martedì 26 gennaio 2010

Immigrazione,le migliaia di disperati che passano attraverso Gorizia


A confronto gli sbarchi a Lampedusa e lungo le coste del mezzogiorno sono nulla

A Nova Gorica, il varco da cui ogni anno entrano in Italia migliaia di immigrati
di Elisabetta Reguitti





Le migrazioni irregolari a Gorizia le ha risolte il trattato di Schengen del 20 dicembre 2007, data della “caduta” del confine italo-sloveno. Fino a quel giorno questa città-simbolo fra est e ovest, considerata ai tempi della Guerra fredda il “confine più aperto d’Europa”, rappresentava un facile ingresso per chi fuggiva dalla miseria e dalla mancanza di libertà lungo i sentieri dei Balcani. C’era di tutto: dai turchi di etnia armena ai serbi fino ai pachistani. Solo gli sbarramenti confinari ufficiali di Sant’Andrea e della “Casa Rossa” non erano accessibili ai profughi. Ma già nelle immediate vicinanze, nella immediata periferia della città, e soprattutto lungo i sentieri di campagna e del Carso, per anni ci sono stati i massicci flussi di disperati che, con quel poco che avevano in tasca e con figli e vecchi sulle spalle, entravano in Italia accompagnati da spregiudicati passeurs la cui prestazione era pagata a peso d’oro. Prima di varcare la frontiera, quasi sempre di notte, si liberano dei propri documenti per diventare fantasmi anonimi. Il tragitto portava i più sulla statale Gorizia-Trieste (denominata il Vallone) che corre parallela al confine. Un confine “colabrodo” controllato a vista dai graniciari (milizia di frontiera) di Tito fino alla caduta della Jugoslavia, poi di fatto libero. E che in città, a Gorizia, era protetto da una rete solo davanti alla stazione della Transalpina, quella che il giornalista e scrittore triestino Paolo Rumiz – anche per fotografare la collaborazione che Gorizia e la dirimpettaia città slovena di Nova Gorica avevano saputo allacciare – aveva ribattezzato con efficacia il “muretto di Gorizia”. Contrapponendolo al più celebre e drammatico Muro di Berlino. Negli anni è diventato tutto più semplice sia per Trieste sia per Gorizia: di là, a Nova Gorica, ci sono i casinò e le file di auto italiane passano con un’attesa inferiore a quella sofferta ai caselli dell’autostrada. Ma nel 2000, attraverso il confine italo-sloveno, sono passati circa 17 mila irregolari e, di questi, solo il 10 per cento è stato rimandato indietro. Una vera e propria invasione silenziosa se paragonata, nello stesso periodo, alle più modeste cifre degli sbarchi sulle coste siciliane, calabresi e pugliesi, che però generano più allarme e fanno più notizia. Nel 2000, per ogni clandestino che approdava sulle coste italiane, ce ne erano 15 che varcavano il confine italo-sloveno. E dietro questo traffico c’erano organizzazioni criminali turche, croate, serbe, slovene e italiane: nel porto turco di Smirne, un clandestino pagava 5 mila euro per salire su una carretta del mare. Ce ne volevano 10 mila, invece, per stipare un nucleo familiare in un Tir che dalla Turchia viaggiava lungo la ex Jugoslavia fino a Nova Gorica, da dove i passeurs li guidavano in Italia.

Oggi è diverso. Per gli irregolari il viaggio più difficile finisce al confine tra la Slovenia e la Croazia. Poi ad aspettarli ci sono le auto che li conducono lungo lo Stivale. Oggi non esiste nessun controllo di frontiera perché non esistono più i confini. E intercettare gli immigrati appartiene alla casistica dei fermi per i normali controlli su strade e autostrade. Oggi i problemi, per queste terre di confine (le ultime ad essere state smilitarizzate) un tempo ferite dall’odio tra italiani e sloveni, dalle foibe e dai campi di concentramento (come il lager nazista della risiera di San Sabba a Trieste) sono altri. Hanno nomi come Cie (centro di identificazione ed espulsione qualche anno fa denominato più cortesemente Cpt, centro di permanenza temporanea), Cara (centro accoglienza richiedenti asilo) oppure ancora Sprar (sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati) o Cir (consiglio italiano dei rifugiati). Acronimi sempre nuovi per descrivere realtà di ospitalità “condizionata”. Mondi troppo spesso paralleli con regole diverse e in continua, frenetica evoluzione. Difficili da seguire anche per gli stessi operatori, impegnati a risolvere i problemi quotidiani di persone in fuga dai propri paesi di origine. Cibo, alloggi, vestiario. Ma soprattutto una possibilità di futuro per coloro che riescono a ottenere il riconoscimento di rifugiato politico: circa il 20% dei richiedenti. Sono loro, oggi, la vera emergenza lanciata dalla Caritas di Gorizia. Che rischia di scoppiare. Tra settembre 2008 e marzo 2009 ha accolto quasi 600 immigrati dimessi (allo scadere dei 6 mesi) dal Cara: oggi sono una sessantina a fronte di una capienza massima non superiore a 42 posti. I richiedenti asilo sono senza soldi, senza prospettive e non sanno dove andare. Sono persone che rischiano di essere inghiottite dalla criminalità perché non hanno occupazione. “Li manteniamo a spese nostre”, ci racconta il direttore della Caritas don Paolo Zuttion. Dieci euro al giorno per ogni immigrato in attesa del riconoscimento a fronte dei 40 euro del Cara dove si può stare sei mesi, non un’ora in più. Poi finisci per strada. Come nel caso di quella ragazza che era stata “gentilmente” invitata a lasciare il Cara. Si è scoperto, poi, che era incinta. “Noi abbiamo ospitato 620 persone in un anno. Allo Stato ognuna di loro sarebbe costata 800 euro – prosegue il sacerdote – Abbiamo chiesto al prefetto di Gorizia di sottoscrivere una convenzione ma stiamo ancora aspettando”. Non vanno certo meglio le cose rispetto ai contributi elargiti dall’amministrazione comunale, che tra il 2008 e il 2009 ha tagliato ben 16 mila euro sulla gestione del dormitorio di piazza Tommaseo: un servizio per i senza fissa dimora (pochi) che viene usato per i richiedenti asilo che escono dal Cara (tanti). Che raccontano storie tutte diverse, anche se uguali nella drammatica sostanza. Intanto però gli operatori e i volontari cercano di districarsi nella giungla degli acronimi dei tanti (troppi) progetti ministeriali funzionanti sulla carta ma meno nella realtà delle cose. Procedure complesse da capire, anche per i più esperti. Difficili da applicare. Soprattutto quando mancano le risorse.


Stranamente se ne sente parlare una tantum del passaggio di migliaia di extracomunitari dal confine italo-sloveno,quasi come fosse una zona franca,non dovrebbe essere difficile restringere le maglie nel contenere il fenomeno.
Ma sono le contraddizioni volute politicamente,buona parte delle migliaia di persone che varcano il confine orientale dell'Italia,eccome servono,tutta manovalanza a basso costo senza trascurare il fenomeno della prostituzione.
Solo in questo modo si spiega il non vedo,non sento e non parlo....

E' proprio vero,fare i marinai anche per pochi giorni,è una vitaccia che si paga anche con la vita,e magari si ritorna al punto di partenza come nel gioco del monopoli.

&& S.I. &&


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