martedì 13 luglio 2010

Stalking,uno dei tanti racconti dell'orrore





I numeri consigliabili per chi è sotto stalking,prima di denunciare meglio rivolgersi a persone professioniste nel dar consigli.


di Silvia D’Onghia

La storia di M. è una delle tante storie di donne vittime di stalking. M. trova il coraggio di parlare oggi, a tanti anni di distanza da quegli episodi. Anni in cui alla vergogna è subentrato il rimorso, e poi il desiderio di vendetta, e poi ancora la voglia e l’impossibilità di dimenticare. Una ferita difficile da curare, che la porta a tremare ogni qualvolta vede una mano alzata verso di lei, anche solo per gioco. Oggi M. ha una figlia piccola e un complicato rapporto col genere maschile. “Avevo quasi 18 anni, frequentavo l’ultimo anno di scuola. Lo conobbi ad una festa in una caserma dell’Aeronautica, dove lui faceva il militare. Forse, come molte ragazzine, mi feci affascinare dal blu della divisa. E all’inizio sembrava realmente un principe azzurro, uno che voleva fare sul serio. Con tanto di buona famiglia alle spalle. Aveva tre anni più di me, mi diceva di essere diplomato con un voto alto. Un ottimo partito anche per i miei genitori”. Soprattutto in un provinciale capoluogo del sud Italia, dove le violenze domestiche sono all’ordine del giorno.

“Passò qualche mese prima che io cominciassi a sospettare qualcosa. Un normale pomeriggio d’autunno fui chiamata d’urgenza al telefono mentre frequentavo la mia lezione di danza. Era lui. Mi annunciava che sarebbe venuto a prendermi subito, perché era successa una cosa grave. Mi spaventai, naturalmente. E mi preparai in fretta. Arrivò dopo 10 minuti. Teneva tra le mani un foglietto che aveva trovato tra i miei appunti, evidentemente rovistando nel mio zaino. Era il messaggio di un collega dell’università (all’epoca non c’erano ancora gli sms) che mi invitava a studiare insieme”. Mentre ci racconta questa storia, M. non smette di tormentarsi le mani e il viso.

“Quel pomeriggio cominciò l’inferno. Domande su domande, minacce, intimidazioni, botte. Dalla mattina successiva pretese di accompagnarmi in facoltà, fin quasi dentro l’aula, e di venirmi a prendere. E guai se mi fermavo a chiacchierare con qualcuno. Ogni sera si piazzava a casa mia, voleva cenare con me, e se ne andava solo a tarda sera. Con la scusa di dovermi accompagnare, s’impossessò del mio motorino, e anche della macchina che mi avevano regalato i miei per i 18 anni. Pian piano mi allontanò da tutti gli amici, dapprima stupiti, poi rassegnati per il mio strano atteggiamento”. Eppure M. era una ragazza piena di amici, attiva politicamente: scuola, danza, federazione di partito, grigliate notturne in riva al mare. In poche settimane tutto questo era diventato un sogno.

“Mi ricordo che un pomeriggio mi accompagnò a casa di un’amica a studiare. Poi, dopo non molto, citofonò e mi fece scendere. Senza motivo si avventò su di me, mi strappò di mano le chiavi di casa mia, mi sferrò un ceffone. Poi se ne andò, lasciandomi in lacrime in quel portone. Ma l’episodio più grave si verificò qualche giorno dopo. Era pazzo di gelosia, sosteneva che io avessi un altro, ma non era vero. Eravamo soli in casa. Mi fece la solita scenata, poi mi scaraventò contro un muro e mi mise le mani alla gola. Non so da dove mi venne la forza di gettarlo a terra. Cadde sullo spigolo del letto, si ferì sulla fronte. Fui costretta ad accompagnarlo al pronto soccorso. Voleva denunciarmi”. Invece M. non trovò mai il coraggio di farlo: “Mi vergognavo. Non so perché, ma non riuscivo a raccontarlo a nessuno. Né ai miei genitori, né ai miei amici. Figuriamoci se potevo andare dai carabinieri. Come ne uscii? Fuggendo, letteralmente. Una sera, con la scusa di volergli mettere la benzina, mi tenni la macchina. La mattina dopo, all’alba, scappai. Raggiunsi una parte della mia famiglia, che nel frattempo si era trasferita al nord”. Ma l’incubo non finì: “Venne a cercarmi. Rimanemmo chiusi in casa per molte ore, fino a quando mia madre, con un atto eroico, non lo accompagnò in stazione e lo costrinse a prendere il primo treno. Poi avvertì la sua famiglia. Ci ho messo dieci anni prima di riuscire a smettere di pensare a quella persecuzione”. Poi, due anni fa, lui è tornato: “Ha rintracciato il mio numero di telefono, mi ha sommerso di sms anonimi. Mi faceva i complimenti per il mio lavoro, diceva di volermi rivedere. Quando ho capito chi era, l’ho fatto chiamare da mio marito che ha minacciato di denunciarlo. È sparito. Almeno per ora”.



Una piaga che si sta allargando sempre di più,i casi di stalking riguardano perlopiù la stragrande maggioranza di donne,inconsapevolmente iniziano un vero inferno grazie a chi vede come oggetto e possesso la figura femminile.
La storia raccontato nell'articolo del Fatto quotidiano potrebbe essere una perfetta fotocopia di moltissime altre vicissitudini.

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