martedì 10 maggio 2011

L'incredibile applauso all'Ad della ThyssenKrupp e gli scheletri nell'armadio di Emma Marcegaglia



Retromarcegaglia

di Marco Travaglio
   Dunque, per la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, il Tribunale di Torino non doveva condannare a 16 anni per omicidio volontario il dirigente ThyssenKrupp per i sette operai bruciati vivi nello stabilimento di Torino. La sentenza sarebbe “un unicum in Europa” da non imitare perché – addirittura – “potrebbe allontanare gli investimenti esteri dall’Italia e mettere a repentaglio la sopravvivenza del nostro sistema industriale”. Vivi applausi dalla platea (e pochissime critiche in Parlamento, se si eccettuano quelle del ministro Calderoli e del gruppo Idv: silenzio dal Pd). Naturalmente la Marcegaglia ha “ribadito il totale assoluto impegno sulla sicurezza sul lavoro, che deve rafforzarsi, perché ogni morte è una tragedia umana, una sconfitta per noi” e “noi abbiamo grande rispetto e referenza (forse voleva dire deferenza, ndr) per i morti e le loro famiglie”. Ma basta leggere una sentenza della IV sezione penale della Cassazione, depositata il 12 febbraio 2009, per nutrire qualche dubbio sull’“assoluto totale impegno” della signora, come rappresentante non solo di Confindustria, ma anche e soprattutto del gruppo Marcegaglia. Si tratta della condanna definitiva di Antonio Zagaglia, direttore dello stabilimento Marcegaglia di Ravenna, per lesioni personali colpose gravissime ai danni del giovane operaio Catiello Esposito, rimasto vittima di un terribile incidente che gli costò “l’amputazione del piede destro e quindi della gamba fino al terzo medio per il sopraggiungere di necrosi cutanea, nonché una ferita da scoppio alla mano sinistra”. Il lavoratore, da poco assunto con contratto di formazione, era addetto al controllo di una “macchina cesoia” che srotola la lamiera, ne taglia i bordi e poi la riavvolge. Quel giorno la lamiera si aggrovigliò: Esposito, senza disattivare la macchina, salì su una pedana per controllare, si sporse troppo e precipitò sulla lamiera in movimento. Il piede destro e la mano sinistra, risucchiati dai rulli, finirono irrimediabilmente maciullati. Colpa sua, ha sostenuto al processo il direttore Zagaglia, dandogli dell’“imprudente” e del “negligente”. Colpa di Zagaglia, hanno invece stabilito i giudici: era delegato aziendale alle norme di sicurezza e ha violato in più punti la legge 626/94. Di qui la condanna alla pena detentiva, senz’attenuanti né sospensione condizionale per i numerosi precedenti penali specifici; e la condanna per lui e per il “responsabile civile”, cioè il gruppo Marcegaglia, a risarcire i danni all’operaio mutilato (in attesa della causa civile, l’operaio ha avuto una provvisionale di 80 mila euro). Motivo: Zagaglia “omise di istruire adeguatamente il lavoratore circa le proprie mansioni e le modalità d’uso della macchina, nonché circa i rischi connessi all’uso della stessa”, tanto più che “la vittima era un giovane inesperto, assunto da soli tre mesi con contratto di formazione lavoro, che aveva finito con l’apprendere ‘sul campo’ la natura delle proprie mansioni, sulla base delle indicazioni dei colleghi anziani”. Un autodidatta allo sbaraglio. Il vertice aziendale non aveva mai organizzato un solo “corso di formazione sull’utilizzo della macchina”, inserendo “il lavoratore nello stabilimento senz’addestrarlo adeguatamente a svolgere le mansioni assegnategli e senza informarlo in materia di sicurezza”. Per di più aveva “tollerato la prassi aziendale di intervenire sulla macchina senz’arrestarne il movimento, dopo aver superato le protezioni”, consentendo “l’instaurarsi di una prassi lavorativa ad alto rischio” che “consentiva di agire in tempi più rapidi e funzionali alla produzione”. Il confine fra reato colposo e doloso si fa estremamente labile, visto che il dirigente era già stato condannato altre volte per vicende simili (la Cassazione parla di “plurimi precedenti specifici” e della “pendenza di altri procedimenti per reati della stessa specie”). Che ci faceva un plurirecidivo ancora alla guida di uno stabilimento? Viene persino il sospetto che sabato la Emma parlasse di ThyssenKrupp per non dire Marcegaglia.





CONFINDUSTRIA, NESSUNO LI PUÒ GIUDICARE
Con l’applauso al manager Thyssen le imprese rivendicano l’impunità

di Giorgio Meletti
   Non è stata una gaffe. Il fortissimo applauso che sabato pomeriggio, durante la convention confindustriale di Bergamo, ha salutato l’amministratore delegato ThyssenKrupp, Harald Espenhahn, recentemente condannato a 16 anni e mezzo di carcere per omicidio volontario, è stato cercato dalla presidente Emma Marcegaglia. E la platea dei seimila imprenditori ha risposto con entusiasmo.
   C’è una continuità nella linea della Confindustria sulla sicurezza del lavoro, che risale almeno al predecessore di Marcegaglia, Luca Cordero di Montezemolo, che sabato scorso era in prima fila ad applaudire il manager condannato per omicidio. Ieri anche un altro ex presidente degli Industriali, Luigi Abete, è accorso in difesa della presidente attuale con un’argomentazione precisa: “Non si può applicare a situazioni purtroppo tragiche delle normative che vanno oltre l'effettiva responsabilità delle persone”. Il che significa appunto che i giudici di Torino avrebbero punito Espenhahn per un fatto non commesso.
   Il 6 marzo 2008, quando il governo Prodi varò un nuovo decreto più severo in materia, Montezemolo tuonò: “Inasprendo le pene e basta non si salvano vite”. Il 21 maggio seguente, all’indomani della morte nella sua fabbrica dell’operaio 32enne Girolamo Di Maio, e mentre veniva eletta presidente di Confindustria, Marcegaglia ripetè : “La sicurezza sul lavoro non si ottiene inasprendo le pene”.
   LA SENTENZA THYSSEN
   è considerata da molti imprenditori italiani una ferita, un colpo alla libertà d’impresa. Per questo Marcegaglia e i suoi strateghi hanno voluto fare di Espenhahn l’attrazione emotiva delle assise 
di Bergamo, il simbolo di una ribellione contro l’applicazione rigorosa del codice penale. Incurante del rischio di essere accomunati alla campagna anti-toghe di Silvio Berlusconi, e soprattutto del pericolo di indebolire le buone ragioni di Espenhahn accompagnandolo al processo di appello con l’etichetta di eroe dell’illegalità, come uno stalliere Mangano qualsiasi, Marcegaglia l’ha voluto invitare sul palco degli oratori. Lui ne ha approfittato per ricordare che la sua condanna per omicidio volontario (per aver provocato la morte di sette operai nel rogo del 6 dicembre 2007 alla ThyssenKrupp di Torino) mette in dubbio l’interesse dei capitali tedeschi per l’Italia. Ma soprattutto ha materializzato, davanti agli occhi di una platea spaventata, il pericolo di finire in galera per pagare ingiustamente la fatalità che ha ucciso qualche suo dipendente in azienda.
   La questione è complessa, e sicuramente la sentenza Thyssen si presta a qualche seria discussione. Non prima però di aver letto le motivazioni, che ancora non 
sono state depositate. Nell’attesa, la Confindustria ha favorito una campagna d’opinione contro l’apparente incongruenza di condannare Espenhahn per omicidio volontario, che suona come se egli avesse deciso scientemente di uccidere i sette operai. La questione è giuridicamente complessa, ma viziata da una voglia di propaganda. Infatti nessun esponente del mondo imprenditoriale ha detto una parola sugli altri quattro manager della Thyssen (Gerald Priegnitz, Raffaele Salerno, Marco Pucci e Cosimo Cafueri) condannati per lo stesso incidente e nello stesso processo a 13 anni e mezzo ciascuno per il classico omicidio colposo. Giustizia ingiusta anche quella? Nessuno commenta.
   A BERGAMO la linea l’ha data il giornalista Oscar Giannino, incaricato di condurre i lavori a porte chiuse. É’ stato lui a scatenare l’ovazione per Espenhahn, presentandolo con queste parole: “La mia personale opinione è che questa svolta giudiziale della volontarietà omicidiaria apra una strada per la quale, cari imprenditori, vi sarà sempre più difficile trovare manager in grado di accettare l’idea di esporsi a vent’anni di galera come se volessero assassinare i vostri e loro dipendenti”.
   Dopo la reazione dello stesso ministro leghista Roberto Calderoli (“Sono i morti che vanno ricordati, non chi ha violato le norme e ha fatto morire i suoi operai”) e delle famiglie delle vittime, secondo le quali quell’applauso “dimostra un cinico disprezzo verso la vita dei lavoratori”, la polemica è stata deviata. Giannino, dal suo blog ( www.chicago-blog.it  ), ha chiarito che il rispetto per gli operai morti nel rogo della Thyssen non è in discussione, e che obiettivo dell’operazione Espenhahn era rimarcare che “per la prima volta in Italia è stata accolta da un giudice di primo grado la richiesta di una Procura di applicare agli incidenti sul lavoro la fattispecie dell’omicidio volontario”. La replica gli è arrivata da un suo lettore, Giuseppe: “Se liberismo deve essere, che lo sia fino in fondo, e le aziende si assumano in pieno la responsabilità dei danni che provocano”.
   In realtà, per la Confindustria il liberismo è che i giudici non si impiccino troppo di quel che accade dentro le fabbriche. L’offensiva contro le leggi sulla sicurezza del lavoro è in corso da tre anni, e la beatificazione del condannato a 16 anni e mezzo ne è solo una nuova tappa.








Adombrare che gli investimenti delle società straniere siano a rischio,grazie alla sentenza di primo grado del processo ThyssenKrupp,è pura follia come del resto lo scrosciante applauso all'Ad Harald Espenhahn.
Non hanno aspettato neppure le motivazioni della sentenza,poichè per condannare a sedici anni il massimo responsabile della società tedesca,evidentemente le ragioni vi sono eccome.
Ma evidentemente gli scheletri nell'armadio della Presidentessa di Confindustria,sono una ragione plausibile di una tale presa di posizione.


Non smetteremo mai d'essere considerati terra di conquista a cui si deve poco rispetto,le più elementari mancanze di sicurezza nella fabbrica torinese,ove sono morti sette lavoratori in modo orribile,sono quisquilie per lor signori.

Perchè sia di monito in futuro,la lettura della sentenza




&& S.I. &&

1 commento:

francesco ha detto...

mi è parsa questa veramente una cosa scandalosa