domenica 31 maggio 2009

Marco Bellocchio,il paese conformista come durante il ventennio

Il suo film "Vincere", che ha diviso l'ultimo Festival di Cannes, racconta la storia tragica della donna che diede un figlio al Duce



PORDENONE Al Festival di Cannes, Marco Bellocchio ha spaccato in due la critica: il suo film "Vincere", la storia drammatica di Ida Dalser che diede un figlio a Benito Mussolini ma poi, considerata una minaccia per l'irreprensibile quadretto famigliare del Duce con la moglie Rachele, fu confinata dal regime in manicomio, ha entusiasmato la stampa straniera e lasciato più perplessa quella italiana. "Vincere", intanto, è quarto al box office e Bellocchio è pronto a testare la reazione del pubblico: questa sera presenterà personalmente il film a Cinemazero di Pordenone, prima della proiezione delle 21.15.

Ieri sono arrivate anche sei candidature ai Nastri d'Argento, tra le quali quella alla miglior regia, a Giovanna Mezzogiorno come miglior attrice, a Filippo Timi come miglior attore e a Francesca Calvelli, compagna di Bellocchio nella vita, per il montaggio. Tutte le candidature sono meritate: "Vincere" è un melodramma coinvolgente che intreccia, con inventiva stilistica, l'amore caparbio e assoluto di Ida per il Duce con l'ascesa del fascismo. E riunisce alcuni dei temi ricorrenti nella filmografia del regista, da "I pugni in tasca" a "L'ora di religione", da "La balia" a "Il regista di matrimoni": l'intreccio fra storia e dimensione privata, la ribellione (anche qui declinata al femminile, come in "Il diavolo in corpo" e "Buongiorno, notte"), il sopravvento dell'inconscio, la presenza inestirpabile della Chiesa. Bellocchio è un baluardo del cinema italiano laico, "engagé" e autoriale, non ha mai abbassato la guardia sulla ricerca estetica ma gran parte della credibilità del film, in questo caso, gravava sugli attori, Giovanna Mezzogiorno e Filippo Timi.

Ridare un volto a Benito Mussolini e a Ida Dalser non era compito facile: come ha scelto i protagonisti?
«La scelta di Timi è stata più facile perché ha un'aderenza fisica con Mussolini che gli permetteva di rappresentarlo giovane e potente, ma anche il talento per incarnare l'opposto, la fragilità del figlio Benito Albino. Giovanna Mezzogiorno ha un viso terribilmente giusto per il personaggio e in più una grande capacità di reazione fisica, un temperamento tenace, duro, nordico come Ida».

Come si è documentato sulla vicenda di Ida Dalser?
«Le fonti sono il bel libro ricco di notizie "La moglie di Mussolini" di Marco Zeni (ed. Effe e Erre, ndr.), quello più giornalistico di Alfredo Pieroni ("Il figlio segreto del Duce: la storia di Benito Albino Mussolini e di sua madre Ida Dalser", ed. Garzanti, ndr.) e il documentario "Il segreto di Mussolini" di Fabrizio Laurenti e Gianfranco Norelli. Poi ho fatto alcuni giri in Trentino nella zona di Ida, ho trovato le sue cartelle cliniche nell'ospedale di Pergine e ho parlato con la gente di Sopramonte, il suo paese».

In una sequenza Ida, riportata in manicomio dalla folla che protesta, dice alla sua gente: "Non dimenticateci". La sua speranza si è avverata?
«Sì. A Sopramonte il ricordo di questa donna, di questa eroina, è ancora molto vivo. Tant'è vero che l'episodio del film in cui Ida mostra una pistola al figlio e gli dice "Qui c'è un colpo solo, è per il cuore di tuo padre" è stato raccontato a un mio collaboratore da una signora anziana. Attorno a Ida e contro il fascismo c'era una sorta di difesa da parte dei compaesani forse anche perché, fino a pochi anni prima, quello era territorio austriaco».

Che ruolo ha la presenza della Chiesa nel film?
«Non c'è un attacco particolare nei confronti della Chiesa, ma si stigmatizzano due cose. La prima è che Mussolini, laico e mangiapreti, per arrivare al potere assoluto ha avuto bisogno di fare un accordo con la Chiesa. L'altra è un certo tipo di ideologia cattolica, in qualche modo presente anche oggi anche se espressa con parole diverse, che sottolinea la rassegnazione e la carità, sostiene che la vita è un passaggio, che la parte migliore viene dopo. Sono cose che non condivido per niente ma, in quel contesto, erano messaggi che servivano a confortare dalla tragedia dell'isolamento manicomiale. In tempi di disperazione questa mentalità è benemerita, ma non è sufficiente. E non manda avanti il mondo».

Come in "Buongiorno, notte", anche in "Vincere" ha inserito immagini di repertorio che rinforzano l'impronta storica del film...
«Ho pensato subito che la storia potesse essere rappresentata attraverso immagini reali. Mi servivano anche come strumento di sintesi, perché il film in due ore racconta trent'anni. Avevo la possibilità di mostrarle utilizzando una serie di situazioni in cui i personaggi sono al cinematografo che, in quell'epoca, era popolare come la televisione oggi».

Nel film usa didascalie, sovraimpressioni, grafica: lei stesso l'ha definito un "melodramma futurista".
«Ho creato un linguaggio, divenuto definitivo durante il montaggio, che utilizza anche connessioni irrazionali ma non dissociate, come l'idea di condensare in pochissimi secondi l'attentato di Sarajevo, i funerali degli arciduchi, Mussolini nudo che s'immagina già di essere al balcone di Palazzo Venezia. Tutto, anche l'uso della didascalia in chiave di "futurismo rivoluzionario" un po' come le didascalie aggressive di Ejzenstejn, vuol essere espressivo, non esplicativo. Abbiamo cercato in modo abbastanza empirico di esaltare i momenti importanti, anche con apporti grafici».

Guardando "Vincere" nei giorni caldi della bufera mediatica che ha investito il premier Berlusconi è inevitabile pensare a quanto, oggi come allora, le vicende private entrino in politica...
«Quando ho pensato di fare questo film non ho affatto considerato di proporre una relazione col presente, o di attaccare Silvio Berlusconi. Nel confronto con la realtà attuale, però, viene fuori qualcosa di più riferito non tanto alla persona singola di Berlusconi, ma ad un clima generale di disperazione, insensibilità, cinismo. Mi sembra che la gente si sia arresa: il consenso verso Berlusconi non è mai entusiastico, è come se non ci fosse niente di meglio».

Suona come una critica alla sinistra...
«Lo è: l'opposizione non sa proporre ai suoi "naturali" elettori, come gli operai e i precari, una risposta più convincente della demagogia populista del premier. Se la maggior parte degli operai vota per Berlusconi vuol dire che c'è qualcosa che la sinistra non riesce a comunicare, che non si riescono ad opporre delle idee convincenti. In questo senso c'è un clima simile all'epoca raccontata dal film: nel fascismo c'era un forte conformismo, lo stesso che si respira qui oggi anche se non siamo in una dittatura ma in una "democrazia autoritaria", per usare le parole di Eugenio Scalfari».

Nel 2006 si è candidato alle elezioni con La Rosa nel Pugno. Ha mai pensato di tornare in politica?
«Assolutamente no. Quella era una candidatura simbolica: La Rosa nel Pugno, un partito laico che univa socialisti e radicali e propugnava idee che condividevo, era fragilissimo e così ho dato la mia adesione anche formale. Ma per me stare in Parlamento, o anche solo in un consiglio comunale, sarebbe come suicidarmi. Ho bisogno di una libertà assoluta, di alzarmi, di muovermi. E lo dico con rispetto di chi passa la propria vita sugli scranni».

[ da l'Espresso ]


Questa deriva razzista,molto ben interpretata dall'attuale esecutivo,è la verifica,o meglio lo specchio fedele della maggioranza degli italiani,bene ha fatto il bravo regista ad approfondire l'importante argomento,si sta effettivamente diffondendo il conformismo verso chi comanda o sostiene costoro,diventando complici passivi,ma inesorabilmente determinanti.


[ post inserito da Kenzo ]

2 commenti:

giorgio ha detto...

Eh si Ivo (& friends) le prerogative giuste per la ripetizione del ventennio ci sono tutte, lassismo del popolo compreso.
A presto, Giorgio.

Gianna ha detto...

Sei per la beneficenza. Anch'io.