giovedì 28 giugno 2012

Ogni paese ha la Fornero che si merita





UNA GAFFE DI MINISTRO

L’ultima della Fornero: “Il lavoro non è un diritto” Poi si corregge. Ma intanto passa la riforma

di Salvatore Cannavò

L’ennesima bufera mediatica, l'ennesima gaffe che ha reso necessario anche un incontro a quattr'occhi con Mario Monti. È stata un'altra giornata nera per Elsa Fornero, il ministro più bersagliato del governo tanto da avere come unica dichiarazione di solidarietà quella di Mariastella Gelmini che in quanto a critiche non è stata seconda a nessuno. Non appena si è diffuso il testo, anzi il brano, della sua intervista al Wall Street Journal, si è scatenata la rissa.
LA FRASE incriminata va riportata in inglese e poi con la traduzione: “We're trying to protect individuals not their jobs – said Mrs Fornero, 63 years old – People's attitudes have to change. Work isn't a right; it has to be earned, including through sacrifice”. Che si può leggere: “Stiamo cercando di proteggere le persone, non i loro posti di lavoro. L'attitudine delle persone deve cambiare. Il lavoro non è un diritto, deve essere guadagnato, anche attraverso il sacrificio”. Il lavoro non è un diritto è diventato, così, il refrain a cui il ministro è rimasto appeso per tutta la giornata. E a commentare la notizia un unico filo conduttore: l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, lo dice la Costituzione su cui il ministro ha giurato. Quindi quella frase è indicibile.
Il primo a pronunciarsi è stato Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista che ha invitato il ministro a rileggersi gli articoli 1 e 4 della Costituzione. Tra i più duri, invece, Antonio Di Pietro che ha definito la frase “un'asineria totale”: A quanto pare la badessa Fornero – ha aggiunto – ha riscritto, tutta da sola e senza chiedere il permesso a nessuno, l'art. 1 della Costituzione”. Tra i più pittoreschi, invece, la Lega Nord: “Il ministro Fornero ha giurato sulla Costituzione o su Topolino?”. Tra i più pragmatici, Pietro Ichino del Pd: “Il varo del ddl lavoro è l'adempimento di un obbligo assunto nel settembre scorso verso l'Ue”.
In realtà, Elsa Fornero ha precisato la sua dichiarazione dicendo che “il diritto al lavoro non è mai stato messo in discussione come non potrebbe essere mai visto quanto affermato dalla nostra Costituzione”. “Ho fatto riferimento – ha spiegato – alla tutela del lavoratore nel mercato e non a quella del singolo posto di lavoro, come sempre sottolineato in ogni circostanza”. Insomma, il ministro intendeva dire “job”, posto di lavoro e non “work” lavoro nell'accezione generale che dà a questa parola la lingua italiana. In realtà, l'intervista si è svolta in italiano, come spiega al Fatto il giornalista del Wall Street Journal che ha incontrato il ministro, Christopher Emsden. “Siamo noi ad aver tradotto, spiega, e nel testo abbiamo utilizzato sia la parola job che work, si tratta di una distinzione inconsistente”. Emsden ci tiene però a precisare che si è trattato di un'espressione “più banale” di quanto amplificato dai media: “Non mi è sembrato certo che il ministro abbia voluto lanciare un proclama di revisione costituzionale”.
IL CONCETTO espresso è stato ripetuto più volte dal ministro e non solo da lei. Ma non risolve comunque il problema che ha agitato così tante reazioni, a cominciare da una protesta martellante della Rete: se il lavoro è un diritto come si garantisce il suo reale esercizio? A porsi la domanda sui siti, blog, facebook o twitter sono i disoccupati, i precari, giovani e meno giovani che in realtà i “sacrifici” li fanno da sempre.
Per Fornero si tratta, spiega ancora al Wsj, di “cambiare mentalità” e di vincere “una sfida” in questo senso.
E il suo approccio è evidente anche quando il giornale statunitense le chiede di parlare della riforma pensioni: “L'idea che quanto si versa con i contributi deve poi essere correlato ai benefici è fondamentale. Ma la gente qui è rimasta sconvolta da questo perché vuole particolari esenzioni. E finora hanno avuto ragione nella loro convinzione di poter aggirare la legge”. Un riferimento, sembra, alla polemica sugli esodati e un chiaro indizio di una filosofia che guarda innanzitutto al mercato.
Intanto, però, la riforma del mercato del lavoro è legge e ci sono volute, ieri, altre due fiducie per portarla a compimento. Ma se in quella che ha approvato il terzo articoli si sono contati 447 sì, 76 contrari e 27 astenuti e nella votazione del quarto si sono avuti 438 voti a favore, 75 contrari e 28 astenuti, nel voto finale i sì si sono fermati a quota 393 contro 74 no e 46 astensioni.
MEZZO PDL non ha votato la legge, come si desume dai tabulati (Cicchitto: “Questa è l’ultima volta che cala la mannaia della fiducia”). Un mandato debole per Monti che oggi porterà lo “scalpo” della riforma al vertice europeo.
Anche perché è stata ancora Fornero, sia al Wsj che in altre dichiarazioni, a sostenere la necessità di correzioni, mentre Antonio Di Pietro ha annunciato, come ha già fatto la Fiom, che raccoglierà le firme per un referendum abrogativo. La querelle sull'articolo 18 non è finita qui.



Sparare sulla Fornero è ormai comparabile a mirare sulla Croce Rossa,e non si offendano da quelle parti,dalla riforma lacrimosa delle pensioni,al segreto di stato sul numero degli esodati,e si,s'incazzò pure la ministra,per arrivare all'ultima cazzata,il lavoro non è un diritto da bocconiana ignorante della Costituzione.

Vi sarete resi conto anche voi,che è un paese senza speranza il nostro,ovunque lo si giri...

&& S.I. &&


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