lunedì 5 agosto 2013

Federico Fellini di Enzo Biagi




Fellini: “I miei film esistono perché esiste la Donna”

MALINCONICO COME UN CAPRICORNO E LEGGERO COME UN ACQUARIO FELICEMENTE INCOSCIENTE SOLO SUL SET, TRA LUCI, ATTORI E TECNICI AVREBBE VOLUTO NASCERE QUANDO IL CINEMA NON ERA “ROBA PER INTELLETTUALI”

di Enzo Biagi

Federico Fellini per “La città delle donne” ne ha scelte mille: un campionario di sederi, di tette, di sguardi, di gambe. Gentili come fate, oppure inquietanti come maghe, tenere e perverse, vecchie e giovani, matte e fanatiche, bambine e maliarde. Marcello Mastroianni, Snaporaz, un maturo professore di mitologia greca, ripercorre la sua vita, ricordi, rimpianti e sogni: è il viaggio di un maschio italiano in un mondo incantato e cattivo delle femmine. Le ama, ma non potrà mai capirle. Vorrebbe conquistarle, e finisce sempre prigioniero. Ho visto girare qualche scena. La sequenza si svolgeva ai bordi di un aeroporto un po’ allucinante, con la pista segnata da fari di ogni colore, e ondate di nebbia artificiale, che sapeva di carne bruciata, rendevano ancora più vago il paesaggio; c’erano due vecchie auto cariche di ragazze punk, strampalate, che rabbrividivano, con le spalle nude nell’aria d’inverno, e inseguivano il povero Marcello Snaporaz ossessionato dalla languida e intollerante presenza muliebre. Sono stato in montaggio e ho visto circa un’ora di film: vi ho trovato dentro una felicità d’invenzione davvero geniale. Ci sono in quei fotogrammi tutte le nostre angosce e le nostre follie. Ho passato qualche ora a parlare con Fellini naturalmente di donne. Anzi: soprattutto.

Federico, sei mai stato felice?

Se per felicità si intende uno stato di pienezza, credo che questo possa essere solo temporaneo, provvisorio, intermittente. Ecco, il lavoro che faccio mi sembra che spesso si possa identificate con questo stato, vi riconosco la parte più autentica di me stesso. Ma quando questo avviene non ne hai mai coscienza, non te ne accorgi. Insomma, se sono impegnato nel mio lavoro, non vivo più a metà, diviso da frizioni, resistenze, paure, rifiuti. Smetto di osservarmi, di guardarmi, di giudicarmi. Guido, il regista di “Otto e 1/2”, facendo un brindisi nella sua fattoria, circondato dal suo harem, da tutte le donne che ha conosciuto, da tutte quelle che ha vagheggiato, dice: “La felicità sarebbe poter dire la verità senza far piangere nessuno”.

Come ricordi il primo amore?

Avevo dodici anni. Lei stava alla finestra del palazzo di fronte. Ci parlavamo con l’alfabeto muto attraverso i vetri, perché faceva freddo. Era una bella ragazzina, aveva quattro sorelle, apparivano faccette spiritose. Poi il fratello che mi fissava a lungo, e io guardavo anche lui. Mia madre, accorgendosi che passavo ore intere a fare smorfie, boccacce, una sera, mentre mangiavo il caffellatte in cucina sul panno pesante (mi piaceva moltissimo), mentre la donna di servizio stirava, all’improvviso disse: “Quella struscia”, che vuol dire: poco di buono, e io sono svenuto.

Credi che la sofferenza sia un elemento inseparabile dell’innamoramento?

Penso di sì. Innamorarsi vuol dire consegnare a un’altra creatura la parte più preziosa di te stesso. Il patimento c’è nei limiti in cui l’altro dispone di questo tuo aspetto segreto, quello più geloso, che conosci meno. Se lo maltratta, o lo tratta con disinvoltura, o lo impolvera, soffri.

Dicono che non ami le donne e adesso gli dedichi addirittura una città.

Io non avrei fatto neanche il cinema se non amassi perdutamente la donna. I miei film esistono perché esiste la donna e io mi sento da sempre abitato dall’immagine femminile.

Le femministe ti hanno attaccato. Nei tuoi film c'è stata spesso una Saraghina o una tabaccaia, creature a volte deformate, hanno seni enormi, coi quali potrebbero allattare interi reparti di maternità . Sarebbe un segno di disprezzo.

Io narro vicende nelle quali le figure principali sono maschili: spiego come vede le donne un italiano un po’ ridicolo e immaturo, che tutti, loro comprese, tengono in soggezione. La donna è la cosa che meno conosce: è sempre stato un tabù. O la vede idealizzata, la Madonna, Beatrice; o antropofaga, lussuriosa, dedita all’incesto. L’uomo sarà libero quando libererà anche la sua sposa, l’amica, l’amante, da queste definizioni riduttive e false; altrimenti resterà un suddito, anche politicamente. Il matrimonio dovrebbe essere la realizzazione, in un’unica persona, dei due sessi.

Che cos’è la donna?

Anche uno specchio, perché rappresenta la parte più oscura di te, perché è anche quello che noi abbiamo fatto di lei. Ne ho un rispetto profondo, la considero migliore, più innocente, più naturale, più vera, più vicina anche al senso religioso della vita e credo non abbia mai colpe.

Che cosa le chiedi?

Che sia donna, e basta.

Che cos’è la passione?

La passione è un grado di temperatura, l’identificazione totale con questa fase febbricitante, l’incapacità di controllarla, l’abbandonarsi completamente.

I tuoi svaghi, i tuoi piaceri?

Sono Capricorno, e da una pubblicazione ho scoperto che potrei essere anche Acquario. Mi riconosco alcune delle caratteristiche di tutti e due i segni. La tendenza del Capricorno alla solitudine, una certa malinconia, qualche volta persino la cupezza. L’Acquario invece viene descritto come leggero, volubile, curioso, fondamentalmente freddo. Tra questi due opposti è la prima costellazione quella che forse predomina: perfezionismo, costanza, pazienza fachiresca, da costruttori di dighe.

Il tuo ideale qual è: l’Anitona della “Dolce vita” che si butta nella Fontana di Trevi o la tenera Gradisca di “Amarcord”?

A me vanno bene tutte, mi incantano sempre. E qui rivelo una totale parentela col mostro Casanova, ma di fondo creativo: la donna è una specie di stimolo, una sollecitazione, un miraggio. Senza di lei non è possibile nessuna operazione. Io credo che la donna, la psiche femminile, esiste per affascinarci in tutte le sue forme.

Le femministe a questo punto si indignano, dicono che la donna esiste per se stessa, e non per
affascinare il signor Fellini o il suo amico Snaporaz.

Può darsi. Ma a me sembra di esistere per essere affascinato dalla donna. O comunque esisto meglio quando sono incantato dalle sue incarnazioni; sia quelle doviziose di forme calde, morbide, avvolgenti, sia tutte le altre.
Dal Werther in giù, c’è tutta una letteratura su chi si toglie la vita per le pene amorose.

Come mai si tratta quasi sempre di eroi forestieri?

L’italiano ha come salvezza il suo aspetto bambinesco che lo esclude da perché definitivi e assoluti. Forse è uno dei pochi aspetti del nostro infantilismo cronico.

Hai dei rimpianti?

L’educazione cattolica è una fabbrica di rimpianti perché è stata una fabbrica di divieti. Comunque, mi piacerebbe essere nato con venti, trent’anni d’anticipo; avrei potuto fare del cinema prima che venisse delimitato in una convenzione di spettacolo, prima che venisse intellettualizzato. Quando ancora poteva essere qualcosa di vagamente animistico, iniziatico, stregonesco, liberatorio, terapeutico in senso profondo; un modo di sperimentare la realtà, una dimensione della conoscenza, perché il cinema come tutte le altre manifestazioni della creatività dovrebbe essere uno stato di combustione, un metabolismo dell’inconscio, un itinerario verso il centro di noi stessi e del mondo.

Sentimentalmente sei cambiato, o ti ritrovi come da giovane? Disponibile, curioso, sorpreso?

Non è cambiato niente. È sempre lo stesso intontimento, la stessa fascinazione, lo stesso delirio, lo stesso stimolo alla fantasia, la stessa attesa. Non ho avuto nessuna evoluzione. Mi compiaccio. Bloccato alle prime emozioni, per sempre.

Col tempo che passa, come la vedrai? Il Casanova anziano nel tuo film balla con la sua bambola. E
tu? E noi?

Tu non stai forse ballando col tuo taccuino e con la tua biro? Il manichino sono le donne viste come creature inventate, come produzioni della fantasia, materializzazioni della creatività ritagliata in sinuosità femminili. Il grande seduttore cosa può fare, cosa gli può capitare di meglio che stringere fra le braccia la più sua, la più personale, una pupazza che ha creato lui, alla quale ha dato vita, un’anima. Questa è la risposta.

C’è qualche momento piacevole che ricordi?

Mi dispiace essere così limitato ma la prima cosa che mi viene in mente è come sempre legata a quel gioco meraviglioso che è per me il mio lavoro. Ad esempio: brevi soste che arrivano improvvise. Durante la lavorazione comincia a piovere, ci si ritrova in piccole cabine di plastica, col buio, si chiacchiera, o si sta in silenzio, in attesa. Un attimo di sospensione un po’ stralunata, in una minuscola astronave che galleggia in un’oscurità umida e scintillante.

Nelle commedie, nelle storie, c’è anche chi ama tre donne in una volta. È possibile?

Credo di sì. Dipende dalla ricchezza, dalla natura del protagonista. Ci sono monogami totali che vivono una sola avventura. Forse sono i più fortunati . In Don Giovanni c’è invece una disposizione alla dispersione, alle frantumazioni che lo facevano vivere in una specie di circuito galvanico che lo riproiettava reintegrandolo in una unitarietà da mosaico, e gli dava un equilibrio provvisorio, miracoloso e straziante.

Che cosa ti eccita di più, in senso fantastico, un paesaggio, una musica, una ragazza?

Quando dici fantastico ti riferisci al mio lavoro? Ci sono tantissime fasi nella realizzazione di un film: uno dei momenti più stimolanti è la scelta delle facce. Timide, sfrontate, aggressive, inerti, scomposte; anelli, borsette, pellicce, un cappello, gambe accavallate, una sigaretta succhiata con sfida, uno sguardo che ti spia, una risata improvvisa, tessere, parenti, messali pieni di fotografie spinti verso di te attraverso il tavolo, oppure trattenuti in gorgoglii di ansia, di paura. È così che il racconto comincia ad anticiparsi, a prendere vita. È la parte più magica, fatta di brevi frammenti, la più imprevedibile.

Dicono che l’italiano è incapace di amare fino in fondo.Fino a morire?

Questa visione romantica, questo svenamento, mi pare possa ispirare poeti, artisti, ma vissuto realmente mi sembra si traduca in un destino tragico, da mito greco. Non dimenticare che io sono sempre di Rimini.

Il caratteristico maschietto d'esportazione, il Casanova aggiornato, chi è? Mastroianni o Sordi?

Ogni Paese ha gli eroi che si merita. Sordi, Tognazzi, Mastroianni, Manfredi: Gassman non è italiano. Parlo, si capisce, di tavole esplicative: Tognazzi è il contadino avvinazzato, poi l’avidità di Sordi, neonato feroce, con la sfiducia totale negli altri, l’avarizia e il cinismo di Manfredi, il trepido risveglio, e subito precipita nel sonno, di Mastroianni, che rinvia ogni problema per sempre, restituiscono alla platea complicità orribili. Gassman è un nobile principe tedesco, nel cui sorriso c’è la malinconia del carcerato.

Se la donna è più forte come ti senti?

Ma lo è sempre più forte. E solo a queste condizioni stiamo bene con lei.

Qualche volta non ti fa un po’ di paura? Non ti mette addosso ansia od oppressione?

Ma ciò che mi affascina non deve avere anche un aspetto inquietante?

Sai essere amico, si può?

Un bagnino di Cattolica, persona molto rozza, ma che aveva salvato moltissimi bagnanti in procinto di annegare, diceva che l’amicizia appiattisce, fa scadere il mistero del rapporto e citava due versi di Goethe, in tedesco.

Adesso sei più disinvolto, più difeso?

Ma no. Anche se la professione che faccio mi ha appiccicato addosso un’immagine di comandante, di condottiero, di creatore di fortune, basta niente per farmi precipitare nelle ansie di quel giovanottino magro, allampanato, un po’ goffo, che si sentiva escluso da ogni competizione con gli altri, d’estate, al mare, sulla spiaggia. E anche d’inverno.

Come sogni l’ultimo incontro?

C’è un’ultima volta per tutte le cose, ma per fortuna non lo sappiamo quando ciò accade. Comunque non voglio immaginarlo, troppa fatica, e poi queste interviste non le pagate mai!

Qual è il tuo desiderio più vivo?

Cominciare un film, al più presto. È un limite grosso, ma è inutile che inventi altri ardori. È come fermare il tempo.

Hai dei rimorsi?

Come si fa a non averne? Ma anche in questo a volte si pecca di presunzione. Non ci penso mai. Lo capisco: Siamo di una generazione che ha salvato soltanto una cosa: il senso del provvisorio.



Leggendo attentamente l'intervista pare di calarsi effettivamente a qualche decennio fa,uomini e artisti d'altri tempi,fortunatamente per loro non hanno osservato lo scadimento dei nostri giorni,anche se Biagi ha vissuto un'anteprima sulla propria pelle.

&& S.I. &&

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