venerdì 14 settembre 2012

Il naso lungo di Marchionne previsto già da tempo dalla Fiom




Marchionne rottama Fabbrica Italia
CANCELLATI 20 MILIARDI DI INVESTIMENTI

di Giorgio Meletti

Sergio Marchionne scherzava. Il mitico piano Fabbrica Italia (20 miliardi di investimento per arrivare a produrre 1,4 milioni di auto nel 2014, presentando venti nuovi modelli e sei restyling per i marchi Fiat, Alfa, Lancia) non c’è più. Due anni di chiacchiere e promesse, come il più consumato dei politicanti che ama sbeffeggiare, e ieri il capo della Fiat ha chiuso con l’Italia in poche righe di comunicato.
“Nei giorni scorsi, da parte di alcuni esponenti del mondo politico e sindacale, sono state fatte alcune dichiarazioni preoccupate per il futuro di Fabbrica Italia”, dice la Fiat. Così, per fugare le preoccupazioni, finalmente una parola chiara:il piano non esiste più. “Da quando Fabbrica Italia è stata annunciata nell’aprile 2010 - spiega il Lingotto - le cose sono profondamente cambiate. Il mercato dell’auto in Europa è entrato in una grave crisi e quello italiano è crollato ai livelli degli anni settanta. E’ quindi impossibile fare riferimento ad un progetto nato due anni e mezzo fa”.
I TEMPI cambiano, dunque. Però il comunicato omette di ricordare che il 21 aprile 2010 l’ambizioso progetto fu condizionato all’accettazione da parte dei sindacati di condizioni di lavoro diverse e peggiori dalle precedenti. E che quando, pochi giorni dopo, Marchionne ricattò pubblicamente sindacati e lavoratori (“se non accettano il piano è già pronto un piano B che non è molto bello”) quel piano B era già pronto, ed era proprio quello annunciato ieri: la Fiat molla l’Italia.
È stato tutto inutile. Lo scontro furibondo di Pomigliano (estate 2010, primo referendum sulle nuove condizioni di lavoro), la battaglia di Mirafiori (analogo referendum, gennaio 2011) la polemiche politiche, Matteo Renzi schierato con Marchionne (“senza se e senza ma”) mezzo Pd, Pier Luigi Bersani perplesso e in imbarazzo (“c’è ancora molta nebbia, ancora non ho capito i 20 miliardi dove li mette”). Parole al vento. La strategia era quella di sbaraccare, con tutta evidenza. Il Fatto ha pubblicato il titolo “La lenta fuga di Marchionne dall'Italia” il 23 luglio 2010, all’indomani del referendum di Pomigliano, sei mesi prima di quello di Mirafiori.
E DEL RESTO la fuga dall’Italia viene oggi ufficializzata con il pieno consenso del governo dei tecnici. Non bisogna dimenticare che già nel marzo scorso, all’indomani di un incontro a palazzo Chigi con Marchionne, il premier Mario Monti, con parole inequivocabili, disse bye bye alla Fiat, a nome del governo italiano: “Forse darebbe soddisfazione ad un politico di vecchia maniera poter dire: ho insistito affinchè la Fiat continui a sviluppare investimenti in Italia. Ma la Fiat non ha nessun dovere di ricordarsi solo dell’Italia, e chi la gestisce ha il diritto e il dovere di scegliere per i suoi investimenti le localizzazioni più convenienti”. Non a caso Marchionne definì quell’incontro, il 16 marzo scorso, con una sola parola: “Perfetto”. Curiosamente, ieri il comunicato diffuso da Marchionne adopera quasi le stesse parole: “La Fiat con la Chrysler è oggi una multinazionale e quindi, come ogni azienda in ogni parte del mondo, ha il diritto e il dovere di compiere scelte industriali in modo razionale e in piena autonomia”. Oggi suonano quasi penose le proteste di quanti hanno chiesto per mesi al governo di esigere, se non spiegazioni, almeno informazioni dal manager italo-canadese che prende lo stipendio in Italia ma paga le tasse in Svizzera. Il governo dei tecnici era d’accordo con Marchionne che portava via la Fiat dall’Italia. Monti, gliene va dato atto, l’ha detto pubblicamente.
Negli stessi giorni, invece, Elsa Fornero andava al Senato ad assicurare che “le notizie sulla possibile chiusura di altri stabilimenti del gruppo Fiat in Italia dopo quello siciliano di Termini Imerese sono destituite di ogni fondamento”. Come lo sapeva? Gliel’aveva detto Marchionne, e lei ci credeva, e spiegò perché: “Se il presidente Fiat John Elkann e Marchionne mi dicono 'abbiamo intenzione di mantenere il piano industriale e fare gli investimenti che sono previsti' che cosa posso dire, che non gli credo? Io devo credergli”.
CERTO, e con un ministro del Lavoro così, i lavoratori Fiat possono stare tranquilli. Tre giorni fa le hanno chiesto se avesse in programma incontri con Marchionne, e lei ha detto: “Non c'è una vera urgenza ma avremo un incontro presto”. Aveva ragione lei: non c’è più urgenza.



Diamo atto alla Fiom,che senza sfera di cristallo aveva capito le mosse del gruppo monopolista per eccellenza.

Zero investimenti,nulla sulla qualità e nuovi modelli,come si può far chiudere una fabbrica di automobili stando fermi,facendo finta di promettere lavoro tirando la cinghia ai lavoratori.

&& S.I. &&

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