TUMORE (QUASI) IN FUMO
Diagnosi ai polmoni con un prelievo del sangue L’ha scoperta un precario da 1.200 euro al mese
di Valeria Gandus
La scoperta è destinata a mutare radicalmente la diagnosi e la cura del tumore al polmone: in capo a un paio d’anni, con un semplice prelievo di sangue, il “big killer” che ogni anno in Italia colpisce 32 mila persone e miete più di 26 mila vittime, sarà diagnosticabile, nelle sue forme più aggressive, con largo anticipo: addirittura due anni prima che con la Tac a spirale, l’esame più avanzato finora a disposizione. LO STUDIO è stato condotto da un gruppo di ricercatori dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, guidati dalla genetista Gabriella Sozzi e dal chirurgo Ugo Pastorino, in collaborazione con la Ohio State University di Colombus (USA). Responsabile del progetto di ricerca e prima firma del lavoro, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences of the Usa, una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali, è Mattia Boeri, 29 anni, borsista da 1.200 euro al mese. La ricerca è cominciata dieci anni fa, con il primo screening su mille volontari ad alto rischio di tumore al polmone (forti fumatori ultracinquantenni) che da quel momento sono stati sottoposti annualmente alla Tac a spirale. A ogni controllo radiologico, sui volontari (diventati poi 6.000) è stato abbinato anche un prelievo di sangue. I primi risultati dello screening con Tac a spirale sembravano incoraggianti: per la prima volta venivano individuati tumori molto piccoli e per questo considerati allo stadio iniziale, dunque operabili con successo. Nel giro di due anni, però, l’entusiasmo per l’efficacia della Tac a spirale come strumento di diagnosi d’eccellenza si è affievolito: da una parte l’esame evidenziava molti falsi positivi (noduli non tumorali), dall’altro consentiva sì di rintracciare tumori di dimensioni ridottissime, ma non sempre di salvare la vita del paziente: una parte dei tumori scoperti e asportati chirurgicamente dopo due anni di controlli radiologici negativi, quindi teoricamente al primo stadio, avevano comunque un decorso infausto. Sebbene piccolissimi, insomma, alcuni di quei tumori erano più aggressivi di altri di pari misura. In una parola: mortali. Che cosa fa sì che tumori delle stesse, piccole, dimensioni si evolvano in modo così diverso? E c’è modo di identificare ancora più precocemente quello più “cattivo” per intervenire in tempo e salvare la vita del paziente? Questa la grande domanda con relativa scommessa che a quel punto si pongono il chirurgo e la genetista. Ed è qui che comincia a entrare in gioco il sangue: nel fluido vitale i ricercatori sperano di trovare ciò che la Tac a spirale nasconde. Ma le prime ricerche sul plasma prelevato ai volontari non approda a granché: il Dna libero circolante nel sangue, sul quale si lavora per trovare alterazioni che denuncino la presenza del tumore, non è affidabile perché troppo instabile. POI, QUATTRO anni fa, la svolta: le ricerche si concentrano sui miRNA (microparticelle di RNA, acido ribonucleico), piccolissime molecole che agiscono come “interruttori” accendendo e spegnendo i nostri geni. Rispetto al Dna, i miRNA sono più piccoli, più facilmente rintracciabili e più stabili. Per questo sono considerati ottimi marcatori, cioè segnalatori di anomalie: nel caso di malattie genetiche i miRNA aumentano o diminuiscono in modo anomalo. Con i miRNA entra in campo anche Mattia Boeri, che comincia a lavorare sui tessuti prelevati ai pazienti. Già una prima serie di esami sui tessuti polmonari malati e normali evidenzia che i miRNA si esprimono diversamente nei tessuti dei pazienti che hanno sviluppato il tumore nella sua forma più blanda e in quelli colpiti dalla forma più aggressiva. Ma, soprattutto, che i miRNA si comportano in modo anomalo anche nel tessuto non toccato dalla malattia: là dove il tumore sembra non essere ancora arrivato, i miRNA agiscono come se già ci fosse qualcosa. Infatti risulta sempre più chiaro che anche l’ambiente in cui nasce e si sviluppa il tumore ha un ruolo nel determinarne l’aggressività. Dalla grande intuizione di Boeri, andare a indagare le cellule apparentemente sane per vedere che cosa vi succede, arriva la prima scoperta: un segnale del male, che è ancora invisibile ma già al lavoro. IL PASSAGGIO dall’esame dei tessuti a quello del sangue è stato cruciale: non solo sono state osservate differenze di comportamento dei miRNA nel sangue dei pazienti malati rispetto al sangue dei volontari sani. Ma queste anomalie sono state riscontrate anche nel sangue prelevato agli stessi pazienti “prima” che la malattia fosse evidenziata dalla Tac a spirale: segno evidente che il tumore era presente, anche se in forma latente, quando non era visibile alla Tac. E ancora: i miRNA si comportano differentemente nei campioni di sangue dei pazienti colpiti dalla forma più aggressiva e in quelli dei pazienti affetti dalla forma meno grave. Il “big killer”, insomma, non è un indifferenziato tumore a grandi cellule, ma uno specifico e diverso tipo di tumore al polmone. Dal che consegue che diversa, evidentemente, deve essere la cura. E qui sorgono i problemi: anche se identificato molto più precocemente, non è detto che questo tipo di tumore sia, per il momento, curabile con successo. La chirurgia rimane l’arma principale ma non necessariamente risolutiva. Quanto alle cure farmacologiche, sono in fase pre-clinica (cioè testati su animali) alcuni farmaci che usano come target proprio i miRNA per ristabilirne i livelli corretti: potrebbero essere veicolati direttamente in loco, cioè al polmone, per inalazione. Ma i tempi di sperimentazione sull’uomo sono ancora lontani. Una nuova fase, comunque, si è aperta, e una migliore conoscenza del “nemico” non può che aiutarci a combatterlo più efficacemente.
Il giovane ricercatore Mattia Boeri
IL PIONIERE CHE STUDIA A LONDRA
Mattia Boeri, biotecnologo, dottorando alla Open University di Londra e responsabile del progetto di ricerca sul test di diagnosi precoce del cancro al polmone, non ha ancora trent’anni e un incerto futuro davanti a sé.
Lei ha fatto una grande scoperta, ma le sue tasche sono leggere come quelle dei suoi coetanei.
Ho una borsa di 1.200 euro al mese.
Tanti?
Direi proprio di no. Ma il lavoro di ricerca è di grande soddisfazione. E il gruppo di lavoro fantastico.
Pensa che prima o poi verrà assunto dall’Istituto dei tumori, da altri?
Purtroppo i concorsi per ricercatori sono molto rari e i posti certo non bastano a soddisfare le domande .
Quindi emigrerà come tanti altri giovani e bravi ricercatori?
Non lo so. Vedremo quando avrò conseguito il PhD a Londra.
Su che cosa sta lavorando, ora?
Continuo le ricerche sulle miRNA per il mio PhD. In particolare ne studio le alterazioni di espressione per capire meglio la loro funzione. Per esempio, il loro comportamento nel sangue è solo lo specchio della malattia o ha un’implicazione più profonda? Queste molecole, insomma, si limitano a segnalare il tumore o con il loro comportamento ne sono la causa?
Un'altra mente sopraffina che con tutta probabilità dovrà emigrare all'estero per poter esercitare degnamente ed avere uno stipendio all'altezza della sua professionalità
Incredibile vero!!
In ogni caso ringraziamo il giovane ricercatore,se i suoi studi avranno ulteriori riscontri come pare,molte vite umane potranno essere salvate.
@ Dalida @
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