lunedì 21 dicembre 2015
La crisi irreversibile dei partiti tradizionali in Europa
Europa 2015: un tracollo e quattro scenari
di Alessandro Gilioli
Non è bastata una campagna a media unificati per far fuori il fantasma che da due anni si aggirava per la Spagna, quello di Podemos; né è bastata la strombazzatissima ripresa dell'economia del Paese, visibile nei numeri del Pil e nelle statistiche sfornate a getto continuo dai propagandisti del governo ma molto meno tra le persone comuni, che con l'austerità hanno perso lavori decenti per ritrovare a fine crisi soltanto minijobs con cui non arrivano a pagarsi l'affitto o il mutuo della casa.
Non è bastata nemmeno la creazione della linea giovani della destra economica, quel Ciudadanos che i sondaggi avevano pompato fino a farne il primo o il secondo partito e che invece si è fermato sotto il 14 per cento.
Né è bastato il volto fresco e telegenico del bel socialista Pedro Sánchez, quello che a Firenze sfilava in camicia bianca accanto a Renzi e ieri è riuscito a portare il suo partito al minimo storico, altri sei punti in meno rispetto al già disastroso risultato del 2011.
Non è bastato tutto questo e anche in Spagna assistiamo allo stesso fenomeno che coinvolge ormai quasi tutta l'Europa: un establishment politico legato ai dogmi economici vincenti da trent'anni che perde milioni di voti e batte drammaticamente in testa.
È la stessa cosa che è accaduta due volte quest'anno in Grecia - e la seconda nonostante le botte da orbi prese a Bruxelles - poi ripetutasi in Portogallo, mentre specularmente nell'est Europa il fallimento del partito dell'austerità liberista ha portato al governo i nazionalismi xenofobi: risposte diverse alla stessa domanda, inutile girarci intorno.
Così come una risposta diversa alla stessa domanda è stato il boom recente dei lepenisti francesi, fermati al secondo turno solo da una pregiudiziale repubblicana e antifascista alla quale probabilmente mi sarei accodato anch'io, ma nella piena consapevolezza della sua provvisorietà e della bancarotta politica e culturale che ci sta dietro.
Ecco: anche la Spagna certifica il dissesto di un sistema, di un pensiero, di un'economia e di una certa Europa: quella oggi dominante.
Ed è questo tracollo il grande tema paneuropeo di questi anni, con i quattro diversi scenari conseguenti: l'arrocco totale e suicida dell'establishment (è la strategia di Merkel e dei suoi sodali a Bruxelles, oggi impegnatissimi per un governo spagnolo di larghe intese); la sua parziale correggibilità per salvare la baracca (è la linea Renzi e un po' anche Hollande); il suo rovesciamento verso sovranismi postfascisti (Le Pen, Ungheria, Polonia); o infine il suo superamento in senso neosocialista e welfarista (Podemos, Tsipras, Corbyn, il nuovo governo portoghese).
Adesso vedremo quale di queste strade verrà imboccata in Spagna.
L'Europa, la Troika e il governo di Berlino premono già, come si è detto, per un'alleanza tra destre e socialisti: del resto sarebbe la stessa maggioranza che governa a Berlino, simile a quella italiana, identica a quella che ha governato la Grecia fino al gennaio di quest'anno, uguale a quella che ha fatto muro contro Le Pen in Francia. E la stessa che Bruxelles voleva in Portogallo, dove invece i socialisti hanno scelto di ribaltare il tavolo.
Anche in Spagna molto dipende dai socialisti: pur avendo ottenuto il peggior risultato dalla fine del franchismo, il Psoe ha in mano le carte, potendo scegliere se annegarsi nelle larghe intese con Rajoy o aprire a una maggioranza alternativa, composita ma (al contrario di quanto scrivono oggi quasi tutti i giornali italiani) tutt'altro che impossibile.
In ogni caso, quello che sta succedendo in Spagna è solo un altro passo nel declino irreversibile di un sistema: quello che governa l'Europa, che si declina nei programmi indistinguibili tra centrodestra e centrosinistra e che giusto l'estate scorsa ha umiliato la Grecia.
Quel sistema sta perdendo pezzi, uno dopo l'altro. E la grande questione, oggi, è solo in quale direzione uscirne.
DALL'ESPRESSO BLOG - PIOVONO RANE
Se la politica europea continua ad arroccarsi sulle rigidità volute più che altro dai tedeschi, e se la massima attenzione per costoro sono le banche e la finanza,trascurando qualsiasi aspetto sociale, a me pare inevitabile la fine dell'Europa monetaria,ci vorrà qualche tempo e ogni paese tornerà alla propria indipendenza.
I risultati elettorali dimostrano che la coperta non è più corta,ormai è a brandelli,e chi non ha più nulla da perdere o quasi si affida a strade alternative.
Non è questo il sogno europeo che sognavamo,dopo quasi quindici anni è diventato un incubo.
I.S.
iserentha@yahoo.it
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2 commenti:
Mi pare che cicalino formiche
Sono progetti ancora a lunga scadenza,si vedrà
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