mercoledì 3 febbraio 2010

Marchionne,la Chrysler e il sacrificio di Termini Imerese


Stasera su La7,Tetris condotto da Luca Telese tratterà interamente l'argomento




di Srefano Feltri
Nel 2004 si insedia alla guida di una Fiat praticamente distrutta, la risana, lancia la 500, porta il titolo a 24 euro (ora ne vale circa 9). E il manager abruzzese trapiantato in Canada diventa una specie di Barack Obama aziendale, il messia che è riuscito a salvare la più grande società del Paese da un collasso all'apparenza inevitabile.

Poi succede che Marchionne inizia a dire che dopo la crisi resteranno soltanto pochi produttori e quindi è meglio essere predatori che prede. Prova a conquistare la Opel, non ci riesce, ma nel gennaio 2009 mette le mani sulla più piccola delle Big Three di Detroit, l'agonizzante Chrysler. E a quel punto si inizia a capire che, forse, su Marchionne in Italia si sono sbagliati in molti. Quando Obama dice che ha deciso di concedere un prestito ponte a patto che Fiat ci metta le tecnologie per costruire auto a minore consumo. E Fiat appare improvvisamente simile al suo capo operativo, italo-americana, globale.

Il manager dal maglione blu non è (o almeno non pienamente) quell'esponente di una neo-borghesia illuminata pronta a una vocazione politica, a risanare oggi l'azienda e, magari, domani il Paese. E' un manager anglosassone che vuole far sopravvivere l'azienda, massimizzare il valore per gli azionisti e quindi distribuisce i dividendi nonostante un bilancio in rosso di 800 milioni perché i mercati devono credere al suo ottimismo sul futuro di Fiat-Chrysler. E poi, il giorno dopo, mette in cassa integrazione 30 mila dipendenti in Italia, così il governo si rende conto di che succede se crolla la domanda (e quindi farà bene a sganciare in fretta i nuovi incentivi alla rottamazione).

Marchionne non è di sinistra nel modo in cui qualcuno lo immaginava. Parla di socialdemocrazia, certo, ma non è disposto a farsi interprete di un nuovo assistenzialismo. Quindi Termini Imerese, in Sicilia, chiuderà a fine 2011. Non si torna indietro. Perché se la vecchia Fiat poteva reggersi sull'opaco scambio occupazione contro sussidi, quella di Marchionne non può. E' un'azienda nuova. E Marchionne non è quel salvatore della patria che molti avevano immaginato. Soltanto un manager, senza ambizioni politiche e senza velleità "di sistema", non un ministro dell'economia ombra, ma un dirigente d'azienda. Esemplare di una specie rara in Italia.




Non mi addentro sul perchè del taglio di Termini Merese,ma se Marchionne insiste nell'impopolarità del sacrificio,evidentemente avrà le sue ragioni,si dovranno studiare le alternative possibili,magari un service dell'indotto o la vendita ad altra società d'auto,se apparisse qualche compratore chiaramente.

Il dietro-front sempre di Marchionne,nell'arco di un anno è dovuto alla stangata economica che ha coinvolto globalmente,rallentando addirittura l'economia cinese,la scommessa Chrysler chissà se avrà fortuna,ma sicuramente gli occupati nel settore auto non saranno più quelli di prima,un pò per la saturazione del mercato e molto di più per le delocalizzazioni produttive,per vendere tocca abbattere i costi e le economie emergenti sono imbattibili su questo piano.

A tutti i livelli per molti decenni l'occidente dovrà rifarsi i piani occupazionali,trovare lavoro per milioni di persone sarà davvero un'impresa titanica,ovviamente il graduale impoverimento è un aspetto già molto visibile in questo momento.

Forse la green economy,con il post inserito stasera sul blog freedom,potrebbe essere un'idea percorribile,perlomeno per una buona fetta di potenziali lavoratori nel settore.

&& S.I. &&

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