lunedì 28 marzo 2011

Quattro chiacchiere con Ascanio Celestini



di Luca Telese
   “Il potere è sempre potere sul corpo. C´è un filo invisibile che unisce il Pasolini di Salò e il desiderio di possesso dei corpi di Berlusconi. Non so se Berlusconi abbia letto Foucault. Forse glielo ha raccontato Bondi..." Ascanio Celestini abita nella Capitale, ma fuori dal raccordo anulare. Ci diamo appuntamento davanti al teatro Brancaccio, lui arriva in metro. Dovremmo fare un’intervista che parla del suo nuovo libro, ma sconfiniamo subito in mille direzioni. Finiamo a discutere di antropologia, di Pasolini, di aborigeni, di linguaggi e sottotesti, di come cambia la comicità nel tempo di Berlusconi. Ascanio è il più grande monologhista italiano emerso negli ultimi dieci anni, è uno dei pochi in Italia che può tenere inchiodato il pubblico per tre ore raccontando le storie della nonna, l´unico che può costruire una scenografia con una sola lampadina. Ascanio è figlio delle periferie romane, del teatro itinerante, dei grandi raccontatori di una volta, e continua a replicare gli spettacoli anche per dieci anni. Intanto ne sta preparando uno nuovo, su di un ladro di galline che in carcere diventa terrorista leggendo Mazzini. Ovvero con il modo più anticonformista che si possa immaginare per celebrare l´unità d´Italia.
   Luca Telese: Ascanio, "Io cammino in fila indiana" è il più politico dei libri che hai pubblicato...
   Ascanio Celestini: No. O meglio sì. Oppure, diciamo così: quando scrivo non ho mai in mente una intenzione politica, non è il mio mestiere.
   E cosa hai in mente?
   Un congegno. Un meccanismo narrativo. Un ingranaggio a tempo che in un pugno di minuti produce un effetto narrativo.
   Il libro parte dai monologhi che hai interpretato per il programma di Serena Dandini, ma pare che siano nati per finire sulla pagina.
   In realtà sono tutti prodotto della scrittura. Qualcuno l´ho scritto su un tovagliolo, qualcun altro mentre viaggiavo, qualcuno di corsa, qualcuno ragionandoci, ma partono tutti dalla carta, e poi devono essere compressi nei tempi della televisione.
   Quindi, quando tornano nel libro, respirano.
   Io non ho mai scritto un libro per venderlo. Non chiedo mai all´editore nemmeno quante copie ho venduto. Scrivo perché mi fa piacere che le cose restino.
   Come mai continui a replicare spettacoli di dieci anni fa?
   Ti rispondo al contrario, con una battuta che mi ha fatto un mio amico pittore: “Tu hai una fortuna pazzesca. Io quando vendo il quadro ho perso l´opera per sempre. Tu ogni sera la vendi, ma te la riporti a casa senza rubare nulla a nessuno".
   Geniale.
   E´ il miracolo del teatro.
   Tu hai la malattia del racconto.
   E´ vero. E ti faccio un esempio. Oggi ero a Sat 2000, per partecipare a un programma. Nello studio ho incontrato la madre di un ragazzo morto sul lavoro in un a industria chimica...
   Una storia triste.
   Sì, ma voglio farti capire la differenza tra me e un giornalista. Un giornalista ci potrebbe raccontare che c´è stato un processo e che questo processo si è concluso con un patteggiamento. Quindi, se cerchi una notizia, questa storia non esiste.
   E invece?
   E invece questa madre mi ha raccontato che il ragazzo aveva appena iniziato a lavorare. E che era stato assunto da così pochi giorni che non aveva ancora fatto in tempo a prendere il primo stipendio. Per motivi che nessuno sa è rimasto solo in fabbrica, è rimasto intossicato, e, dopo quattro giorni di agonia, è morto.
   Una storia incredibile.
   Ecco, la madre mi ha detto che era andata a processo non per cercare vendette o risarcimenti. Ma per un unico motivo: sapere come era morto suo figlio. Il patteggiamento le ha tolto questo diritto.
   Vuoi dire che la storia era più importante della pena?
   Esatto. E questa morte senza finale, che è un po´ un mistero, è così forte, per me, che mi viene subito in mente che potrei farci uno spettacolo. La madre dice: “Voglio seppellirlo con tutta la sua storia”. Che poi è quello che vogliono tutte le vittime. Sai cosa è successo in Ruanda?
   Dopo la guerra civile?
   Non potevano fare centomila processi. In Ruanda erano tutti colpevoli o vittime. Ed erano tutti vittime di una guerra inventata dagli antropologi francesi, che avevano immaginato due diverse razze.
   L´odio partorito da una storia.
   Ecco, finita la guerra, gli antropologi francesi di oggi hanno re-inventato un rito, la Gachaka, in cui tutte le colline del paese delle mille colline discutono di quello che è successo. Il racconto è l´ultima forma di catarsi che è rimasta a questa società.
   Con ‘Pecora nera’. Sei riuscito a fare un film di successo, applaudito a Venezia, parlando di manicomi.
   Ricordo che il produttore mi disse: un film si può fare se riesci a riassumerlo in una didascalia.
   E la tua quale era?
   Semplice: questo è un film sui matti.
   E te lo ha prodotto? Hai avuto fortuna. Che tipo di storia è il berlusconismo, visto dal tuo palcoscenico?
   Una storia incredibile. Berlusconi si è appropriato del nostro linguaggio, della lingua dello spettacolo. E questo è molto pericoloso.
   In che senso?
   Facciamo un esempio. Se un attore su un palco interpreta un personaggio che dice: "Scendiamo in piazza e bruciamo i froci", la mia violenza è chiara, ma a nessuno viene in mente di farlo.
   Invece se lo dice un politico?
   Se lo dice un politico, che poi magari è anche un grande leader, che poi 
magari è anche al Governo, questa violenza non è chiara. E ciò che io dico produce un pensiero violento dentro di te.
   Fammi un esempio.
   Quello di monsignor Bagnasco si può fare?
   il Misfatto è miscrecedente.
   Bene, pochi mesi fa gli articoli sulle sue dichiarazioni erano titolati così: "Gli omosessuali sono pedofili".
   Ma Bagnasco non era arrivato a dire questo.
   Peggio. Aveva detto una complicata frase che era pensata per stabilire un’equazione che suonava così: "Se accettiamo una serie di compromessi accettando le richieste degli omosessuali, a partire dalle unioni civili, finiremo per accettare anche la pedofilia. Capisci?
   Vuoi dire che la frase tortuosa era costruita apposta per produrre il titolo semplificato?
   Esatto. In questi tempi l´indeterminata ambiguità del linguaggio è pensata per trasmettere la semplificazione violenta del titolo, cioè del messaggio.
   E tu pensi anche a Berlusconi?
   Berlusconi in questo è maestro. Lui dice una frase del tipo: "E´ meglio correre dietro alle belle donne che essere omosessuali". E io sono convinto che se potessimo fotografare tutti gli effetti che quella frase produce, scopriremmo che è la frase che sdogana anche l´accoltellatore. Qui l´ambiguità è ancora più forte. E´ una ambiguità sorridente, che cerca la risata, che dà di gomito, ma che dentro di sé possiede tutta la violenza che abbiamo detto.
   Fammi un altro esempio.
   Una frase apparentemente innocente, ma che mi ha colpito molto. Berlusconi va ad una convention di giovani del Pdl e dice: "Ma che belle facce di ragazze e di ragazzi, che vedo. Mentre quelli di sinistra, la mattina, quando si guardano allo specchio, si rovinano la giornata".
   Sembra una frase senza senso.
   A te, a noi, sembra una frase sconclusionata. Ma a quel pubblico vuole dare questo messaggio: noi siamo i belli e i buoni, loro sono brutti, anche antropologicamente. Sono brutti perché diversi.
   E´questa la modernità che ti spaventa?
   No, non mi spaventa, ovviamente, ma è un meccanismo antichissimo. Berlusconi agisce e si comporta come un re taumaturgo, come un sovrano medievale. Il potere del sovrano, ci spiegavano i medievalisti, in una civiltà senza regole, doveva essere visibile. E per essere visibile doveva operare sui corpi, modificarli.
   Fammi un esempio.
   Tutti pensano che Berlusconi insegua le vergini o cerchi di affermare il possesso sessuale perché è un maniaco. Io lo prendo molto più sul serio. Lo ‘Ius primae noctis’ veniva affermato anche dai sovrani impotenti perché era la forma simbolica più forte di possesso. Il possesso della carne, della giovinezza, del desiderio e dell´innocenza insieme.
   Viene in mente il Pasolini di Salò.
   L’ho rivisto poco tempo fa ed è esattamente questo: il potere, sempre, è prima di tutto il potere sul corpo. Anche la prigione, è questo, anche se non credo che Berlusconi abbia letto Foucault. Ma magari glielo ha raccontato Bondi.
   Tu spesso parti dal passato per il tuo racconto.
   Mi dai la possiblità di chiarire un grande equivoco. Io ho scritto ‘Radio clandestina’ perché volevo parlare del presente. Dopodichè qualcuno mi ha detto che era uno spettacolo che spiegava quanto eravamo cattivi prima, quanto siamo buoni oggi.
   Esattamente il contrario.
   Già. In questo tempo la prima cosa che si manipola è la memoria. In realtà io volevo raccontare l´opposto: siamo stati così feroci allora e potremmo essere ancora più feroci oggi.
   Cos´è per te la memoria, quindi?
   Ti faccio l´esempio delle chiavi: Io mi ricordo di dove sono le chiavi perché devo usarle per aprire una porta ed entrare in un posto. I fanatici della memoria tranquillizzante, invece, è come se dicessero: “Come mi piacerebbe trovare quelle vecchie chiavi per ricordarmi di quanto era bella la casa in cui entravo da bambino”.
   Stai provando uno spettacolo sulla Repubbica Romana del 1849. Anche tu celebri i 150 anni dell´Unità?
   Sono rimasto affascinato da una serie di storie. Ad esempio che i Re-pubblicani erano tutti ragazzi. E poi che Mazzini ordinò a Garibaldi di non combattere fuori, perché la Repubblica doveva scrivere la Costituzione. Anzi: lo scopo della Repubbica era scrivere la Costituzione.
   E poi?
   I primi 300 prigionieri francesi non furono imprigionati. Furono portati in una piazza, processati, rifocillati e liberati: perché quella repubblica, diceva Mazzini, doveva essere senza prigionieri e senza processi.
   Ti piace perché è una storia di anarchici sovversivi, come te, che usano le parole per cambiare le regole del loro tempo?
   Senti, malgrado quello che scrivono i libri, Mazzini è un terrorista che muore in clandestinità. E quindi mi piace far raccontare questa storia ad un ladro che entra in cella per un furtarello, e che diventa terrorista leggendo i testi di Mazzini, perché sono gli unici che la direzione del carcere gli autorizza.
   Stupendo. E come potremmo chiuderla questa intervista così pazza?
   Con una frase dei patrioti repubblicani che il prigioniero, convinto di parlare con Garibaldi, in cella, gli ripete: "Siamo stati tanti, o tantissimi, pochi, o pochissimi. Ma mai soli". Se ci pensi è belissima, non trovi?






Come ci vede chiaro Ascanio Celestini,pochi lo riescono a fare,dalle semplicissime deduzioni di Bagnasco,a proposito del teorema pedofilia-unioni di fatto gay,a brandire la potenza mediatica del caimano come una clava senza che il popolo sovrano se ne accorga minimamente.
Curiosa la versione su Mazzini,morto da terrorista in clandestinità,ma ad un fuoriclasse del pensiero che lo manifesta da sempre nei teatri,risulta bontà sua,una semplicissima performance.

&& S.I. &&

3 commenti:

francesco ha detto...

antipaticissimo

Anonimo ha detto...

Intelligentissimo.

Ivo Serenthà ha detto...

Negli antitetici giudizi sul personaggio,direi che tutti i soggetti che non risultano diplomatici,e dicono quel che pensano,non possono che dividere.