lunedì 22 aprile 2013

Napolitano bis:E finalmente le fotocopie mediatiche si sfogarono




La Domenica delle Salme

di Marco Travaglio

Ieri, senza il Fatto (e in parte il manifesto), le edicole avrebbero potuto tranquillamente restare chiuse. Perchè ieri non sono usciti i giornali. È uscito il Giornale Unico, formula già sperimentata con successo alla nascita del governo Monti, altro Salvatore della Patria, fra l'altro molto sobrio. Anche stavolta stessi titoli, stessi commenti, stessi soffietti, stesse pompe, stessa cassa di risonanza alle parole d'ordine del Potere Unico che l'altroieri s'è trincerato dietro il suo ultimo, traballante scudo umano: Giorgio Napolitano, che tutti i quotidiani - mentre si affrettano ad assicurare che non c'è golpe, non c'è forzatura costituzionale - chiamano senz'alcuna ironia “Re Giorgio” o “Re Giorgio II” e descrivono come il capo di una Repubblica presidenziale o come il sovrano di una monarchia assoluta. L'uomo, anzi l'Uomo che oggi esporrà al Parlamento “il suo programma”, poi ci darà “il suo governo”, con i “suoi ministri”, ci farà sapere quanto intende restare in carica, e quanto durerà l'esecutivo, e cosa dovrà fare o non fare, e da chi dovrà essere composto e appoggiato, e come la stampa dovrà chiamarlo (nel primo monito del secondo settennato, il Riecco-lo ha già avvertito che non tollererà parole come “inciucio”, del che la Stampa Unica ha subito preso buona nota). E se qualche partito si azzarderà a dissentire verrà zittito con la doppia minaccia dello scioglimento delle Camere e delle sue dimissioni (anzi, della sua abdicazione). Breve viaggio nella stampa corazziera della Domenica delle Salme, primo giorno dell'anno I all'Era Napolitana.
Il Corazziere della Sera. Viva soddisfazione trapela dal Colle per la prima pagina del Corriere, che titola “Napolitano rieletto chiede responsabilità” (in encomiabile sintonia con la Repubblica che titola “Napolitano bis: ora più responsabilità”). Ecco: è caldamente consigliato l'uso di sostantivi quali “responsabilità”, ma anche “speranza”, che campeggia in cima all'editoriale del molto ambasciatore Sergio Romano (“Un gesto, una speranza”): “Con un notevole sacrificio personale il presidente ha accolto un invito” eccetera “e ha messo ancora una volta se stesso al servizio del Paese. I grandi elettori gliene sono grati”, quelli piccoli un po' meno, ma pazienza, mica si può avere tutto.

E ora “abbiamo qualche motivo per sperare che questa novità istituzionale sia il colpo di schiena di cui il Paese aveva bisogno per scuotersi di dosso il pessimismo”. Ma certo, come no: la sferzata di ottimismo di un presidente coetaneo di Mugabe già elettrizza il Paese dall’Alpi a Scilla. “Napolitano con il suo gesto incoraggia gli italiani a credere in sé stessi e nelle istituzioni”. Ivi compresi i cronicari, i reparti di geriatria e le università della terza età. Romano non ha dubbi: ci salverà l'inciucio, che lui – secondo le nuove direttive – chiama pudicamente “sforzo collegiale”. Grande compiacimento si esprime sull'ermo Colle per il costituzionalista Michele Ainis, che ha sempre una giustificazione per tutto e il suo contrario: riconfermare un presidente è “inopportuno”, ma solo “in passato”. “C'è un tempo della regola e c'è un tempo per l'eccezione”, e guardacaso quel tempo è proprio ora. Infatti “i bambini hanno chiesto soccorso al vecchio padre, che già pregustava il buen retiro”. I “bambini”, per la cronaca, sono B. (77 anni), Bersani (62) e Monti (70). Dal Quirinale si raccomanda vivamente anche l'articolo del sempre frizzante Aldo Cazzullo, che s'incarica di bastonare, con l'ausilio del sempre arzillo Macaluso, l'infame Rodotà per il suo grave atto di insubordinazione e lesa maestà: “Poteva attendersi un suo gesto di cortesia – il ritiro della candidatura - che non c'è stato”. Ce n’è anche per Barca: con un “atteggiamento ancor più sorprendente” s'è addirittura schierato con Rodotà, impedendo a King George il meritato en plein di 1005 voti su 1005. Una spina in più nel Sacro Cuore dell'anziano monarca, cui già “non han fatto piacere le immagini della contestazione di piazza, affollata di paradossali bandiere rosse”. Già scendere in piazza è un gesto sconsiderato; ma portarsi pure le bandiere rosse, e per giunta “paradossali”, è davvero imperdonabile. Ne conviene Pigi Battista, sinceramente affranto per questo riesplodere della piazza (luogo antidemocratico per antonomasia fin dall'Atene di Pericle): “la democrazia rappresentativa che ieri in piazza in grillini hanno voluto mettere sotto assedio è l'unica democrazia che possiamo apprezzare”. E pazienza se nessuno sa chi e che cosa rappresenti. L'unico titolo del Corriere distonico col doveroso omaggio a Sua Maestà è a pag. 33, reparto Cultura: “La svolta del Gattopardo”. Ma per fortuna riguarda esclusivamente Tomasi di Lampedusa.
La Ri-pubblica. Semplicemente magistrale - si fa notare nelle regie stanze – l'editoriale di Eugenio Scalfari, cui non basterà il laticlavio, ma si imporranno anche il Cavalierato dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro nonché il Collare della SS. Annunziata. Scevro da risentimenti per le bugie rifilategli per mesi dal monarca sulla irriducibile refrattarietà alla riconferma sul trono e per lo stato di abbandono in cui fu lasciato alla reggia di Castelporziano in balia di un cinghialotto e un'upupa, l'amico Eugenio si produce un una sobria analisi a base di “respiri di sollievo”, di “gravoso fardello degli animi e della fatica fisica che quel ruolo richiede” e soprattutto di “governo di scopo” che dovrà seguire “le indicazioni di scopo (testuale, ndr) che il Capo dello Stato gli affiderà”, come previsto dallo Statuto Albertino. Ottima e abbondante la bastonatura all'infido Rodotà, che intanto “non ha contattato” lo Scalfari prima di accettare la candidatura. Par di vederlo, il Fondatore, macerarsi insonne sul canapè: “Ma perchè Stefano non telefona? Ma quando telefona ? Eddai, solo una chiamatina...”. Invece niente. Peccato, perchè “gli avrei detto che non capisco perchè una persona delle sue idee e della sua formazione politica, giuridica e culturale, potesse diventare candidato grillino” (doveva attendere la sinistra, che però, essendo lui di sinistra, non l'avrebbe mai candidato). Da Repubblica si apprende poi con vivo disappunto che “salterà stavolta il passaggio delle consegne fra vecchio e nuovo inquilino del Colle”. E perchè mai? Sarebbe bello vedere il Presidente che, allo specchio, si infila la corona tempestata di nastri e bobine sul capino implume. Gli aiutanti di campo provvedano senza indugio.
La Ri-Stampa. A proposito di diademi, la Real Casa fa sapere di aver adorato la corona di titoli che su La Stampa circondano le sue stentoree effigie: “Lo storico bis di Napolitano”, “Le riforme per ritrovare credibilità”, “Doppia sfida per destra e sinistra”, “Ora un premier di 'ricostruzione'”, “L'appello dei governatori fa breccia nei no del Presidente”, ”L'agenda della Terza Repubblica”, “Ma la piazza non è il popolo” (un postaccio, signora mia). Sentiti ringraziamenti anche per la mancata citazione di quanto lui stesso aveva giurato a La Stampa domenica scorsa: “Non mi convinceranno a restare” perchè la rielezione “sarebbe una soluzione pasticciata, all'italiana, ai limiti del ridicolo”. Sarebbe stato un impietoso autoritratto.
Il Trombettiero. Su quello che fu il Messaggero, il direttore Virman Cusenza si produce in un editoriale in chiaroscuro, problematico, a tratti tagliente sull’estremo “sacrificio”, “la garanzia di un presidente gentiluomo”, “garante riconosciuto da tutti e amato dagli italiani”, l’unico che “può far ripartire il Paese”. Segue un paragone dalla logica davvero stringente: “Non era mai successo che un Papa si dimettesse ma nemmeno che un presidente uscente fosse riconfermato”. Dal che qualcuno potrebbe dedurne che i due fatti fanno a pugni tra loro, visto che Ratzinger s'è dimesso a 86 anni e Napolitano s'è fatto rieleggere a 88. Ma cos'è mai la logica dinanzi al “protagonista di una sorta di rifondazione globale da avviare a tutti i livelli”? Al Suo cospetto anche il dizionario della lingua italiana si fa da parte, e consente licenze poetiche cusenziane come “rifiduciato” (participio passato dell’inesistente “rifiduciare”, derivante dallo sconosciuto “fiduciare”). Non manca, per la gioia del Colle, l'auspicata manganellata alla “piazza”, frutto della “saldatura di un ostinato Rodotà con i grillini” che “preoccupa per il futuro”: l'idea che esista un minimo di opposizione al Regio governo in Parlamento è profondamente antidemocratica. Bisognerà provvedere. Intanto godiamoci il primo miracolo del Santo subito, che il Cusenza definisce “il pur repubblicanissimo Giorgio, il 'Re Taumaturgo'”, il quale avrebbe dissuaso Grillo dal “gesto eversivo” di manifestare in piazza. Se San Francesco parlava agli uccelli e ammansiva il lupo di Gubbio, San Giorgio ammaestra i grilli.
Il Sole-14 anni. Il direttore del Sole-24 ore, Roberto Napolitano, trattiene a stento la saliva dinanzi al quasi omonimo Sire: “Grazie, Presidente. In un'Italia senza lavoro, alle prese con una questione industriale diventata sociale, divisa pericolosamente” eccetera “ci è voluto l'ultimo soccorso di un 'giovanotto' di 87 anni che risponde al nome di Giorgio Napolitano per alleviare le tante ferite che attraversano il corpo (profondamente) sofferente del Paese”. Il tempo per prendere il fiato, poi riattacca: “Il suo sacrificio di vita personale, la piena 'assunzione di responsabilità' nei confronti della Nazione, il bagaglio (unico) di esperienza istituzionale, il credito personale di credibilità internazionale, sapranno garantire al Paese un governo politico temporaneo, ma non provvisorio, con una compagine forte e autorevole all'altezza che valorizzi le (sue) migliori risorse giovanili”. E qui ci fermiamo, per evitare l'ipossia, ma anche il diabete. Ma anche per la sconfinata ammirazione che si deve a quelle “risorse giovanili” e soprattutto a quel “temporaneo, ma non provvisorio”. Un po' come dire: incinta, ma non gravida; nano, ma non basso; pirla, ma non fesso; Napolitano, ma non Napoletano.
La Napoletunità. Il quotidiano fondato da Gramsci e affondato da Bersani titola “NAPOLITA-NO”. Il cosiddetto direttore Claudio Sardo, che due mesi fa si apprestava a salire a Palazzo Chigi come portavoce del premier Pierluigi, non ha ancora elaborato il lutto. Ma si consola con “il prestigio, la dignità e l'autorevolezza di Napolitano”, “le risorse estreme a cui la stragrande maggioranza dei grandi elettori si è aggrappata per scongiurare” ecc. “La stima e la gratitudine verso il Capo dello Stato sono i nostri primi sentimenti”. Manca solo la vergogna per i titoli sul “Patto Grillo-Berlusconi” o sul “No di Renzi al governo Bersani”, balle spaziali per distrarre gli eventuali lettori dall'unico patto esistente nella politica italiana: quello fra Pd e Pdl per l'inciucio. Lui, poveretto, ribadisce che “le larghe intese non solo la soluzione di cui il Paese ha bisogno”. Si vede che la mamma non gli ha ancora detto niente. Qualcuno invece gli ha detto che la forzatura del ri-Napolitano è giustificata dallo “stato d'eccezione” e che “la nostra Costituzione prevede” per Napolitano “poteri dilatati nella formazione del governo”, solo che non gli hanno detto dove, in quale articolo. A fianco, Natalia Lombardo argomenta: “Questo inizio di secondo millennio ha visto un Papa dimettersi e coesistere col suo successore”. Quindi, forte di questo precedente, Napolitano può tranquillamente coesistere con se stesso: è matematica pura.
Il Giornalitano. Angoscioso dilemma di Sallusti: leccare Napolitano o andare sul classico e leccare Berlusconi? Soluzione: tutti e due. “Napolitano ha accettato di cavare le castagne dal fuoco alla sinistra”, ma “di fatto ha vinto Berlusconi”. Titolo involontariamente comico: “PRESENTABILI. Re Giorgio rieletto presidente, Berlusconi vara il Napolitano bis. Pdl al governo”. A umettare King George provvedono Mario Cervi (“Così comincia la Terza Repubblica”) e Giuliano Ferrara (“I franchi tiratori vera essenza della democrazia”). Lui di comunisti sì che se ne intende. Pompe sfuse. “Abbiamo il Presidente, il migliore in circolazione e dobbiamo essergli grati se ha accettato di mettersi ancora al servizio del Paese”, turibola Alessandro Barbano, direttore del Mattino. “Un gesto d'amore per il Paese”, titola Sarina Biraghi, direttrice del Tempo, in un frullato di “alto profilo”, “generosità”, “spirito di sacrificio”, “attaccamento alla cultura democratica per salvare il Paese”, “punto di equilibrio”. Mancano solo il marito fedele e il padre esemplare. Ma il pensiero della Biraghi corre commosso a “donna Clio”, l'”unica sconfitta” perchè “voleva 'godersi' il marito ed evitargli altre preoccupazioni... Non è mancanza d'amore, gentile donna Clio, ma più di lei è l'Italia ad aver bisogno di suo marito”. Si spera che almeno Avvenire faccia onore alla ragione sociale e rifletta su un presidente che a fine mandato avrà 95 anni. Macchè: l'house organ dei vescovi titola con l'aspersorio: “Napolitano bis, ritorno di saggezza”. E il direttore Marco Tarquinio intinge la penna nell'acqua santa, o forse nel vin santo: “Il soprassalto di saggezza politica e istituzionale... L'Italia ha di nuovo un presidente di tutti... C'è da essergli grati per la sua costruttiva disponibilità, di altissimo servizio istituzionale... La sua figura sobria, la cultura dialogante, la naturale misura, il senso del dovere, un riferimento saldo... L'esito ragionevole e proficuo... Qualcosa di generosamente e lucidamente...”. Spegniamo le luci e lasciamoli soli.



Con il nonnino al Colle,ancora si fa per dire,per altri sette anni,tutti vissero felici e inciucianti,finalmente i salamelecchi a larghe intese avranno praterie per svilupparsi,Renzi potrà formarsi ancora per prendere in eredità ciò che fu del caimano,e quest'ultimo potrà puntare al dopo Napolitano mirando ad andarci lui.

Andando poi nel sottile,i legittimi impedimenti fioccheranno,i processi andranno in prescrizione,direi un paese dove vivere meravigliosamente,in cui l'unico settore che andrà benissimo,saranno come al solito le banche e la finanza.

WONDERFUL!!!

&& S.I. &&

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1 commento:

Katrina Uragano ha detto...

Noi italiano sappiamo sempre riconfermarci come il Paese che non sa rinnovarsi.