venerdì 25 ottobre 2013

Amarcord:Enzo Biagi intervista Tommaso Buscetta




Buscetta “La mafia ha sconfitto lo Stato”

DAI PRIMI CRIMINI, “A 15 ANNI HO INIZIATO A CONTRABBANDARE BENZINA” A L L’AMMISSIONE DEI DELITTI: ASCESA E DECLINO DEL BOSS DEI DUE MONDI L’ARRESTO E LA DECISIONE DI COLLABORARE CON I GIUDICI DI PALERMO A CUI PERMISE DI RICOSTRUIRE LA STRUTTURA E IL SISTEMA DEI CLAN

di Enzo Biagi

Tommaso Buscetta, questa mafia giusta e onorata cos’era per lei?

In verità io non ho mai creduto in Cosa Nostra.

Lei non ci avrà mai creduto ma ci è entrato.

Sì, ci sono entrato, l’ho conosciuta benissimo, ci ho lavorato.

Quando ha sentito pronunciare per la prima volta la parola mafia?

A 15 anni.


A Palermo si avvertiva questa presenza? In casa sua se ne parlava?

No. I miei familiari non avevano a che fare con la mafia, tutti lavoravano. A 15 anni, con l’arrivo degli americani ho cominciato a contrabbandare benzina, così ho conosciuto i primi malfattori della mia vita. In quell’ambiente si parlava molto di mafia. Sono diventato mafioso a 17 anni.

Ci fu una cerimonia?

Sì, sono stato punto con un ago e il mio sangue è stato versato su una santina…

Cos’è una santina?

Una santa, un’immagine sacra di carta che io tenevo in mano a cui il padrino diede fuoco e mentre la santina bruciava nelle mie dita, io ho detto: “Le mie carni dovranno bruciare, come questa santina brucia la mia mano, se non manterrò il giuramento”.

Ho letto che come prova di coraggio, ad esempio, l’iniziato deve uccidere un cavallo.

Dottor Biagi avrà letto male, forse c’era scritto che l’iniziato doveva uccidere il padrone del cavallo.

La mafia che cos’è?

Una organizzazione contro la sopraffazione dello Stato, poi con il tempo si è deteriorata perché non è stato più necessario lottare contro lo Stato. Quando sono entrato in Cosa Nostra mi sono accorto che non era come la credevo. Ma dopo il giuramento non si può tornare indietro e allora ho fatto buon viso a cattivo gioco.

Chi è un uomo d’onore?

Quello vero è uno che non si può offendere, che non mente, amabile e cortese. Il mafioso può essere uno a dorso di mulo o un uomo che indossa una giacca da mille dollari, tutti e due sono distinguibili per la maniera di avvicinare il prossimo. Il mafioso cerca il contatto, la relazione perché da questa relazione scaturirà il futuro interesse. Il mafioso di una volta non doveva mai far vedere le armi, e all’interno della “famiglia” doveva regnare la pace.

Faccia un esempio.

Salvatore Greco era il mio ideale. Per scoprire che era mafioso c’hanno messo 40 anni.

Oggi invece?

Oggi gli obiettivi si raggiungono a suon di mitra. Salvatore Riina, Bernardo Brusca, basta vedere le loro facce, puzzano di marcio anche se si mettessero un litro di colonia. Aggiungo Liggio, Reina, Giuseppe Greco, Pippo Calò tutti questi si assomigliano, sono la feccia. Giuseppe Greco, mi ha raccontato Tano Badalamenti , ha sequestrato il figlio di Salvatore Inzerillo, il boss della “famiglia” di Passo di Rigano, prima di ammazzarlo gli ha tagliato il braccio destro, dicendogli: “Questo non ti servirà più per sparare a Riina”. Il giovane, che aveva 16 anni, aveva detto: “Chi ha ucciso mio padre è stato Riina e io, quando sarò grande, lo ucciderò”. Può esistere qualcosa di più abbietto?

Calò che figura è, che posto ha in Cosa Nostra?

Fa parte della commissione, la giuria dei big che prende le decisioni importanti: niente omicidi se non sono d’accordo, e non è, a mio parere, quello che dicono i giornali, il cassiere della mafia, questa è una carica che non esiste.

Lei è stato il padrino di Calò.

Aveva uno zio che era un “uomo d’onore”, faceva già, in qualche modo parte della “famiglia” di Porta Nuova. Fu il mio capo, Gaetano Filippone, a ordinarmelo altrimenti il padrino non lo avrei mai fatto. Calò mi ha fatto ammazzare mezza famiglia, tra cui due figli. Tutta questa feccia si assomiglia. Io sapevo dove stava il figlio di Liggio, il boss di Corleone, ma non sono andato ad ammazzarlo, perché lui non mi ha fatto niente, se potessi ammazzerei Liggio, in qualsiasi circostanza, anche in un tribunale.

Lei ha attribuito a Liggio gli omicidi dei giudici Scaglione e Terranova.

Sì. Anche nei confronti di Liggio la tradizione di Cosa Nostra è stata rispettata perché è stato assolto.

Perché Cosa Nostra elimina un magistrato?

Ho dato la risposta al dottor Falcone: “Perché stava per fare il suo lavoro veramente”. La mafia non solo uccide toglie anche la reputazione.

C’era in Cosa Nostra, un linguaggio convenzionale? Come davano l’ordine di uccidere uno? Lei ha mai ucciso?

Si.

Per vendetta?

No, per difesa.

Crede che si arriverà a svelare il terzo livello, quelli che sta su su?

Impossibile. Si tratta di gruppi di persone concatenate tra loro ma, come diremmo dei sommergibili, sono tanti compartimenti stagni, insuperabili. Nessuno sa dell’altro, o per lo meno, sono conoscenze vaghe, anche per i capi sommi. Io non sono disposto ad andare oltre con il discorso, la mafia non fa mai cose che possono essere provate.

Potrebbero essere i grandi politici?

Sì.

Nomi insospettabili?

Insospettabili, mentre su alcuni esiste già qualche indizio.

E la politica secondo lei è già stata toccata o è ancora da toccare?

Non me ne intendo di queste cose.

La mafia ha peso sul governo, sugli affari pubblici?

Non lo so.

Sembra quasi che lei abbia paura della politica.

Non della politica, dei politici, perché sono cattivi e sanno come difendersi. Quando il dottor Falcone mi ha chiesto i nomi dei politici gli ho risposto: “Decidiamo chi di noi due vuol morire prima”. Se già è un problema parlare di Cosa Nostra perché non ci sono prove, non esistono tessere, perché non esistono atti di notaio, dottor Biagi se già è una difficoltà parlare di mafia, immagini un po’ parlare di mafia e politica insieme.

È il mafioso che condiziona il politico, o è il politico che strumentalizza il mafioso?

Nel complesso direi che è il politico che si serve del mafioso.

Quelli che sono rimasti mafiosi potrebbero continuare a esercitare il loro potere se non avessero degli appoggi politici e certi politici avrebbero la stessa forza se non potessero

In Sicilia si votava rispettando dei canoni ben precisi: non importava se l’onorevole era fascista o democristiano, l’importante che fosse appoggiato dal capo di allora.

Perché non ha fatto i nomi: non sapeva o non voleva?

Dottor Biagi io agli inquirenti italiani ho raccontato fatti.

Tutti i fatti?

No, tutti no. Io non ho nulla da aggiungere a quello che ho già detto.

Lei non ha memoria, lei non ha saputo, lei non ha voluto.

Come non ho voluto, non ho saputo, io la memoria ce l’ho, solo che ci sono degli ingredienti che vanno mescolati al momento opportuno, non si può fare una torta con tutto contemporaneamente.

Ma se viene il momento lei mette qualcosa intorno oppure no?

Io ho sempre risposto a tutte le domande che mi sono state fatte.

Lei si considera un pentito?

Io non mi considero un pentito, non ho mai rinnegato di essere stato un mafioso.

E di esserlo ancora?

Alla mia maniera io lo sono ancora.

Buscetta, ha sempre messo nel conto la possibilità di morire?

Sempre. È un rischio che è cominciato con me. È un’eventualità che qualunque mafioso ha a portata di mano. Lo so che sono designato. Ma non ho timore, ho già vissuto abbastanza. La mafia arriva sempre.



L'intervista datata non aggiunge nulla alla storia ormai conosciuta,ma un particolare fuori da questo colloquio pare significativo,ovvero quando Buscetta fu ospite a casa Biagi,la moglie cucinò ma non volle sedersi al tavolo col mafioso,non ci riuscì proprio.

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