giovedì 17 dicembre 2020

La coreografia delle primule covid che avrei evitato

 










Primule e Covid.
E’ come comprare l’astuccio di velluto prima dell’anello

di Alessandro Robecchi 

Piccola doverosa premessa: non ho nulla – ma proprio nulla – contro le primule, tutte le oltre cinquecento specie di piante primulacee che rallegrano i prati nelle nostre primavere. E non ho nulla – anzi – nemmeno contro l’architetto Stefano Boeri che con tanto entusiasmo ci ha spiegato il perché e il percome della scelta di questo allegro fiorellino, con riferimenti colti (il Verrocchio, Pasolini, Sergio Endrigo perché “ci vuole un fiore”). Eppure questa bella edificante operazione di comunicazione & vaccinazione che prevede la collocazione di 1.500 padiglioni montabili nelle nostre piazze, risveglia certi anticorpi italiani allenati da anni e anni di soldi buttati, bellurie inutili, tentativi di rendere glam una necessità, e addirittura di farsi fighi – smart, fashion, friendly – per uscire dall’emergenza con una piroetta elegante, à l’italienne. 
 Lanciata dal commissario Arcuri, abbracciata con entusiasmo da Boeri, plaudita di qui e di là, l’idea è circolata bene, anche senza allegati: tempi e costi non si conoscono. L’architetto Boeri ha lavorato pro-bono, molti altri lo faranno, ma insomma: materiali, impianti elettrici, legni, viti, impianti di energia solare qualcosa costeranno. Tenterò dunque di mettere a tacere i miei anticorpi italiani, quelli che mi ricordano il pupazzo Ciao dei mondiali del ’90, notti magiche, quando buttavamo i soldi dalla finestra in opere inutili (e alcune mai finite). Oppure – feticismo per lombardi – i 23 milioni spesi in tablet da Roberto Maroni per votare elettronicamente a un referendum-fuffa sull’autonomia lombarda. “Dopo serviranno alle scuole”, si disse. E le scuole si accorsero di avere in mano migliaia di fermacarte di due chili totalmente inutili.
Ecco, diciamo che terrò a bada le mie madeleine ultraitaliane. Epperò… Siccome vivo qui e non in una foresta del Borneo, capisco perfettamente l’esigenza di una grande campagna di informazione, sprone alla vaccinazione di massa, persino entusiasmo nello sforzo collettivo. Per cui immaginavo cinema vuoti, teatri, caserme, palazzetti dello sport, comandi dei vigili, oltre naturalmente alle asl, ospedali, studi medici, trasformati in posti per vaccinare la gente. E se apri un ambulatorio in un quartiere e poi lo lasci aperto dopo il Covid, pubblico, gratuito come articolo 32 della Costituzione comanda, non è che qualcuno si offende. E magari obbligare una clinica privata a destinare qualche spazio al pubblico per iniettare vaccini costa meno di un padiglione primulato. Ma non è nemmeno questo – l’ottimizzazione delle risorse pubbliche – che stride, che irrita. 
C’è qualcosa di più profondo, che potremmo chiamare “sindrome da Expo” e che i milanesi conoscono bene. E’ quella vernicetta luccicante che si usa mettere per coprire le magagne. Bella e glamour, molto moderna e apprezzata: “Ne ha scritto il New York Times!” (me’ cojoni, ndr), che somiglia molto alla costruzione a tavolino, dall’alto, di un entusiasmo collettivo, e non riesce quasi mai. 
E’ come comprare l’astuccio in velluto prima dell’anello, o pensare al portachiavi prima di comprare la macchina. Trattasi, insomma, di propaganda, almeno finché non saremo sicuri che si troveranno i 3.000 medici e i 12.000 infermieri per far funzionale gli avveniristici padiglioni. E soprattutto che ci saranno tutti i vaccini da iniettare alla popolazione. Fino ad allora – fino alle garrule file attorno alle primule – la faccenda sa di bella confezione, gradevole fiocchetto, presentazione elegante. 
Il regalo, invece, chissà. Auguri.

Dal blog AlessandroRobecchi.it

Sono d’accordo,si imbelletta una distribuzione di vaccini senza badare al sodo e soprattutto al risparmio,e non vorrei che tale coreografia ritardasse a metà gennaio ciò che potrebbe essere distribuito già a fine del mese,risulterebbe grave e colpevole, considerato che la vaccinazione andrebbe a proteggere le categorie più a rischio. 
Avrei evitato gli studi medici di base che sono già stati e continuano ad essere punti nevralgici del covid e di ogni malattia,con i medici già a rischio e stressati da quasi un anno. Ma c’erano altre possibilità di sfruttare altre realtà come ha descritto lei,il buon senso pare che sia da molto tempo un optional in questo Paese,evviva le primule che portano la primavera anticipata…

I.S.

iserentha@yahoo.it

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