisi - la Grecia non ha alternative a quella di uscire dall'euro».

La questione, ne converrete, trascende Atene. E apre un dibattito che potrebbe riguardare presto tutta l'Europa, a partire dal suo Sud ma non solo: è possibile la democrazia, restando nell'euro? Cioè c'è la possibilità di realizzare le scelte politiche per le quali la maggioranza si è espressa nelle urne? Oppure la delega di potere che avviene dentro la moneta unica è così ampia e stringente da non consentire ai governi eletti scelte diverse da quella che vengono loro imposte da fuori, dal mix di banche centrali e potenze economiche straniere?

Guardate che non è una domandina da poco. Perché se la risposta fosse che le "democrazie nazionali" non contano più nulla o quasi - dentro la moneta unica - gli scenari che ne conseguono non sono molti: o l'implosione dell'euro o l'accettazione della fine delle democrazie nazionali. Certo, ce ne sarebbe anche una terza: un'unione politica vera e democratica, cioè un'Europa in cui non ci sono più stati ma solo regioni, pertanto totalmente solidale perché nessuna federazione fa mai fallire una sua regione. Ma questo al momento è solo un bel sogno.

Leggo in queste ore le ipotesi di riforma che il governo greco vuole proporre all'Europa: il paginone che ne ha fatto Andrea Nicastro sul Corriere riporta tutte cose molto giuste, dalla lotta alla corruzione alle tasse sull'oligarchia degli armatori, dall'imposta sugli immobili oltre i 300 mila euro di valore a quella sugli affari in nero dei petrolieri e così via.

Vedremo - e speriamo. Ma qui si sta camminando su una sottilissima lama: se quelli non ce la fanno - a trovare una quadra tra rappresentanza democratica e imposizioni dell'euro - una delle due cose è defunta: o la democrazia o l'euro. E non solo in Grecia.

Sarebbero grossi cazzi per tutti, se mi si perdona il vernacolismo.

DALL'ESPRESSO BLOG - PIOVONO RANE

Va benissimo il "francesismo" che ha inserito in ultima analisi,sono e di parecchio azzi nostri,le economie del sud Europa sono piu' deboli dal resto del continente,ci vorrebbe piu' tempo per raddrizzare debiti,statalismo,etc,etc.

Le ricette che hanno tirato fuori dal cilindro in Grecia,appaiono momentanee,essendo sul versante patrimoniale,nel tassare i contribuenti piu' ricchi,e la lotta all'evasione e al contrabbando,ma la Grecia ha una risibile industria e chissa' se potra' vivere con l'euro solo di commercio,ma questi particolari nell'area euro lo sapevano anche i muri.

Non sono un economista,e sono dell'idea che l'Europa avrebbe dovuto organizzarsi sul doppio binario,aver messo tutti sullo stesso piano,equivale a mettere insieme in un condominio famiglie facoltose e piu' povere,ed e' facile comprendere come questo non sia possibile,il riflesso ormai visibile a tutti,e' l'impoverimento macroscopico della maggior parte di questi popoli,lo sfratto in altra sede tra poveri e ricchi si sta materializzando.

per eventuali notifiche - iserentha@yahoo.it

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