venerdì 10 settembre 2010

La pesante verità di Andreotti sull'omicidio Ambrosoli



di Chiara Paolin

“Il senatore ha risposto con precisione e lucidità a tutte le domande. Quel che mi ha colpito di più è stata la sua pervicacia nel difendere Sin-dona dall’inizio alla fine. La battuta su Ambrosoli, che i guai se li andava a cercare da solo accettando l’incarico, è stato un episodio”. Alberto Puoti ha intervistato Giulio Andreotti lo scorso 23 febbraio per La Storia siamo noi, il programma di RaiDue diretto da Giovanni Minoli. Al centro della conversazione, una domanda pesante: perché venne ucciso quell’avvocato onesto e testardo che stava tentando di rimettere in sesto la Banca Privata Italiana denunciando il reticolo di intrallazzi tesi tra Stato, mafia italoamericana, massoneria e Vaticano sotto la guida salda dell’affarista siciliano Michele Sindona? Ieri sera, per lanciare la nuova stagione, è andata in onda una puntata bomba, con dichiarazione choc di Andreotti: “Non voglio sostituirmi alla polizia o ai giudici; certo, Ambrosoli è una persona che in termini romaneschi se l’andava cercando”. Quanto a Sindona, il sette volte premier non risparmia un riconoscimento di credibilità all’uomo già definito “salvatore della lira” in quanto capace di creare per la prima volta in Italia un sistema di scatole cinesi in cui gli interessi di pochi potevano prevalere sui risparmi di tanti: “Non sono mai stato un sindoniano - ha detto Andreotti - ma non ho mai creduto fosse il diavolo in persona. Se diede soldi alla Dc? Per quello che so io, il partito non ha mai goduto di grandi possibilità finanziarie. Non credo che né Sindona o altri avessero largheggiato”. Ma le prove dei finanziamenti ci sono, come ha certificato nel 1982 la Commissione parlamentare sul caso Sindona. Umberto Ambrosoli, figlio dell’avvocato, ha reagito con serenità: “Sono affermazioni che si commentano da sole”.

La memoria

che non ritorna

ACCESELEREAZIONInella politica, da sinistra a destra. Leoluca Orlando, Idv: “Andreotti ha infangato la memoria del coraggioso Giorgio Ambrosoli, assassinato per la sua onestà”. Alfredo Mantovano, Pdl: “Ambrosoli non se l’è andata a cercare, ha ricevuto un incarico gravoso. Sorprende che 30 anni dopo il presidente Andreotti continui a mostrarsi più vicino a Sindona che all’avvocato”. Viste le polemiche, il senatore ha corretto il tiro: “Sono molto dispiaciuto che una mia espressione di gergo romanesco abbia causato un grave fraintendimento sulle mie valutazioni delle tragiche circostanze della morte del dottor Ambrosoli: intendevo fare riferimento ai gravi rischi ai quali il dottor Ambrosoli si era consapevolmente

esposto con il difficile incarico assunto”. Ovvero, non volevo dire che ad Ambrosoli stava pure bene venir ammazzato per la strada a 46 anni, ma che era un rischio mortale mettere le mani nel cuore degli interessidiStato:paroladelpiù longevo e potente politico della Prima Repubblica, di quel presidente del Consiglio cui Ambrosoli stesso chiese di chiudere i rapporti con Sindona per proteggere i risparmi (e la dignità) degli italiani.

Commovente ieri sera il ricordo della moglie Annalori, che raccontava di aver trovato tra le carte del marito una lettera indirizzata a lei: “Anna carissima , è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della Banca Privata Italiana, atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica. È indubbio chepagheròamoltocaroprezzo l’incarico: lo sapevo prima diaccettarloequindinonmilamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il Paese. Qualunquecosasucceda,tusaiche cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere, costi quello che costi". Annalori lesse, capì, ma non ne parlò mai col marito. Un eroe borghese e riservato, buono per fare polemica anche trent’anni dopo la sua morte, mentre - da Mokbel a Cariverona - la cronaca continua a dirci come l’Italia abbia imparato poco da quel sacrificio.



Il re della prima repubblica prima si lascia scappare ciò che pensa da quei tempi,e dopo asserisce d'esser stato frainteso,evidentemente durante il tempo della senilità ci si lascia andare,e successivamente si chiede scusa con il classico "pardon".
Anche perchè il suo amico e referente era Sindona,uomo potentissimo legato alla criminalità organizzata,mentre Ambrosoli con le sue indagini aveva recato parecchio fastidio,e naturalmente lasciato solo,come capita spessissimo in questo paese.

&& S.I. &&

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