mercoledì 14 dicembre 2011

Il suicidio assistito è un assassinio




Intervista di Silvia Truzzi

Con questa intervista al costituzionalista Gustavo Zagrebelsky (al quale risponderà domani Marco Travaglio) proseguiamo il dibattito iniziato il 2 dicembre (leggi l’articolo del viceDirettore de Il Fatto) dopo la morte di Lucio Magri.

Il diritto può essere “una corruzione del comune sentire o uno strumento attraverso cui scrutare un orizzonte più profondo”. Comincia così la conversazione con Gustavo Zagrebelsky, autore di un libro che non a caso s’intitola “Il diritto mite” (Einaudi, 1992). Parliamo della decisione di Lucio Magri (scomparso in una clinica svizzera dove l’hanno aiutato a togliersi la vita) e in generale della scelta di morire. Con una premessa: “Quello che sto per dire è in una prospettiva laica. Vorrei usare argomenti non dico condivisibili, ma almeno comprensibili per chiunque. Se si parte da una prospettiva religiosa, si escludono a priori tutti coloro che non l’accettano”.

Il discorso sul darsi la morte è molto sdrucciolevole, non trova?

Su queste questioni ultime, si è sempre penultimi. Sono discorsi ‘allo stato’ delle proprie attuali riflessioni. Guai alla sicumera. Nelle questioni di questo genere, la problematicità è un dovere.

Cos’è il suicidio?

La tragedia più grande. Stiamo toccando, dal punto di vista morale e cognitivo, un tema sconvolgente. Ma è un tema composito. È difficile trattarne in generale, tanto più volendo stabilire una norma che valga sempre e per tutti.

Ci sono molti suicidi?

Sì. Il suicidio può dipendere da molte ragioni. Non si può non tenerne conto.

Esempi?

Il suicidio per solitudine, delusione, angoscia, vergogna, rimorso. Tutte queste sono ragioni morali che possono crescere al punto d’essere decisive, anche se all’origine sono minime, come il classico ‘brutto voto’. Le si può riassumere in una frase dell’etica kantiana: ‘Se sulla terra non c’è speranza di giustizia, non c’è posto per gli uomini’. Quando una persona, nutrita d’ideali, vede che tutto è inutile, perde la speranza. Nella nostra società, ci si toglie la vita per aver perso il lavoro. Nelle carceri ci si suicida per disperazione; nei campi di sterminio, ci si appendeva alle reti ad alta tensione; nelle carceri degli aguzzini, ci si impiccava per timore di non resistere alle torture e di tradire i compagni; nelle foreste del Mato Grosso, i nativi si uccidevano gettandosi nelle cascate, davanti all’invasione portoghese. Il suicidio può essere un atto dimostrativo, di accusa. Ricorda Jan Palach? C’è anche il suicidio filosofico, quello degli stoici, quando ci si trova in una situazione eticamente senza sbocco.

Ce lo spiega meglio?

Ho in mente il gioco immensamente crudele degli aguzzini nei campi nazisti. Si aprivano i vagoni e usciva una mamma con due bambini per mano: ‘Scegline uno’. Qual è la via d’uscita? Non certo la scelta. C’è solo il suicidio.
Ne “I Demoni” di Dostoesvkij, Kirillov si suicida per dimostrare che Dio non esiste.
Compie un atto di estrema libertà. Chi è Dio? Colui che dà e toglie la vita. Kirillov dice: mi tolgo la vita e prendo il posto di Dio. Ma ci sono anche suicidi inspiegabili, come quello di Primo Levi e tanti altri scampati ai lager, che si sono uccisi a distanza di tanti anni. Perché? Una delle spiegazioni è l’avere visto l’orrore dell’essere umano che ti toglie ogni speranza nell’umanità. Ma è inutile cercar di spiegare tutto. Il suicidio appartiene spesso alla sfera dell’insondabile.
Come si comporta il nostro diritto penale di fronte alla volontà di morire?
In modo apparentemente ambiguo. Non punisce il suicidio. Lo considera un mero fatto. Se fosse un delitto, si punirebbe il tentativo. Cosa che non è.
Ci manca che uno prova a uccidersi, non ci riesce e pure lo mettono in galera.
Vero. Ma quello che importa è che non c’è sanzione se tu cerchi di ucciderti da solo. In questi confini estremi dell’esistenza individuale il diritto non può far nulla, ed è bene che taccia. Lasciando che ciascuno gestisca i suoi drammi ultimi da solo.
Però ci sono gli articoli 579 e 580 che puniscono l’omicidio del consenziente e l’istigazione o aiuto al suicidio.
Questi, infatti, sono delitti.

Non c’è contraddizione? In un caso, il diritto tace, in altri punisce. Eppure sempre con suicidi si ha a che fare. Come si spiega?

In un modo molto semplice. Se tu ti uccidi da solo questo è considerato un fatto, un mero fatto dicevo – che resta entro la tua personale sfera giuridica. Ma se entra in gioco qualcun altro, diventa un fatto sociale. Anche solo se sono due: chi chiede di morire e chi l’aiuta. E ancor più se c’è un’organizzazione, pubblica o privata che sia, come in Svizzera o in Olanda. La distinzione ha una ragione morale.

Quale?

Se la gran parte dei casi di suicidio deriva da ingiustizie, depressione o solitudine il suicidio come fatto sociale ci pone una domanda. Può la società dire: va bene, togliti di mezzo, e io pure ti aiuto a farlo? Non è troppo facile? Il suo dovere non è il contrario: dare speranza a tutti? Il primo diritto di ogni persona è di poter vivere una vita sensata, e a ciò corrisponde il dovere della società di crearne le condizioni.

Vale anche per chi soffre sapendo di dover morire?

Certamente. Una cosa è il suicidio come fatto individuale; un’altra, il suicidio socialmente organizzato. La società, con le sue strutture, ha il dovere di curare, se è possibile; di alleviare almeno, se non è possibile. In ogni caso, non confondiamo il nostro tema con quello del rifiuto di trattamenti medicali, anche se ciò può portare alla morte. Posso voler non essere curato, o curato in un certo modo, anche se ciò comporta la morte: ma questo non è voler morire. Il rifiuto delle cure è un diritto e, come tale, deve essere rispettato. Ma ripeto, è un problema diverso.

Non c’è un “diritto di morire”?

C’è la morte che ci si dà, come dato di fatto. Ma l’espressione che ha usato contiene una contraddizione. Parliamo di diritti o libertà come espansione delle possibilità. Si può parlare di diritto al nulla, o di libertà di nulla? A me pare una mostruosità.
O il massimo della libertà.
D’accordo: come per Kirillov. Ma andiamo a leggere I Demoni e comprendiamo, oltre la genialità di Dostoevskij, il gelo di quel personaggio.



Come ho appoggiato la tesi di Travaglio,non posso che confermare la piena sintonia con le riflessioni di Zagrebelsky,in Olanda e in Svizzera queste strutture dovrebbero esistere solo per la terapia del dolore e l’eventuale mancanza di accanimento terapeutico,il suicidio assistito svolto in quel modo,reputo che siano tanti omicidi.

Il dramma del suicidio non può essere legalizzato,a prescindere dal giuramento di Ippocrate,chiunque lo interpreti è un assassino.

&& S.I. &&


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iserentha@yahoo.it



2 commenti:

iriselibellule@gmail.com ha detto...

Avrò avuto 23 anni , ero in giro con un amico , che viveva in una casa che era una specie di comune, comunque un'abitazione condivisa. Ci avvicinò un ragazzo che lo conosceva, insieme ad un altro, e gli chiese le chiavi , quello disse "Che ci fai?" "Ci porto lui che si vuole fare il primo buco. " Discussero un pò , poi gli diede le chiavi. Quando quell'altro si allontanò gli dissi se non era matto , disse "Non posso mica limitare la libertà di un altro?" La libertà di che? Dissi io . "SE si voleva buttare dalla finestra l'avresti fermato ." Ecco qua il problema : discernere cosa è libertà. Ora il caso di Magri è ancora altro . In ospedale stasera c'era la mamma di un'amica che ha 84 anni e sta abbastanza male , diceva "Non ha più senso vivere:" Da anziani è vero forse che non ha più senso , e la depressione non è più una malattia, ma uno stato d'animo ragionevole . Da qui però all'omicidio che pare misericordioso e caritatevole ce ne corre ancora parecchio . Ci si può ragionare moltissimo , ma è difficile tirarne fuori le gambe, tuttavia i due interventi , sia di Travaglio che questo di Z...belski, sono interessantissimi e li condivido largamente .

Ivo Serenthà ha detto...

I casi che hai portato ad esempio,anche il primo sono distantissimi dalla drammatica storia di Lucio Magri,all'eta' della signora non deve esistere l'accanimento terapeutico,tutto deve essere fatto per lenire il piu' possibile il malato,anche perche' la natura sta facendo il suo corso.

Come ho espresso ripetutamente, delle realta' come quelle olandesi e svizzere dovrebbero esistere per accompagnare nel miglior modo possibile il malato terminale,accettare di togliere la vita per una grave depressione,a me risulta mostruoso.

Saluti