giovedì 8 gennaio 2009

Las Vegas in crisi profonda,il sistema occidentale scricchiola

Fermo il boom che pareva infinito. I casinò del futuro hanno bloccato i cantieri



Più che una città, Las Vegas è da sempre uno state of mind. Una metafora: capitale del vizio, regno dell'effimero, paese di sogni e balocchi. Quando la crisi economica che ha messo in ginocchio le metropoli americane ha colpito anche Las Vegas, è stato un trauma collettivo per il paese. «La recessione significa crisi di identità per Las Vegas», spiega l'Associated Press in un lungo reportage ripreso da dozzine di giornali, grandi e piccoli. Sì, perché da quando fu fondata nel deserto del Nevada dai mormoni, nel 1855, la città occupa un posto unico e speciale nell'immaginario collettivo dell'America. Oltre ad aver ispirato centinaia di film cult, tra cui Proposta Indecente, Via da Las Vegas e Ocean's Eleven, resta l'unico luogo al mondo dove la prostituzione è legale, Piazza San Marco gareggia con la Torre Eiffel e le Piramidi ed è possibile sposarsi e divorziare in un'ora.

Il boom, negli ultimi 20 anni, sembrava inarrestabile. Con un tasso di disoccupazione tra i più bassi del Paese, gru e cantieri ovunque, la città vantava 140 mila stanze d'albergo e 40 milioni di visitatori annui. Per non parlare delle 10 nuove scuole inaugurate ogni anno per accogliere la marea di nuovi emigranti — poveri e ricchi, neri, bianchi, ispanici e asiatici — attratti dalla promessa di un posto sicuro e di una villa con palme e piscina per tutti. Ma verso la metà del 2008 la ruota della fortuna si è inceppata. Tutto d'un tratto il prezzo delle case è crollato, i turisti diminuiti e i cantieri bloccati. Il primo a mandare a casa gli operai è stato l'Echelon Las Vegas. Un colosso da 5 miliardi di dollari che nell'intenzione dei suoi architetti doveva essere il più immenso albergo al mondo: sei hotel di cinquemila stanze collegati tra loro da parchi, piscine, negozi, ristoranti, teatri e casinò. Per far posto al progetto la città ha demolito lo storico Stardust. Ma dopo 12 piani e un anno di lavori, in agosto i soldi sono finiti e nessuno sa se l'Echelon sorgerà mai.

L'effetto domino sul resto dell'industria immobiliare e sul mercato del lavoro è stato devastante. «Un tempo a Las Vegas era impossibile non trovare lavoro», si lamentano gli abitanti. «Adesso è vero il contrario». Oggi la città primeggia nei sondaggi negativi: il doppio di suicidi rispetto alla media nazionale, numero record di studenti che abbandonano il liceo, record di cittadini senza assicurazione medica. Certo, non è la prima volta che Las Vegas deve fare i conti con una crisi. Ma le due precedenti, alla fine degli anni '90 e dopo l'11 settembre, furono passeggere e circoscritte all'industria del turismo. «Tutti se ne dimenticarono appena i soldi ripresero a scorrere — spiega Michael Green, docente di storia al College of Southern Nevada —, in perfetto spirito lasveghiano». Questa volta è diverso. «È come se la crisi ci abbia fatto realizzare che la nostra prosperità era un'illusione», incalza Green. All'improvviso l'incognita del futuro attanaglia la città che ha sempre e solo vissuto sul presente, «nessuno sa che volto e anima avrà la nuova Las Vegas». Gli unici ottimisti sono i responsabili della Las Vegas Convention and Visitors Authority che continua ad avere un budget di 220 milioni di dollari all'anno per «vendere» la città all'insegna dello slogan «Ciò che accade qui resta qui». «Il problema — spiega Green —, è che a Las Vegas ormai non accade più nulla».

[ da Corsera ]

Il fiore all'occhiello del capitalismo,del liberismo,dello sfarzo fine a se stesso,fate voi altre riflessioni se ne avete,sta implodendo,forse il simbolo più tangibile della fine d'un epoca,sicuramente non è il colpo fatale e definitivo al capitalismo,ma le crepe non riescono più a nasconderle,non ho idea come si profilerà il futuro tra molti anni,spero in generazioni più virtuose,meno egoiste e fameliche,affinchè la ricchezza mondiale sia più equamente distribuita,fare le fette di torta più piccole non è un segnale di mancanza meritocratica,bensì un segno di giustizia sociale con le dovute differenze per ognuno di noi.

Per rendere l'idea,un pò tutti più comunisti,meno capitalisti,senza essere entrambi!!

[ post inserito da Kenzo ]

4 commenti:

Stefania - The Italian Backpacker ha detto...

Bel blog! Io sono rimasta un po' perplessa dalle parole di Lippi, ma non avevo letto tutta l'intervista.
Tanti saluti dall'Inghilterra,
Stefania memole

Anonimo ha detto...
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Anonimo ha detto...
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