domenica 16 novembre 2014

Jobs act or not jobs act,this is the problem


















#Italiastaiserena

di Alessandro Gilioli

Il ministro del lavoro Giuliano Poletti – peraltro uno degli esponenti di questo governo non ascrivibile alla compagnia dei lanzichenecchi renziani – oggi su Repubblica rilascia una lunga intervista in cui tra l’altro sostiene che «non vi sono ragioni valide a spiegare il conflitto che si è instaurato nelle piazze».

Il messaggio, come si evince dal contesto dell’intervista, è indirizzato a Maurizio Landini, accusato di contestare un po’ troppo il Jobs Act e più in generale l’esecutivo.

A mio avviso la proposizione di Poletti, nell’Italia del 2014, è di grave lontananza dalla realtà.

Sbagliato, a mio avviso, è pure il destinatario. Credo proprio che la Fiom, così come il Movimento 5 Stelle, in questa fase andrebbero invece ringraziati per la loro stessa esistenza da tutti coloro che hanno a cuore la tranquillità nelle città e il confronto pacifico nel Paese (avversari compresi sia di Landini sia di Grillo): proprio perché entrambi sono tra i pochissimi a svolgere ancora, bene o male, il ruolo di rappresentanza democratica e non eversiva di opposizione sociale e politica.

Contrapporsi a Fiom e M5S sui contenuti politici, per i loro eventuali errori, è del tutto lecito – ci mancherebbe – in democrazia.

Quello a cui tuttavia abbiamo assistito negli ultimi otto-nove mesi è stato qualcosa di più: è stata proprio una lapidazione sbeffeggiante e arrogante dell’opposizione democratica e sociale da parte degli hooligans di Palazzo Chigi. E qui non sto più parlando di Poletti, come detto, ma di molti altri, a iniziare dallo stesso presidente del Consiglio. Tra i primi altri nomi che mi vengono in mente, quelli di Pina Picierno, Debora Serracchiani e Davide Serra; tralascio la pur nutrita artiglieria minore chiamata Pdcommunity che in questi mesi si è diffusamente esercitata al tiro al bersaglio sui social tutto indirizzato contro la sinistra, il M5S e il sindacato, rimanendo per contro cerimoniosa o silente verso i soci del Patto del Nazareno.

Conosco bene l’obiezione, e cioè che questo linguaggio aggressivo, minaccioso, beffardo e spesso triviale ha costituito la cifra distintiva proprio di Beppe Grillo.

L’argomentazione è fondata. Tuttavia faccio presente che è buona prassi, in democrazia, che all’opposizione (quale che essa sia) venga concessa un’ampia dose di impetuosità in più, in quanto forza controllante; mentre al governo, in quanto Potere da controllare, è richiesto un maggior rispetto verso la minoranza e un’attenzione rivolta soprattutto alla difesa argomentata dei suoi atti, non all’aggressione dell’opposizione. Un po’ come avviene o dovrebbe avvenire nella dinamica giornalista-ministro: se un giornalista scrive che un ministro evade le tasse, il compito del ministro è dimostrare che invece non le evade, non quello di attaccare il giornalista perché una volta ha rubato un disco in un negozio (e qui tralascio come questa grammatica di base della democrazia sia stata distorta da vent’anni di berlusconismo e di conflitto d’interesse, tracimando cognitivamente ben oltre i berlusconiani).

Inoltre, la tesi secondo cui Renzi e i suoi hanno il diritto a comportarsi con l’opposizione da ultras perché così faceva e fa Grillo non sta in piedi anche per un motivo più pragmatico, che è quello a cui accennavo all’inizio di questo pallosissimo post.

E cioè che il risultato di questa delegittimazione procurerà forse un discreto successo ai suoi autori nell’indebolimento dei soggetti nel mirino (nel caso, sindacato e M5S), ma produrrà anche un travaso di opposizione sociale verso altri elementi che non auguro a nessuno di avere come protagonisti forti della politica: non solo la “Lega Nazionale” di Salvini che oggi Ilvo Diamanti dà già oltre il 10 cento, ma anche e soprattutto verso il fiorire di associazioni locali e comitati rabbiosi che sono composti per lo più da ceto medio proletarizzato, da persone che non avvertono di essere rappresentate da alcuna forza politica o sindacale, che sono quasi sempre analfabeti della democrazia e che – a dispetto di quanto pensa Poletti – hanno invece spesso diverse “ragioni valide” per instaurare il conflitto: ragioni che si chiamano crisi economica, disoccupazione, scarsissima fiducia nel futuro, prosciugamento dei risparmi, quindi appunto proletarizzazione; tutti elementi a cui va aggiunta, decisamente, una acuita concorrenza all’interno un welfare sempre più ristretto anche grazie ai continui tagli dei governi agli enti locali, da Tremonti a Renzi stesso.

Ah, a proposito. Io vivo in un quartiere di Roma multietnico ma non periferico e, sostanzialmente, ancora pacifico.

Tuttavia parlo, parlo molto con tutti, usando allo scopo soprattutto quell’ora in cui mia figlia corre tra lo scivolo e l’altalena dei giardinetti, vuoi di via Carlo Felice vuoi di piazza Vittorio. Beh, mentirei se dicessi che la tensione non è cresciuta anche qui, e parecchio. E, al netto di qualche individuo di idee razziste che pure esiste, il problema di fondo che mi pare registrare è proprio l’accresciuta concorrenza nei minori servizi di welfare e nelle possibilità di sopravvivenza. Nulla di nuovo, s’intende, ma nuova è forse la misura in cui questo avviene, quindi maggiori sono le contrapposizioni. Sto riferendomi alle code per un esame negli ospedali e per un posto negli asili nido, è ovvio. O, semplicemente, per il carnaio sugli autobus – e non parliamo nemmeno delle case popolari. Ma non sottovaluterei neanche quella specie di dumping che la liberalizzazione degli orari dei negozi ha causato, ad esempio, tra italiani e cinesi (ma ultimamente anche bangladeshi): avendo questi gruppi asiatici una struttura organizzativa allargata che consente loro aperture 7-24 impossibili o quasi per un commerciante italiano. A proposito, credo che tutti sappiate che molti cinesi – almeno quelli qui sotto, quelli che conosco io – talvolta non hanno bisogno di rivolgersi a una banca per aprire un esercizio commerciale, avendo efficaci sistemi di credito informali interni alla loro comunità. Non male, come differenza d’opportunità, in un periodo di stretta creditizia.

Forse l’ho fatta lunga, e me ne scuso. E so che ho messo insieme molte cose, anche troppo diverse. Ma in questo Paese sfilacciatissimo, e che mi fa pure un po’ paura, se anche il meno rozzo tra i ministri «non vede le ragioni valide a spiegare i conflitti», e per questo se la prende con Landini, ecco, non è che ci aiuti a stare più sereni.

DAL BLOG L'ESPRESSO PIOVONO RANE

Il post parecchio articolato non può che essere condiviso integralmente,assolutamente d’accordo con il multietnico sono anni che si va verso questa direzione,però toccherà inserire un numero chiuso sul fenomeno dell’immigrazione,il paese è in terapia intensiva e la parabola discendente non è ancora finita,se si vuole evitare un conflitto sociale sempre più aspro è necessario essere più severi,inoltre più si andrà avanti di questo passo,e più si regaleranno consensi alla neo lega lepeniana.

Per ciò che riguarda le politiche dell’esecutivo a braccetto con il pregiudicato,le piazze,i lavoratori stanno dando il loro giudizio,se andranno avanti rigidamente come fonzie ha fatto intendere continueremo la lotta,e gli va di lusso,essendo questo movimento fondamentalmente democratico.

Inserisco qui l’ultima dichiarazione di Civati,parrebbe finalmente che si sta materializzando lo strappo con i neodemocristiani del Pd,ma c’è ancora parecchia foschia nelle sue parole.

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