martedì 1 dicembre 2009

Il revisionismo del porno ha un nome e cognome,ovvero Moana Pozzi,di Luca Telese







E’nato il porno-revisionismo. In un paese che da anni è impegnato a riscrivere la sua storia prima o poi doveva accadere: i partigiani da buoni possono diventare cattivi, gi eroi risorgimentali da santi sono diventati demoni, per la Padania Mameli era “un ladro”, per il regista Renzo Martinelli il Barbarossa da signorotto locale diventa il proto-eroe leghista in una improbabile fiction finanziata (senza scandalo) dallo stato: una fiction che per fortuna non va a vedere nessuno. Ma la sua operazione mitologica passa, a prescindere dal flop. Era quindi possibile e forse prevedibile che anche Moana Pozzi, e il segno forte che ha lasciato nell’immaginario di questo paese diventassero oggetto di battaglia “culturale”. Dagli anni Cinquanta a oggi l’italia è sempre sospesa sul filo di una doppia morale sessuale, tra il mito della puttana e quello della Santa, fra la Boccadirosa di Fabrizio De André e la Santa Maria Goretti delle agiografie parareligiose. Anche Moana, dunque, non poteva che inserirsi in questo filone, non poteva che perdere la sua porno-connotazione (quella che per anni la tenne fuori dalla tv generalista con suo grande rammarico) per diventare icona pop, oggetto di contesa al pari di tutte le altre.
La “doppiezza pozziana”. Però non guardate la fiction su di lei (un piccolo evento mediatico, questa sera e domani, su Sky) pensando che sia solo una storiella da fiction, o un pretesto per vedere qualche (bel) nudo. Non guardatela solo per la curiosità di apprezzare l’incredibile capacità di reincarnazione di Violante Placido (a tratti sembra una goccia d’acqua della diva). Immaginate che attraverso la storia di Moana, e il modo in cui è stata riletta e digerita – forse persino inconsapevolmente – dalla lente e dai codici della narrazione televisiva, sia possibile capire bene, per una volta, due cose fondamentali insieme: in primo luogo il rapporto schizofrenico degli italiani con il sesso. E poi quello con le regole deformanti che il revisionismo applica alla memoria. Il pornorevisionismo – insomma – rende più chiari gli effetti di tutti altri revisionismi. Nel primo caso, il paradosso è evidente: Moana fu la prima pornodiva potabile, fruibile e spendibile per un grande pubblico. La prima che si poteva far guardare anche alle mogli e ai figli. Il prezzo da pagare, però, era una doppia morale: Moana era hard fino all’estremo nelle sue pellicole. E rassicurante fino alla mielosità nella sua facciata di massa. La Moana che vagava nuda come un’odalisca nei programmi di Antonio Ricci, o che illustrava la copertina di Panorama facendo il verso a Marylin era solo una civetta che promuoveva il mercato della Moana a luci rosse. La naturalezza, di Moana, come spiega il suo biografo Marco Giusti (Moana, Mondadori) era frutto di molte manipolazioni, di molta sofferenza, e anche di un discreto lavoro di bisturi.
Diversità ciccioliniana.Se l’Italia ha conosciuto una diva “diversa”, invece, una vera boccadirosa a luci rosse, quella – ovviamente è stata Cicciolina. Cicciolina era la faccia angelicamente inquietante del porno, era un codice linguistico dirompente, era un personaggio che catalizzava il dramma, il consenso, il desiderio e la rabbia: era da sola un immaginario. Cicciolina irruppe nella politica portando l’iconografia del sesso a Montecitorio, e diventando una notizia mondiale. Moana, fu, tutto sommato, un fenomeno domestico e provinciale. Cicciolina fu scandalo, Moana rassicurazione. Cicciolina fu pioniera dell’hard, trainò il successo di Moana, che all’inizio era solo una comparsa al suo fianco, un sottoprodotto, al pari delle tante Rambe e Vampirelle.
Il grande vecchio. Il porno italiano ha avuto anche un suo “grande vecchio”, un regista e un propagandista di genio in Riccardo Schicchi, l’uomo che inventò l’immagine di entrambe le pornodive. Cicciolina iniziò il suo viaggio come sottoprodotto trasgressivo del 1977 – a Radioluna – per diventare l’incubo dei pretori, per le sue esibizioni oscene, combattute in nome del senso comune del pudore. Nel 1987, con l’elezione nel Partito radicale, Cicciolina divenne una parlamentare che vestiva in modo castigato (celebre mise con gonna tricolore) e che litigava nei congressi del partito apostrofando il leader indiscusso così: “Caro Cicciolino Pannella...”. Risposta: “Cara Scemolina Ilona...”. Moana non riuscì a far diventare il suo “Partito dell’Amore”, nulla di più che una operazione di marketing schicchiano. Cicciolina prese più preferenze di Pannella, diventando un “voto di protesta”, Moana niente più che una foto opportunity. Malgrado questo, Moana scalzò Ilona, proprio perché più giovane, meno conflittuale e più rassicurante. C’era materia per un grande dramma: era possibile raccontarlo in tv? Sì.
Di sicuro la fiction di Alfredo Peyretti ha scelto un’altra via. Moana è stata ripulita e angelicata, trasformata – dice Schicchi – in una sorta di “Alice nel paese delle porno-meraviglie”. Il lato lunare e inquietante di Cicciolina, invece, è stato considerato inadattabile e dunque rimosso. Cicciolina non è più pioniera ma co-fondatrice al fianco di Moana, solo comprimaria della Diva Futura. Non è più una trasgressiva, folle e spericolata iniziatrice, ma una compagna rancorosa e gelosa del successo della sua amica. Il che fra l’altro confligge con tutte le interviste: Cicciolina, almeno in apparenza, ruppe con Schicchi senza compromettere la sua amicizia. Non si sentì mai aggredita da Moana, ma semmai sfruttata e accantonata dal comune manager. Ed ecco le due risposte alle domande di sopra: questa fiction non può o non riesce ad affrontare il dark side del porno italiano, e lo deve rimuovere. Non può o non riesce a raccontare la complessità del drammone shakespeariano, non tocca le implicazioni di costume dell’hard e del suo pubblico. Non c’è il lato brutale del porno, nemmeno per accenni: non ci sono vibratori, set massacranti, ruvidezze e brutalità, e piogge dorate sul pubblico.
Quel Craxi non è Craxi. Infine, per ovvi motivi, il pornorevisionismo è costretto a riscrivere la biografia di Moana. Ad esempio a ignorare quel libro La filosofia di Moana, che diede tanto scandalo, facendo di lei una sorta di D’Addario ante-litteram. Moana mandava in edicola un testo con tanto di pagelle dei suoi tanti amanti, rivelando tutte le sue scopate con i vip (quando le escort ancora non esistevano). “Ho paura che qualcuno si offenderà diceva – Per esempio Renzo Arbore. Gli ho dato sei, credo”. E Spiegava: “Quelli che sono sposati mi smentiranno, diranno che non è vero, io comunque per gentilezza non ho messo date”. I nomi, però, quelli sì: “Massimo Troisi e Francesco Nuti sono ragazzi carini: sei e mezzo, credo”. E Luciano De Crescenzo? Sotto le lenzuola arrivava al sette: “Un uomo intelligente, arguto, colto”. Persino il campione giallorosso, Falcao finiva in pagella: “E’ stato indubbiamente il peggiore, sei meno”. E Nicola Pietrangeli? “Un uomo che a me piaceva, una persona stimolante ma con un carattere troppo conformista”. E Marco Tardelli? Un campione vero: “Sette e mezzo, lui sì che mi piaceva”. Lo stesso voto lo prese un misterioso uomo politico di cui la prima Moana non voleva fare il nome (che poi però fece, Bettino Craxi). “Non posso e non voglio dire chi è, non è del mondo dello spettacolo, non gradisce finire su Novella 2000”. Figurarsi. Craxi invece usò la leggenda di Moana, e la aggiunse alla sua collezione di conquiste. Era nata la politica che usa il sesso (prima ancora di quella che ne è usata). Nella fiction questo simil Craxi resta, come un monaco saggio: “Non abbiamo fatto l’amore”, cinguetta lei. E lui le risponde (mavalà!) con una tirata sull’ipocrisia pubblica. Non guardate Moana solo come una fiction, questa sera, ma come un trattato sul revisionismo che ribalta le verità della storia nel suo contrario. Perché una menzogna gradevole, in questo paese, continua ad essere meglio di una verità scomoda. Se una pornodiva non può diventare Alice, un partigiano non può diventare un criminale, e persino i mille di Garibaldi non saranno mai i colonizzatori efferati che ci racconta la Lega


Moana Pozzi indubbiamente rimane l'icona del porno possibile,dice bene Telese,poteva essere spacciata in qualsiasi programma televisivo e poche forse tra il gentil sesso si incazzavano,altri tempi a cavallo degli anni 80,per molti versi inguardabili,per chi non avesse vissuto questi ultimi anni,al peggio effettivamente non c'è mai fondo.

Per chi possedesse la piattaforma Sky,potrebbe essere un'idea,percorrere insieme alla fiction il porno dei tempi che furono.

La sua scomparsa a dir poco prematura,come in tutti questi casi,ha contribuito nel crearne una star.


&& S.I. &&

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