venerdì 29 ottobre 2010

Stefano Cucchi e Simone La Penna,le due sorelle cercano verità e giustizia



Stefano Cucchi



Simone La Penna

LA BATTAGLIA COMUNE PER I DUE FRATELLI MORTI IN CARCERE. I SINDACATI DEGLI AGENTI PRESENTANO UN PIANO

di Luca De Carolis

Due donne e un lutto in comune, pesante come una montagna. Due persone che si guardano negli occhi e vedono lo stesso dramma, assieme alla voglia di superarlo. Quella voglia di reagire che è la spinta di Ilaria Cucchi e Martina De Penna, sorelle rispettivamente di Stefano e Simone. Ragazzi entrati in carcere per uscirne morti, tra un rosario di ombre e di risposte mai avute. “Questa è la cosa peggiore, alle tue domande non risponde nessuno” ricorda Ilaria al telefono.

POCHI GIORNI FA è stato il primo anniversario della morte di Stefano, spirato il 22 ottobre 2009 sotto un lenzuolo dell’ospedale Pertini. Il sudario per un corpo colmo di lividi. Simone La Penna invece è morto il 22 novembre 2009, nel centro clinico di Regina Coeli. Aveva perso 30 chili. La sorella ha saputo per caso della sua morte. Era andata a portargli dei soldi, si è sentita rispondere che suo fratello aveva già smesso di respirare. Il dramma di Martina si specchia in quello di Ilaria. Inevitabile che si sentissero. “Ho chiamato Martina qualche giorno fa per darle il mio appoggio, morale e pratico” spiega Ilaria. Anche lei colpita da una tragedia che non ti aspetti: “Certi dolori li devi provare per comprenderli. Quando ci passi, non sai a chi rivolgerti, non sai a chi aggrapparti. Vai in ospedale a chiedere che è successo con le gambe che ti tremano, e ti rispondono che i documenti sono a posto”. Ilaria si è offerta come un sostegno, a una compagna nel dolore. Ma vuole costruire un puntello più grande: “Con Patrizia, la mamma di Federico Aldrovandi, e Lucia, la sorella di Giuseppe Uva, stiamo creando un’associazione proprio per aiutare tutte quelle persone che hanno vissuto il nostro dramma”.

ASSIEME , per provare a intaccare il muro della burocrazia e dell’omertà. Per non sentirsi abbandonate. Ilaria continua: “In Martina vedo la mia stessa difficoltà nell’elaborare il lutto, e gli stessi ostacoli nell’arrivare a delle risposte”. Una parola che Ilaria ripete di continuo, come fosse un’isola a cui prima o poi dovrà approdare. Lei e Martina si risentiranno presto: “Andremo avanti, dobbiamo farlo. Tante famiglie di detenuti mi ringraziano per questa battaglia e per i risultati. Con l’aiuto di Ignazio Marino, abbiamo cancellato il protocollo che obbligava i medici a chiedere permesso al magistrato per dare notizie ai familiari dei detenuti”. Ieri Il Fatto ha cercato Martina, che però era impegnata con le sue bimbe. E allora ha parlato Massimo La Penna, il padre di Simone: “L’impegno dei Cucchi è stato fondamentale, perché ha fatto sapere alla gente cosa accade in certi posti”. La Penna parla a voce alta, chiara. Il dolore non l’ha abbattuto. Ora è più forte la voglia di lottare in nome di Simone: “Voglio giustizia, non vendette o risarcimenti, di quelle cose non me ne frega niente”. Quel figlio ormai non c’è più “e purtroppo nessuno me lo potrà ridare indietro”. Massimo ha un altro imperativo: “Non voglio che altre famiglie passino attraverso tutto questo. Hanno riempito mio figlio di farmaci per rincoglionirlo, poi l’hanno lasciato spegnere come una candela. Non deve succedere più a nessuno”. Parla senza fermarsi, La Penna. S’intenerisce per Stefano Cucchi: “A lui è andata peggio che a Simone, se possibile. Mio figlio è morto con 30 chili di meno, ma Stefano era pieno di lividi. Possono pure raccontare che è caduto per le scale, ma la verità è che queste cose accadevano solo ai tempi del fascismo”. Massimo saluta, e invita a chiamarlo ancora “perché dobbiamo portare avanti questa lotta”. Il dramma delle carceri però lo vive anche chi vi lavora, e ogni giorno vede una macchina che arranca.

IERI i poliziotti che aderiscono alla Fp-Cgil hanno montato tre celle in piazza Montecitorio, per ricordare con un simbolo fragoroso l’emergenza del sovraffollamento carcerario. “Le carceri esplodono e noi le portiamo in piazza” lo slogan. Assieme alle celle, possibili soluzioni: ovvero dieci proposte del sindacato per alleggerire di 25mila unità i penitenziari, ormai a un passo dagli 80mila reclusi secondo le stime del ministro della Giustizia Alfano. “Forse saranno ancora di più” teme la Fp, che propone percorsi riabilitativi alternativi al carcere e invoca l’assunzione di 6000 agenti penitenziari.



Per le famiglie provate dal dolore d'avere in carcere il proprio caro,e successivamente apprendere dopo alcuni giorni della morte dello stesso,poichè le istituzioni non sono tenute ad avvisare celermente l'accaduto,basterebbe questo particolare per definire situazioni allucinanti,tutto ciò deve risultare un'esperienza incredibile,in aggiunta alla morte che non può addebitarsi ad un evento naturale,bensì con le probabili pesanti responsabilità del personale carcerario.
Con i tragici casi che si stanno moltiplicando,è del tutto naturale la volontà di organizzarsi tra le stesse famiglie,nella ricerca della verità e della giustizia.

&& S.I. &&

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