giovedì 18 luglio 2013

Le interviste di Enzo Biagi:Reder,Kappler,Kesserling




“Lei pensa che io sia un volgare assassino?”

MAGGIORE WALTER REDER, RESPONSABILE DELLA STRAGE DI MARZABOTTO COLONNELLO HERBERT KAPPLER, AUTORE DEL RAID ALLE ARDEATINE FELDMARESCIALLO ALBERT KESSELRING, CAPO DELLE TRUPPE IN ITALIA TRE UOMINI AI VERTICI DEL REGIME NAZISTA RACCONTANO LA NECESSITÀ DELLA GUERRA: “È INDEGNA DELL’UMANITÀ, MA ESISTE”

di Enzo Biagi

Ho incontrato il maggiore Walter Reder e il colonnello Herbert Kappler nel 1969 a Gaeta nel Forte Angioino. Sono nomi che ricordano tragedie, il primo la strage di Marzabotto, il secondo quella delle Fosse Ardeatine: civili, bambini, donne, anziani trucidati. Reder mi sembra enorme. Agita la manica vuota, in Ucraina una scheggia di un proiettile gli aveva staccato di netto l’avambraccio sinistro. È detenuto dal 1945. “Quelli che diedero gli ordini – esordisce Reder – il maresciallo Kesselring, il comandante della sedicesima divisione Granatieri Reichführer SS, generale Max Simon, condannati a morte, furono poi graziati...”.

WALTER REDER

Come iniziò la sua carriera militare?
Nel 1934 dall’Austria scappai in Germania per arruolarmi nelle SS: truppa, non polizia. Giurai fedeltà a Hitler, comandante supremo. A ventiquattro anni ero il più giovane comandante di compagnia.

Quale era la sua tattica di combattimento?

Non far pensare. “Caramba, caracho ein whisky” era il mio grido per tirarmi dietro il plotone. Certe volte siamo saltati in una trincea così rapidamente che gli avversari non hanno trovato neppure il tempo di sparare.

Signor Reder, vogliamo parlare di Marzabotto?

Arrivai in Emilia il 26 settembre 1944. Il giorno dopo fui convocato alla Divisione, mi sottoposero un piano. Dissero che c’erano dei partigiani da eliminare. Comandava il generale Simon che era alla testa dell'Armata. Io non avevo mai sentito nominare né il capo dei partigiani “Lupo”, né il paese di Marzabotto.

Cosa accadde quel giorno?

Era il 29 settembre, un venerdì, e tutto cominciò verso le 6. Albeggiava, il tempo era brutto, e ogni cosa è grigia nel mio ricordo. Verso le 10, al mio comando arrivarono il generale Simon e il maggiore Loos; nel settore assegnatomi le truppe incontravano la più forte resistenza. Si vedevano i primi fuochi. Loos iniziò l'interrogatorio dei prigionieri, i miei ne avevano catturato una diecina. La lotta era dura. Ho avuto ventiquattro morti e una quarantina di feriti. Nel pomeriggio ho mandato il mio aiutante in seconda sulle colline, per vedere quello che stava accadendo, è tornato con la spallina di una divisa, c'era sopra una stella rossa, l'abbiamo mostrata a un partigiano che l'ha riconosciuta: "È del Lupo". Il comandante della brigata ribelle era caduto sul campo.

Cosa accadde nei giorni successivi?

C'era da ripulire il terreno da sparuti gruppi di sbandati, ma al mattino ricevetti l'ordine di ritirare subito i reparti e di trasferirmi a Lagaro per combattere gli americani. Ho messo piede a Marzabotto soltanto la sera del 4 ottobre. Il paese era intatto. Arrivai a Cerpiano, un villaggio, il 5 mattina. Solo allora ho visto che la chiesa e le case di Casaglia erano bruciate.

Nessuno dei suoi aiutanti le ha mai parlato di quei caduti, di quella gente, contadini, vecchi, preti, ragazzi?

Per soldati che fanno da quattro anni la guerra i morti sono naturali. Questa è la guerra e questi sono i suoi brutti frutti. Ci sono momenti in cui uno può perdere la testa. Mi sento responsabile per i miei uomini, per me no. Non sono colpevole. Ho saputo dopo, da prigioniero, che i morti di Marzabotto erano in gran parte civili. I caduti nel mio settore erano circa 300. Per me non si trattava di una rappresaglia, ma di un'operazione militare.

Lei pensa che io sia un volgare assassino?

Io credo anche alla responsabilità di chi permette che altri uccidano, come fu a Marzabotto. Ma non sono il suo giudice.

Reder nel 1984 scrisse una lettera dedicata a tutti i cittadini di Marzabotto dove chiedeva scusa. Il Tribunale di Bari riconobbe nel maggiore un “sincero ravvedimento”. Nel gennaio 1985 il maggiore uscì dal carcere di Gaeta, libero per sempre. Si trasferì a Vienna dove fu accolto anche dalle autorità con tutti gli onori militari. Poco dopo ritirò le scuse al popolo italiano motivandole come “opportunismo politico”. Morì nel 1991.

HERBERT KAPPLER

Il colonnello Herbert Kappler sta a muro con Reder, ma i due non si frequentano. Possiede due piccoli acquari, e una scansia con qualche volume, cura alcune pianticelle. Molto del suo tempo lo dedica ai bambini: “Per quelli spastici, immobilizzati negli arti ho inventato delle macchine perché imparino a leggere. Mi dà una certa soddisfazione non sentirmi del tutto inutile”. Il suo nome ricorda l’infamia delle Fosse Ardeatine: 335 le vittime tra civili e militari .

Colonnello Kappler qualcuno ha detto: “Il destino di un uomo è il suo carattere”.

Non mi sono mai ribellato alla mia sorte. Sono grato a Dio che mi ha permesso di maturarmi. Ognuno è più completo, se riesce con l'età a guardare dentro di sé. Non mi considero innocente in senso religioso e morale. Sull'aspetto legale, invece, avrei da discutere. Le leggi di guerra sono, di per sé, disumane e crudeli, la guerra è feroce, è indegna dell'umanità, ma esiste.

Lei sapeva di essere tanto odiato?

Sì. Ero un avversario, e più volte hanno attentato alla mia vita. Io stesso ho smontato un ordigno destinato a farmi saltare. Io sapevo chi dovevo eliminare. Kesselring, al momento dello sbarco alleato, era stato chiaro: “Lei – mi avvertì – risponde con la sua testa di ciò che accadrà alle spalle dei combattenti di Anzio e di Nettuno.

In che cosa consisteva il fascino di Hitler, la sua capacità di suggestionare?

Aveva qualcosa di sinistro e di buono. La definirei, oggi, un'attrazione quasi demoniaca.
Ci sono trentasei ore della sua vita che hanno
deciso di tutto.
Non auguro al peggiore nemico, al nemico più odiato, di trovarsi nella mia situazione.

Che cosa le fa compagnia, che cosa l'aiuta a sopportare?

Mia madre, una volta, mi disse: “Perché non tieni qualche piccolo animale? Ti sentiresti meno solo”. Un’amica mi ha regalato un piccolo acquario, e io ho imparato ad allevare piccoli pesci, non fameliche murene, come hanno detto. Senza di loro mi mancherebbe il contatto con la natura; in senso psicologico, è come se facessi una passeggiata nel bosco.
Il 15 agosto 1977 il colonnello, aiutato dalla moglie che lo nascose in una grande valigia (Kappler pesava circa cinquanta chili per colpa della malattia che poi lo portò alla morte), fuggi dall’ospedale militare del Celio, dove era ricoverato da diverso tempo. Kappler riuscì a raggiungere la Germania e si stabilì nella casa della moglie; lì, senza problemi, nonostante fosse considerato un ricercato, ricevette amici, ammiratori e rilasciò diverse interviste. Morì libero nel febbraio 1978.

ALBERT KESSELRING

Ho incontrato il feldmaresciallo Albert Kesselring nel 1959, poco prima della sua morte avvenuta l’anno dopo, aveva 75 anni. Nel ‘47 era stato condannato alla pena capitale dal Tribunale militare britannico istituito a Venezia. L’accusa: criminale di guerra per il massacro delle Fosse Ardeatine. La pena gli fu commutata in carcere a vita, infine, in vent’anni di reclusione. Era stato comandante sul fronte del Mediterraneo e nel 1943 coordinò le truppe tedesche in Italia. “Ho ancora molta simpatia per il vostro popolo” dice il maresciallo “sono anzi contento di aver potuto condurre una guerra in Italia. Così ho conosciuto la bellezza della vostra terra, della vostra arte.
Che ne dice di quella sentenza di condanna a morte emessa a Venezia?

Un grande errore giudiziario.

Che ne pensa degli americani?

Quando cominciarono la guerra non valevano niente, poi si sono fatti. All'inizio era come prendersela con dei ragazzini.

E che ne dice di Hitler?

Una mente strategica, era lui che tracciava i piani delle battaglie. Io sono bavarese e lui aveva vissuto a lungo dalle mie parti; ci capivamo, perché anch'io, al momento opportuno, sapevo battere i pugni. Hitler dimostrava per me una sollecitudine e un riguardo davvero commoventi. Di personaggi come Hitler e Mussolini ne nascono ogni tanto.

Dei suoi delitti?

Non tutte le colpe furono sue. Era circondato da cattivi consiglieri.

Anche Mussolini era una mente strategica?

No, aveva un eccezionale senso politico, ma poche attitudini militari.

Signor maresciallo, che ne pensa della storia di Marzabotto, di questa brutta storia?

Un'operazione bellica. Il maggiore Reder doveva ripulire la zona, occupata dai partigiani. Ha adoperato, naturalmente, cannoni e mitragliatrici, e ci ha rimesso, purtroppo, anche la popolazione.

Duemila morti sono tanti, duemila civili, tra cui tanti bambini, distribuiti fra sette o otto villaggi falciati con raffiche di mitra anche dentro le chiese, sono tanti.

Sotto le bombe sono morte anche tante donne tedesche, e tanti bambini tedeschi. I reparti d'assalto possono compiere degli eccessi, essi hanno il dovere di vincere.

Le auguro che Dio le conceda giorni sereni,notti serene.

Dio può tutto.Qualcuno ha detto: “Il sangue della storia asciuga in fretta”. Già: e il ricordo delle vittime rimane in qualche lapide e nel cuore di coloro che le amavano.



Pare che non sia stato difficile convivere con la propria coscienza per questi criminali di guerra,ma se esiste una giustizia divina faccia pure il suo corso!

&& S.I.&&

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