mercoledì 6 gennaio 2010

Pane,verdure,frutta,tonnellate di sprechi e inviati al macero ogni anno


Anche su questo piano si contraddistingue la società occidentale



A Milano vengono sprecati ogni giorno "180 quintali di pane",i panificatori grandi e piccoli si giustificano che risulta difficile programmare l'esatta produzione quotidiana,poichè la quantità dello spreco si riferisce alla loro produzione,ma c'è da sommare sicuramente altri sprechi da parte delle famiglie.

Non ho idea di quali consigli impartire ai fornai,ma alle famiglie posso suggerire di adottare il sistema del congelamento,ogni giorno si scongela la quantità desiderata,il pane conservato in questo modo rimane eccellente al gusto.

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Un paio d'anni fa era stata pubblicata la notizia degli enormi sprechi del mercato generale di Gugliasco(Torino)

L'articolo uscito su "La stampa"

Ogni giorno distrutte tonnellate di ortaggi "Ristoranti e negozi non li comprano"

di LODOVICO POLETTO

E’ vero che i cachi ai mercati generali costano tra i 60 centesimi al chilo e 1 euro e 15. Ma le 60 cassette con la frutta di stagione che il muletto lascia, alle 9 del mattino, nell’isola della distruzione, a chi non è abituato, fanno un certo effetto. Tra poco tre uomini prenderanno i plateaux di frutta e li rovesceranno in terra accanto ai containers; una ruspa, poi, li spremerà nella sua benna. Distruzione di massa per frutti che, dicono i negozianti: «Nessun commerciante comprerebbe più». Nessuno, si badi bene, anche se al dettaglio quei cachi valgono fino a due euro al chilo.

C’è fango sul battuto in cemento dell’isola della distruzione del Caat, i mercati generali di Torino. Fango mescolato agli scarichi di muletti, ruspe e camion. Acqua che cola dalle quintalate di frutta e verdura che, senza sosta, diventano rifiuti. Destinati a una qualche discarica.
Ma allora, se questa è ancora merce buona per sfamare centinaia di sfortunati, perché tonnellate di frutta e verdura finiscono alla distruzione. Forse, una delle tante risposte possibili è quella che Claudio Conte, grossista del Caat, sintetizza così: «Oggi la gente mangia con gli occhi. Il frutto che ha una macchia sulla buccia o che è cresciuto male, non lo vuole più nessuno sul tavolo. La verdura che ha un minimo difetto è immediatamente scartata dal compratore. Quello che un tempo facevano le massaie, togliere dai peperoni quell’angolo danneggiato, oggi non si fa più».

Conseguenza immediata: i dettaglianti che non hanno comprato merce esteticamente perfetta getteranno tutto nell’immondizia.
E allora non deve stupire che i lavoranti di Luciana Tuninetti, un’altra storica grossista del Caat, a fine contrattazioni, gettino via 200 e rotti chili di zucche. Valore: dai 30 ai 40 centesimi al chilo. Che raddoppia e talvolta triplica sui banchi dei dettaglianti, per arrivare fino a picchi di un euro e 49. Zucche ancora perfette per i tortelli, ancora così dure da cadere nei bidoni con tonfi sordi, sani. Per vedere i danni che le rendono invendibili bisogna sforzarsi: hanno scampoli di polpa mal conservati, spicchi dove la maturazione è eccessiva.

«Per noi gettare via così tanta merce è un danno: ma così va il mercato. Se non garantisci merce più che perfetta, non la venderai mai» racconta Luciana Tuninetti. Che, alle 5 del mattino, è già lì - ma al Caat lo fanno più o meno tutti - a regalare cassette di insalata e di clementine a rappresentanti di associazioni benefiche.
A trecento metri da qui, nell’isola dello spreco, le ruspe adesso schiacciano qualche quintale di cipolle dorate (da 40 a 50 centesimi al chilo, al dettaglio fino 1,39) e una montagna di teste ancora dure di radicchio rosso tondo (da 1 euro a 1,10 euro al chilo; al dettaglio 2,99). Cibo che se ne va per sempre. Che diventa poltiglia, fango, mota nera che sfugge alla benna della ruspa. E che gli operai, armati di pale, tentano di raccogliere in piccoli mucchi: «Adesso. Prova a prenderla adesso. Non c’è più niente in giro».
Claudio Conte non ha dubbi: «Molta di quella merce sarebbe ancora assolutamente commestibile. Certo, c’è una parte che è marcia, inutilizzabile al 100%. Ma tanta farebbe felice un sacco di gente». Ma il mercato è il mercato, e i chi viene a comprare qui detta le regole. Frutta colorata e perfetta, o niente. Verdura senza la minima traccia di danni o resta nelle cassette. «A Parigi è peggio ancora» dice qualcuno per consolarsi. «Certi prodotti che noi ancora vendiamo ai mercati generali parigini i dettaglianti neanche li prenderebbero in considerazione».

Con un po' di buona volontà quell'enorme quantità di frutta e verdura potrebbe essere organizzata diversamente,ad iniziare dalle mense dei poveri sempre più diffuse nelle città italiane,o per un commercio equo-solidale,nel quale non vi sia la massima qualità ma un prezzo assai più vantaggioso.

Ma è un mondo,una società davvero difficile da interpretare!

macero

Come del resto vanno al macero tonnellate di arance e pomodori ogni anno,sempre per le difficoltà dello smercio dei prodotti agricoli

&& S.I. &&

1 commento:

Anonimo ha detto...

L'articolo è un po' fuorviante.
Dipende solo minimanete dalle imperfezioni lo spreco.
Chiunque verifica che al dettaglio è normale frutta e verdura imperfetta!

"Molta di quella merce sarebbe ancora commestibile": "molta" sta per la maggioranza.
"Per noi è un danno": plurale di solidarietà propagandistica: per i grossisti e/o per i dettaglianti la █ SCARSITA' è essenziale!

Il commercio è basato sulla #scarsità: nessuno comprerebbe acqua marina su una spiaggia pulita.
C'è una curva di massimo ricavo che i commercianti cercano di rispettare:
cfr. la terza immagine su https://www.facebook.com/note.php?note_id=934853989928206.

Circaidem per gli occhiali (esempio a caso) fuori moda: pochissimi clienti noterebbero il fuorimoda, i vecchi resterebbero quasi sempre di moda:variazioni sostanziali sono state nelle lenti, e le montature soltanto per seguire la curva del viso.Fan sentire alla gente bisogno di aggiornarsi, di esser come gli altri,
ma dipendendo (chi appena può) direttamente dagli architetti della moda anziché dall'altra gente.

Volendo spremere qualcosa di buono da quest'idiozia diffusa:
noi gente ci fidiamo più di chi reputiamo autorevole che di noi stessi.
Problema è che anziché ascoltare interiormente "dio" o guru o santi esteriori,
abbiamo idolatrato teste di m come noi, soltanto appena un po' più furbe nel commercio e nella psicologia commerciale.

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