giovedì 19 luglio 2018

Racconto dettagliato della migrazione dall'Africa


















A casa loro, a casa nostra e per strada

di Alessandro Gilioli

Per diversi motivi, vorrei evitare di confutare qui le puttanate sull'immigrazione più clamorose, quelle propalate in cattiva fede o per semplice idiozia/razzismo: i "negri invasori", il "piano di sostituzione etnica di Soros", "le foto dei naufragi sono costruite e finte" - e altre cose così, che solo a discutere le si legittima. Del resto a nessuno verrebbe in mente di perdere tempo a contestare le teorie dei terrapiattisti o dei raeliani.

C'è invece una recente argomentazione salviniana sui migranti che ha una sua apparente e insidiosa logica; è stata ripetuta da Conte nell'intervista pubblicata oggi sul Fatto, e l'ho risentita anche a Radio 24 questa mattina, propugnata dal collega Stefano Feltri.

L'argomentazione è questa: «Meno navi dalla Libia partono, meno migranti muoiono».

Intendiamoci, nel caso di Salvini è solo una frase di copertura, un abito buono per nascondere con una pittata di responsabilità quello che ha sempre scritto e detto in questi anni: parole di odio e disprezzo verso gli africani, che non devono stare nello stesso tram coi bianchi, emigrare per loro è una pacchia, sulle navi stanno in crociera, e "sei un grande" al ragazzino che dice "mi stan sulle palle i migranti". Insomma Salvini lo conosciamo.

Ma al netto di Salvini l'argomentazione di cui sopra ha, appunto, una sua apparente logica: se i barconi non partono, nessuno affoga.

Il bug di questo pensiero, tuttavia, sta nella frase che è sfuggita oggi proprio a Stefano Feltri, alla radio: «Perché sappiamo tutti che i migranti partono dalla Libia».

E no, non è così.

Non partono affatto dalla Libia, anzi una volta su un molo della Libia la parte più lunga e atroce del viaggio - quella nel deserto, di schiavitù torture e stupri - è già alle spalle.

Partono dal Niger, dalla Nigeria, dal Gambia, dalla Repubblicana Centroafricana, dall'Eritrea, dalla Somalia, dal Sudan, dall'Etiopia, dal Sud Sudan, insomma partono da tutta l'Africa subsahariana dove (vuoi per guerre vuoi per fame vuoi per carestie e siccità, è assolutamente lo stesso) altrimenti muoiono - o molto rischiano di morire.

Quindi, ipotizziamo pure che nessuna nave parta più.

A questo punto le persone a rischio di morte nella loro terra (vuoi per fame vuoi per carestie e siccità, è assolutamente lo stesso) potrebbero comunque decidere di provare a partire verso il nord Africa sperando di arrivare in qualche modo in Europa, quindi andando a rischiare la vita nel deserto e sottoponendosi comunque a quanto sopra (schiavitù, torture e stupri, infine probabile decesso o vita in catene perché non riescono più né a partire né a tornare).

Oppure potrebbero lasciar perdere - sapendo che è diventato molto più difficile attraversare il Mediterraneo - e quindi morire o rischiare di morire nella guerra o siccità/carestia (è assolutamente lo stesso) in cui si trovano.

In sintesi: non morirebbe meno gente. Anzi probabilmente ne morirebbe di più. Però lo farebbe più lontano dai nostri occhi, dalle nostre telecamere, dai nostri titoli di tg.

Questo ci tranquillizzerebbe probabilmente la coscienza. A tutti eh, non solo ai razzisti (quelli che ne sono muniti, intendo). Non li vedremmo, i morti: non farebbero notizia, non sarebbero più un problema nostro (ammesso che ora qualcuno lo senta come tale).

Salvini e altri andrebbero perfino in tivù a sbandierare che il loro muro sul Mediterraneo ha salvato vite umane (!). Nessuno li smentirebbe perché a nessuno verrebbe in mente di conteggiare chi è morto nel posto da cui non è potuto partire, o lungo la strada.

Alla fine, quindi, è solo questione di intenderci.

Se ce ne fottiamo della morte per povertà o per guerra di centinaia di migliaia di persone (perché tanto sono cose che avvengono più lontano da noi, rispetto al Canale di Sicilia) va benissimo l'argomentazione Salvini-Conte: meno navi partono, meno persone muoiono; che bisognerebbe solo integrare con una postilla: meno navi partono, meno persone muoiono qui vicino, anche se ne muoiono altrettante o di più nei luoghi da cui volevano partire.

Se invece crediamo che salvare o non salvare una vita non sia una questione chilometrica, e che il mondo sia un piccolo angolo in cui abitiamo tutti insieme, è evidente che la frase di cui sopra è una solenne cazzata; e che la parte di umanità più ricca - se ha una coscienza - può utilmente ed egualmente provare a salvare le vite di altri esseri umani: a casa loro, a casa nostra e in mezzo alla strada.

DALL'ESPRESSO BLOG PIOVONO RANE

Non fanno una piega le sue considerazioni,la realtà di cosa sta avvenendo in quel continente è raccontata molto bene.
Direi che a questo punto tocca trovare delle soluzioni,penso che sia positivo l'inizio del cambiamento europeo in atto,ovvero quello di non lasciare sola l'italia.
Creare dei campi gestiti dall'Onu e dai paesi europei,nei quali le condizioni umane siano vivibili,filtrando l'emergenza e portando i profughi senza barconi nei Paesi dove è possibile l'integrazione,e che non siano cpt stile Buzzi e Carminati s'intende,o nei campi di raccolta ortofrutticoli dove sfruttare come animali queste persone.
L'altra colossale organizzazione,ci vorranno decenni,è di aiutare i popoli africani allo sviluppo nei propri Paesi e nel caso di guerre di sforzarsi a diplomazie possibili.

Poiché per quanto uno si sforzi nell'essere umanitario,ci sono miliardi di abitanti in estrema povertà su questo pianeta,pensare a uno spostamento integrale per risolvere questo immane dramma non ha senso.

I.S.

iserentha@yahoo.it

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